La pace che partorì infinite guerre. Versailles cent’anni dopo

Scritto cent'anni dopo l’inizio della conferenza di Parigi del 1919, “La pace mancata” di Franco Cardini e Sergio Valzania riflette lo spirito critico e la volontà di rimescolare le carte della “vulgata historia” dettata dai vincitori
MARIO GAZZERI
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pubblicato il 21 febbraio 2019

Gli autori di questo libro non hanno mai nascosto la tendenza a simpatizzare con gli sconfitti…

Le prime parole dell’incipit del nuovo libro di Franco Cardini e di Sergio Valzania “La pace mancata” (da poco uscito per i tipi di Mondadori), riflettono lo spirito critico e la volontà di rimescolare le carte della vulgata historia dettata dai vincitori. Volontà che è preziosa prerogativa di una sempre rinnovata indagine storica e che non deve essere necessariamente confusa con un revisionismo fine a se stesso. Scritto cent’anni dopo l’inizio della conferenza di Parigi del 1919 mentre l’Europa, e non solo, era travolta da un’altra piaga che avrebbe anch’essa preteso milioni di vittime, la micidiale influenza “Spagnola”, il volume di Cardini e Valzania fa il punto sui troppi errori dei vincitori che, al termine dei lunghi lavori della Conferenza di Parigi, avrebbero firmato i Trattati di Versailles accendendo al contempo le micce di una serie di guerre regionali in Europa e contribuendo a porre le precondizioni della seconda grande guerra del Novecento, che sarebbe infatti scoppiata vent’anni dopo (primo settembre 1939).

Già Norman Davis, nella sua enciclopedica “Storia d’Europa” (Bruno Mondadori), denunciava lo spirito di vendicativa revanche che animava il presidente francese Georges Clemenceau al quale si adeguò senza troppa fatica il collega americano Woodrow Wilson, più interessato alla presentazione del suo ambizioso Piano in 14 punti che tra l’altro prevedeva il rispetto del principio di autodeterminazione dei popoli, principio in seguito largamente disatteso.

L’accanimento dei vincitori contro i tedeschi, oltre a porre le basi di futuri, gravi ma prevedibili problemi, svuotò di ogni significato la dizione stessa stessa di “trattati di pace”, in quanto non ci fu alcuna trattativa su alcun problema e ai tedeschi fu concessa solo una lettura in tempi stretti degli accordi presi tra i “big four” (Clemenceau, Wilson, il britannico David Lloyd George e l’italiano Vittorio Emanuele Orlando) e l’obbligo della conseguente firma di accettazione.

Il maresciallo Ferdinand Foch, Clemenceau, Lloyd George, Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino

L’impoverimento assoluto di Germania e Austria, la cessione di una larga porzione di loro territori ai vincitori, la successiva annessione armata (1923) da parte di francesi e belgi della Ruhr, si rivelarono atti di assoluta miopia. Vendette poste in atto da statisti anziani, privi di una “visione” di un’Europa pacificata e con un bagaglio politico e ideologico saldamente ancorato all’Ottocento. Il sogno dei militari francesi di vendicare, dopo quasi mezzo secolo, la cocente disfatta di Sedan (1870) e la firma della pace che Bismarck pretese che avvenisse proprio a Versailles, ebbe un innegabile peso.

Gli unici a formulare, ma non pubblicamente, delle riserve sulle decisioni dei responsabili dello strano asse Parigi-Washington furono gli inglesi, vuoi per la formazione culturale non eurocentrica di Lloyd George, vuoi per l’acume e il pragmatismo di un giovane economista britannico in forza alle commissioni che si occupavano dei problemi finanziari derivanti dagli astronomici danni di guerra imposti alla Germania, John Maynard Keynes. Il giovane economista, futuro padre della moderna macroeconomia, si disse “sconvolto” dall’ossessivo clima persecutorio che animava i diplomatici francesi e una parte delle sue memorie, scritte in stile un po’ accademico, si possono rileggere in un recente libro, “Le mie prime convinzioni”, pubblicato da Adelphi nella sua Piccola Biblioteca.

