E adesso Pepe, come la mettiamo?

In “Carvalho. Problemi di identità” (SEM) lo scrittore Carlos Zanón restituisce ai lettori il detective di Manuel Vázquez Montalbán, quindici anni dopo la morte dell’autore, nella Barcellona dei giorni nostri. Tutto cambia, anche troppo.
ROBERTO ELLERO
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La fine dei personaggi letterari, seriali e di successo, è generalmente nota: muoiono con i loro autori, destinandosi alla gloria postuma dei lettori, quando ve ne sono le condizioni. E sempre che non siano stati fatti scomparire prima. Raro, complicato, persino controverso che tornino in vita per mano altrui, con tutti i rischi e pericoli del caso: l’immagine, la reputazione, i travisamenti, gli stravolgimenti. Il diritto d’autore docet ma si sa che le tentazioni sono del diavolo.

Prendiamo Carvalho. Problemi di identità di Carlos Zanón, in libreria con SEM – Società Editrice Milanese, traduzione di Bruno Arpaia. Apprendiamo, per prima cosa, che il detective reso famoso da Manuel Vázquez Montalbán, morto prematuramente a Bangkok nel 2003, vive e ancora lotta – come può – insieme a noi. Il “vero” (nuovo) Carvalho, beninteso, che lo Scrittore (sempre così definito nel testo) aveva occasionalmente conosciuto parecchio tempo prima, capitatogli per caso come inquilino al piano di sotto di un edificio della Barcellona vecchia, ad un passo dalla Rambla. Due parole oggi e due domani, morti di qua e inchieste di là, si sa come vanno a finire queste cose: l’ispirazione è malandrina e magari diventi un personaggio letterario di successo.

Non a tua insaputa ma senza che tu lo voglia, ben sapendo che, da un certo momento in poi, ogni tuo racconto di minute indagini quotidiane e il tuo stesso vissuto, pubblico e privato, finiranno nelle pagine dello Scrittore. Che ne scriverà a modo suo, variando a piacimento, non sempre fedelmente. Insomma, sei ancora tu, in fondo, ma non sei più tu, sei un altro. E capita che per strada ti chiedano se li stai prendendo in giro, con quel nome e quel mestiere rubati alla saga letteraria del momento. L’immaginario tracima, la realtà si costringe a fare un passo indietro dinanzi alla forza di persuasione del verosimile: problemi d’identità, per l’appunto.

Al pari di altri (principalmente Maigret e Simenon, Montalbano e Camilleri, che dallo scrittore barcellonese volle prendere le mosse, sin dal nome del protagonista), Pepe e Manuel vivono in simbiosi, pur non esaurendosi la portata letteraria degli autori nelle gesta dei soli personaggi eponimi. Tutt’altro. Ma nel caso di Pepe e Manuel c’è persino di più: erano pressoché coetanei, figli di quella stessa disfatta repubblicana del ’39 che li ha fatti crescere insieme, sconfitti ma fieramente antifranchisti nella Spagna che ancora garrotava, aprendo magari al turismo con i cementifici sulla costa.

Hanno un sacco di cose in comune, a cominciare da Barcellona, e debuttano nei primi anni Settanta, poco prima del cambio, con il caudillo morto en su cama, nel 1975. Ho ammazzato J.F. Kennedy (Yo maté a Kennedy, 1972), Tatuaggio (Tatuaje, 1974), La solitudine del manager (La soledad del manager, 1977), I mari del Sud (Los mares del Sur, 1979), Assassinio al Comitato Centrale (Asesinato en el Comité Central, 1981) sono i primi titoli di una saga che conterà una trentina di romanzi, cominciando ad arrivare da noi nei primi anni Novanta (Feltrinelli), in tempo per conquistare anche qui masse di lettori, uniformandosi poi alla simultaneità delle uscite.

Con Pepe e Manuel, fra le pieghe di questo e quel delitto, osserviamo la Spagna che va faticosamente cambiando pelle: il noir “sociale”, esercitato da un poliziotto privato più che mai sui generis, passato da comunista per le patrie galere e poi collaboratore della Cia, così disincantato e cinico da nascondere malamente la sua profonda eticità. Sta con Charo, prostituta selettiva, e si fida quasi soltanto di Biscúter, conosciuto in carcere, aiutante e ottimo cuoco, brucia i libri solo dopo averli letti, con amore si direbbe, forse perché non servono a cambiare il mondo o più semplicemente perché hanno già assolto al loro compito. Pepe e Manuel insieme, sino al 2003, con qualche inedito postumo negli anni immediatamente a seguire.

