pubblicato il 3 giugno 2019
[PARIGI]
Yannick Jadot è diventato il beniamino della stampa francese. Almeno per la settimana che ha seguito le elezioni europee. Il risultato dei verdi francesi, Europe Écologie Les Verts (EELV), ha infatti stupito molti analisti della politica d’Oltralpe. Non tanto perché non si aspettassero un buon risultato, quanto perché la lista di Jadot è andata oltre le aspettative dei sondaggisti.
Che il risultato sia da attribuire a Jadot è indiscutibile. L’eurodeputato francese si è giocato la carriera politica personale in questa tornata elettorale, all’interno di un movimento noto per la virulenza delle lotte intestine. È vero anche che i verdi francesi hanno sempre ottenuto migliori risultati alle elezioni europee che alle elezioni presidenziali, solitamente disastrose, e poi a quelle legislative, altrettanto disastrose. Il sistema proporzionale delle elezioni europee li ha probabilmente favoriti.
Che Jadot sia il leader di cui i vedi francesi hanno bisogno? Questo è ancora da provare e dovremo attendere le elezioni amministrative del prossimo anno per verificare se la proposta politica di Europe Écologie Les Verts funziona. Per ora Jadot si gode il successo. Soprattutto può guardare dall’alto del suo 13.5 per cento i risultati dei “competitors” del Parti Socialiste e di Génération.s di Benoît Hamon.

Jadot ha una storia politica interessante che racchiude tutte le travagliate vicissitudini dei verdi francesi. Viene dall’impegno associativo “combattivo”: è stato il direttore delle campagne di Greenpeace France dal 2002 al 2008, anni durante i quali è stato anche condannato per essere penetrato nella base di Brest, dove si trovano i sottomarini nucleari francesi.
È soprattutto vicino a Daniel Cohn-Bendit, di cui è considerato un “discepolo”. È grazie a Dany “il Rosso” che l’impegno politico attivo di Jadot diventa concreto, durante la campagna elettorale per le europee del 1999. E da Cohn-Bendit Jadot eredita anche parte di quello spirito pragmatico che ha contraddistinto l’ecologismo politico dell’ex leader del Maggio francese. Jadot infatti sarà anche il portavoce de L’Alliance pour la planète, la rete delle associazioni che decidono di partecipare alla serie di conferenze sull’ambiente chiamate Grenelle Environnement, volute dall’allora presidente Nicolas Sarkozy e dal suo ministro dell’ambiente Jean-Louis Borloo.
Come Cohn-Bendit inoltre Jadot gode forti credenziali europeiste. In occasione del referendum del 2005 sul trattato che stabiliva la costituzione europea, Jadot milita con convinzione a favore del “sì” sia nel suo partito – dove in un referendum tra gli iscritti per determinare la posizione ufficiale del partito il “sì” vincerà col 52 per cento -, sia durante la campagna referendaria nazionale.
Quando nel 2008 lascia la direzione di Greenpeace, Jadot fonda assieme ad altri Europe Écologie Les Verts. Si candida quindi alle elezioni europee del 2009, ancora sotto il segno di Cohn-Bendit, che guiderà la lista della nuova formazione politica al suo più grande successo elettorale (16.72 in termini percentuali ma in termini di voti assoluti Jadot ne otterrà di più nel 2019).
E qui inizia un periodo di difficoltà nei rapporti col suo partito.
Nel 2012 i verdi francesi organizzano delle primarie per scegliere il proprio candidato alle prossime presidenziali. Si scontrano Eva Joly, nota magistrato franco-norvegese, e Nicolas Hulot, divulgatore e giornalista francese che diventerà molti anni dopo il ministro dell’ambiente di Emmanuel Macron (e che abbandonerà poi in polemica con lo scarso impegno ambientale dell’attuale inquilino dell’Eliseo).
Jadot è il portavoce di Joly e segue la candidata verde durante tutta la campagna elettorale, sino all’improvviso abbandono poiché non condivide la strategia volta all’attacco al Parti Socialiste, col quale Jadot pensa di poter collaborare se François Hollande dovesse imporsi su Nicolas Sarkozy.
Una mossa che gli costa molto. L’allora leader nazionale di Europe Écologie Les Verts, Cécile Duflot, non glielo perdona e, quando i verdi entreranno nella maggioranza del vittorioso Hollande, proporrà il nome di un altro ecologista, Pascal Canfin come ministro (Canfin poi diventerà il direttore di Wwf Francia e il secondo in lista per La République En Marche alle elezioni europee di quest’anno).