In un dipinto di William Orpen, la firma nella sala degli specchi a Versailles: di spalle, Johannes Bell (Germania), dietro di lui Hermann Muller. Seduti da sinistra a destra Tasker H Bliss, Col E M House, Henry White, Robert Lansing, President Woodrow Wilson (Usa); M Georges Clemenceau (Francia); D Lloyd George, A Bonar Law, Arthur J Balfour, Viscount Milner, G N Barnes (Gran Bretagna) Il marchese Saionzi (Giappone). Fila posteriore da sinistra a destra: Eleutherios Venizelos (Grecia); Affonso Costa (Portogallo); Lord Riddell (British Press); George E Foster (Canada); Nikola Pachitch (Serbia); Stephen Pichon (Francia); Col Sir Maurice Hankey, Edwin S Montagu (Gran Bretagna); Maharajah of Bikaner (India); Vittorio Emanuele Orlando (Italia); Paul Hymans (Belgio); Louis Botha (South Africa); W M Hughes (Australia).

Grande enfasi fu data dalla stampa di allora all’accordo (detto anche Covenant) per la costituenda Società delle Nazioni (un’Onu ante litteram), fortemente voluta da Wilson, definito anche “apostolo della pace” ma che, beffa suprema, venne bocciata dal Congresso degli Stati uniti, un paese ormai percorso da una forte risacca isolazionista. Wilson, l’“uomo sbagliato” secondo la definizione di Cardini e Valzania, non sapeva molto dei giochi politici e diplomatici degli europei e commise un primo errore accettando, senza discutere, che i lavori della Conferenza si tenessero a Parigi. La mancanza di “visione” dei Quattro Grandi emerge anche da alcune decisioni prese per compensare i vari paesi vincitori, anche quelli minori, per il loro sforzo bellico.

Se i francesi avevano quasi come unico obiettivo l’annientamento militare e l’annullamento dello spirito identitario della Germania, almeno nelle regioni di confine, Wilson disegnava un’Europa del futuro partorita solo dalla sua mente. Regalando all’Italia il Sud Tirolo e negandole Fiume (decisione all’origine dell’annosa “questione”), il presidente americano pensò poi di concedere alla Grecia estese acquisizioni territoriali ai danni dell’ex Impero Ottomano e creò, ex novo, uno Stato degli Slavi del Sud (Jugoslavia) formato da paesi da sempre nemici e diversi per etnia e religione come, appunto, la cattolica Croazia, l’ortodossa Serbia e la musulmana Bosnia. Wilson intendeva così creare uno “stato cuscinetto” da frapporre a quel che restava dei due ex imperi sconfitti. I nodi, come tutti ricordiamo, sono venuti al pettine negli anni Novanta con la disintegrazione jugoslava. Quanto ai greci inviati in Turchia con un nutrito contingente per la protezione delle minoranze elleniche a Smirne e su gran parte della costa mediterranea con l’ausilio di mezzi navali francesi e italiani, vennero spazzati via dall’Esercito dei Giovani Turchi di Mustafa Kemal Atatürk. 

Se è vero, come sostengono alcuni storici, che “la pace è solo un interludio tra due guerre”, è anche vero che la Grande guerra fu la prima guerra civile continentale e lasciò un’eredità di conflitti irrisolti e di problemi di frontiere e di dislocamento di milioni di profughi che Clemenceau e Wilson non sembra avessero considerato con la dovuta attenzione. Nel loro libro, Cardini e Valzania ricordano le scie di sangue che percorsero l’Europa dopo i trionfalismi di Versailles e a causa della miopia di alcuni protagonisti della Conferenza.

In Russia, in Ungheria, in Polonia, in Anatolia e in Cina la guerra era destinata a durare ancora a lungo,

ricordano gli autori, così come in Turchia, mentre nel cuore dell’Europa si assistette a fenomeni singolari e preoccupanti come la costituzione della Repubblica sovietica di Baviera (che ebbe peraltro breve vita) o lo scontro tra italiani a Fiume, allorché la Regia marina bombardò la città per “liberarla” dai volontari di Gabriele d’Annunzio. Ora, imputare alla Francia e agli Stati uniti una parte di responsabilità nella successiva nascita del nazismo e dei vari fascismi in Europa, può sembrare oltremodo esagerato. Ma, forse, non completamente privo di ogni fondamento.

In alto la mappa del mondo con i partecipanti alla I Guerra mondiale. In verde gli Alleati (e colonie), in arancione le potenze centrali (e colonie), in grigio le potenze neutrali.

La pace che partorì infinite guerre. Versailles cent’anni dopo ultima modifica: 2019-08-14T09:00:28+02:00 da MARIO GAZZERI
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