Tre lustri dopo, il ritorno, inatteso, ad opera di un giallista, Carlos Zanón, che vanta origini venete, avvocato e scrittore, classe 1966, curiosamente nato il 1° maggio, quando la festa dei lavoratori in Spagna era un tabù.

È lui o non è lui? Il ritorno di Carvalho (la sua “epifania”, per seguire la finzione di Zanón) si colloca nei mesi caldi del 2017. Caldi per via della reclamata indipendenza catalana e di un sanguinoso attacco jihadista alla Rambla: l’indipendenza è sulla bocca di tutti, pro e contro, sulle finestre di una stessa strada bandiere catalane da una parte e spagnole dall’altra; il terrorismo è nell’aria. Qualcosa va per succedere e, comunque vada, nulla di buono s’annuncia.

Pepe fa la spola fra Barcellona e Madrid, dove si mette alla ricerca della Fidanzata Zombie, in realtà moglie di un autorevole politico con tanto di scagnozzi che non conoscono le mezze misure. Lei va e viene, si dà e si sottrae, compare e scompare. Ma forse è un’altra donna scomparsa, Charo, andatasene ad Andorra già nella vita precedente e di cui ogni tanto di parla, ad avergli dopato il cervello. Non che con le donne Pepe si fosse mai tirato indietro ma adesso, da vecchio, l’attrazione si è fatta morbosa e la Fidanzata Zombie, in particolare, è diventata un’ossessione. E non è che le altre parti del corpo di Pepe se la passino troppo bene. Dovrebbe passare dal medico ma trova sempre una scusa e se la cava con quella storiella scaramantica del cancro, che non c’è finché non viene diagnosticato. Certo non Ippocrate, ma neanche Epicuro.

Carlos Zanon

Pepe è stanco, invecchia male e neanche la Barcellona del “tutto trolley”, un po’ come Venezia, se la passa troppo bene. Biscúter s’è messo in testa di gareggiare a Master Chef e chi lo tiene più? Il lavoro, piuttosto, se non altro per mandare avanti la baracca: dalle parti nascoste del Montjuïc, dove non arrivano i turisti, spariscono le ragazze del sex discount, tossiche generalmente, ritrovate a pezzi qualche tempo dopo. E tutto porta a sospettare del Gueño, che definire bestia sarebbe far torto alle specie animali.

Sparisce anche la Mocciosa, un ragazzina della provincia che non ha più fatto ritorno a casa, per la disperazione della madre che si rivolge al detective. Non bastasse, a casa di Marina, una delle “consolatrici” barcellonesi di Pepe, è costretta a trovar rifugio Amélia, dopo che la nonna e la sorella più giovane sono state misteriosamente massacrate nel loro appartamento. E non è che Amélia, con i suoi vari spasimanti, la racconti proprio sempre tutta giusta…

Si sarà capito che i problemi di identità sono davvero più d’uno e non riguardano soltanto il Pepe letterario che fu sopportato per anni – decenni – dal presunto ispiratore. Il tempo passato pesa perché tutto sembra cambiato. Per dire, nella vita di tutti i giorni mica si parlava con tanta insistenza il catalano quindici o trent’anni fa…

Manuel Vázquez Montalbán

E a proposito di lingua, le questioni di scrittura: il racconto di Zanón è volentieri in soggettiva e i pensieri di Pepe divagano, perdono il filo, cercano associazioni, riempiono di citazioni e rimandi il racconto, costringendo il lettore ad una talvolta ardua impresa di decrittazione. La fantasia dilaga e la scrittura si fa essa stessa testimonianza del disagio. Que hacer? Pardon: què fer?

Capita persino che il Personaggio torni ad invocare il suo primo autore: che farebbe lo Scrittore a questo punto? Troppo tardi Carvalho, le resurrezioni – si sa – non vengono sempre bene. Vedi alla voce Pirandello: personaggi in cerca d’autore, uno nessuno e centomila.

E adesso Pepe, come la mettiamo? ultima modifica: 2019-08-19T11:00:59+02:00 da ROBERTO ELLERO
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