Forte dell’esperienza europea dov’è diventato il principale oppositore dei trattati commerciali europei (Ttip e Ceta), Jadot ci riprova nel 2016 e questa volta si candida direttamente alle primarie dei verdi francesi, dove batte proprio Cécile Duflot, grazia alla sua capacità di tenere assieme l’ala “destra” del partito e quella più “movimentista”.
Una candidatura che durerà molto poco perché Jadot sarà il solo a rispondere all’appello alla gauche di Benoît Hamon. Jadot sosterrà quindi il candidato dei socialisti, in cambio dell’impegno del Ps per l’approvazione di una legge elettorale proporzionale e l’uscita dal nucleare (e per il pagamento, mai avvenuto, della sua campagna elettorale).
Il risultato di Hamon (6.72 per cento) sarà pertanto all’origine delle decisioni successive di Jadot.
Per le elezioni europee di quest’anno, infatti, Jadot rifiuta qualsiasi accordo con Hamon e i socialisti guidati dall’“esterno” Raphaël Glucksmann. E questo avviene nonostante gli stretti rapporti tra i tre all’epoca della candidatura presidenziale socialista di Hamon. Per Jadot però il tempo delle alleanze è finito: rifiuta anche di co-condurre con Ségolène Royal una lista Ps-écolos alle elezioni europee, in ultimo e disperato tentativo socialista di costruire una lista unica della gauche.
Non voglio correre in soccorso del Ps che è esploso in tanti pezzi che si fanno concorrenza tra loro,
dichiara Jadot a chi gli chiede conto della scelta della corsa solitaria.
A marzo, poi, Jadot compie un altro passo e afferma che i verdi debbano andare oltre il cleavage sinistra-destra: in un’intervista a Le Figaro, si proclamerà a favore dell’economia di mercato, della libera impresa e dell’innovazione. Una dichiarazione coraggiosa in un partito segnato dagli scontri eterni tra radicali e pragmatici. Ma secondo Daniel Boy, direttore emerito al Cevipof (Centre de recherches politiques de Sciences Po), ci sono anche altre motivazioni:
Una difficoltà storica degli ecologisti è nei loro rapporti con l’impresa. Poiché la maggior parte dei quadri dirigenti dei verdi escono dall’amministrazione pubblica, c’è una sorta di diffidenza nei confronti del settore privato. Un atteggiamento che fa fuggire molto quadri di imprese private, che potrebbero votare per gli ecologisti ma non si riconoscono in esso.
L’idea di Jadot è che un partito ecologista troppo a sinistra, quasi una copia de La France Insoumise, come è stato sperimentato alle elezioni presidenziali disastrose per i verdi nel 2012, non funziona. Una radicalità eccessiva che ha fatto fuggire diversi esponenti di primo piano. E Macron in pochi anni ne attirerà a sé molti: Nicolas Hulot, tra i primi, e poi François de Rugy. E poi il mentore di Jadot, Cohn-Bendit, che sosterrà ripetutamente il presidente della repubblica.
Jadot però non cede alle sirene di Macron. È convinto che ci sia lo spazio per un movimento verde simile ai verdi tedeschi.
E in queste elezioni europee quest’atteggiamento è piaciuto: chiarezza sui temi ambientali ed europei, chiarezza sulle alleanze (o meglio sull’assenza di alleanze), chiarezza su Macron (atteggiamento critico ma rispettoso e dialogante).
Che cosa accadrà in futuro nelle relazioni tra Jadot e Macron al momento è difficile dirlo. In questi giorni però gli esponenti della maggioranza non fanno altro che lodare il risultato dei EELV.

Oggi Jadot si gode la vittoria. E forse potrà svolgere un ruolo importante nella ricomposizione della sinistra riformista. Se non commette errori. O non li commette il suo partito.
I verdi francesi sono infatti noti per la capacità di divorare i propri “leader” che poggia essenzialmente su un rifiuto più generale della leadership politica. Un fattore che nel tempo ha impedito loro di rimanere uniti e di fare blocco. Yann Wehrling, che ha lasciato i verdi per aderire a MoDem, il partito di centro di François Bayrou, sostiene proprio questo:
Una delle ragioni dei fallimenti degli ecologisti è l’incapacità di sostenere una leadership. Ma alle elezioni presidenziali si vota una personalità. Tra i verdi, non appena si designa un candidato, questo si ritrova immediatamente contro di lui metà del partito.
E aggiunge:
Ora un’elezione presidenziale per riuscire ha bisogno di una leadership senza contestazioni.
Affermazione che probabilmente porterebbe alla simultanea perdita di sensi buona parte della sinistra. Non solo francese.

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