Venezia è da secoli un’icona, rappresentata in dipinti che l’hanno resa immortale. E con la comparsa del cinema il mito della città lagunare si è adattato velocemente allo spettacolo della settima arte. Sono centinaia infatti i film che l’hanno raffigurata, siano essi il prodotto di grandi registi italiani o stranieri, di documentaristi e dei molti veneziani che si sono dedicati – e si dedicano – al cinema.
Roberto Ellero raccoglie in Nostra signora degli schermi (Edizioni La Toletta) alcuni testi, aggiornati, comparsi su vare testate – e tra queste vi è ytali – per raccontarci di questo raro rapporto tra la città e il cinema che accomuna Venezia a poche altre luoghi come Parigi o New York. Un’immagine della città che, come racconta Ellero, è mutata nel tempo e che si intreccia con le vicende storiche locali e nazionali e le note problematiche cittadine.

Accompagnato dalla davvero piacevole scrittura dell’autore che rende accessibile la storia cinematografica anche a chi ne è a digiuno, viaggiamo con grande facilità dalla Venezia del periodo del muto a quella del “passato-rifugio” e del “buon tempo andato” del periodo fascista; ci ritroviamo nei prolifici anni Cinquanta e Sessanta e poi nei film gialli e di misteri degli anni Settanta; fino alla Venezia riscoperta dai registi stranieri, dagli anni Novanta in poi, che utilizzeranno la città come set di moltissime – e costosissime talvolta – produzioni, come l’ultimo Spider Man – Far from home.
E poi il racconto delle storie “sconte” del cinema che intrecciano la storia mondiale a quella veneziana. Come la complessa vicenda del documentario Venezia Insorge, dieci minuti girati sulla sollevazione popolare antifascista del 28 aprile 1945:
Caso pressoché unico in Italia, la città si filma nell’atto di insorgere e rilascia nell’immediato queste immagini al pubblico, quasi in tempo reale con gli accadimenti
Il documentario scompare misteriosamente a pochi giorni dalla prima e resta “smarrito” per mezzo secolo.
O come la vicenda del film Capriccio Italiano (1961) di Glauco Pellegrini, una riproposizione de La Locandiera di Carlo Goldoni, girato a Babelsberg nella Ddr (Repubblica Democratica Tedesca) proprio durante la costruzione del Muro di Berlino, evento che impedirà la distribuzione del film fino al 1991, quando venne proiettato al Teatro Malibran in occasione del Carnevale.
È soprattutto un viaggio sul legame che i veneziani hanno con il cinema. Ed è per questo che la raccolta di riflessioni di Ellero va letta. Perché ha anche la capacità di indicare ai spesso confusi abitanti di questa straordinaria città il posto che occupano in una più ampia visione temporale, dove il passato non è solo il ricordo dei bei tempi andati. Anzi Ellero fornisce qualche indicazione sulla “vocazione produttiva” cinematografica che potrebbe “portare alla rigenerazione della città”. Soltanto se la classe politica avesse una maggiore capacità di ricordare per progettare. Perché la smemoratezza e il silenzio sono alcuni dei rischi in cui incorre la città e di fronte alle quali le memorie che questa raccolta trasmette vuole, per quanto possibile, porre rimedio.
Una memoria che è diffusa. Molti nelle pagine di Nostra signora degli schermi troveranno infatti anche i ricordi personali. A cominciare dalla copertina: Alida Valli che passeggia in campo Santa Maria Formosa sul set di Senso di Luchino Visconti. Non c’è persona, infatti, a Venezia che non abbia qualche ricordo legato a un set cinematografico: chi ha partecipato come comparsa; chi semplicemente passando per una fondamenta si è ritrovato, talvolta sbuffando, immerso tra i costumi della Venezia settecentesca o in un noir tedesco; chi ha incontrato per strada il “giovane Casanova” – lo scomparso Heath Ledger – a passeggio per la città.

Vi sono anche i ricordi di una comunità che ha assistito alla desertificazione delle sale cinematografiche in relazione allo spopolamento della città storica e al turismo di massa e che è riuscita con fatica, e lo ricorda Ellero a proposito del cinema Giorgione, a fare in modo che
[…] l’esercizio cinematografico cittadino resta[sse] vivo e vegeto nonostante i momenti in cui la desertificazione sembrava cosa fatta.
E poi ci sono le storie delle figure, autoctone e non, che hanno legato la loro vita a Venezia e al cinema.
Come la vita romanzesca di Franco “Kim” Arcalli, partigiano che partecipa il 12 marzo alla “beffa del Goldoni” e che diverrà uno dei montatori italiani più importanti. Oppure la storia del critico e teorico del cinema Luigi Chiarini, “buon direttore” della Mostra del Cinema di Venezia dal 1963 al 1968, gli anni in cui vincono Francesco Rosi (Le mani sulla città), Michelangelo Antonioni (Deserto rosso), Luchino Visconti (Vaghe stelle dell’Orsa), Gillo Pontecorvo (La battaglia di Algeri), Luis Buñuel (Bella di giorno) e Alexander Kluge (Artisti sotto la tenda del circo: perplessi). Un direttore che “invoca la piena autonomia culturale, senza ingerenze d’altra natura” nella selezione dei film e che gli valgono le critiche di albergatori e operatori turistici locali per “il tenore troppo culturale” delle sue Mostre. E non poteva mancare Francesco Pasinetti, il racconto della sua esperienza come critico alla prima Mostra del Cinema di Venezia e i suoi motivi di disappunto per
[…] la strumentalità del festival, ossia l’intendimento neanche troppo celato di finalizzarlo a scopi turistici.
La simultaneità dell’uscita del libro con la settantaseiesima Mostra del Cinema non è casuale. Ci ricorda che il rapporto di questa città col cinema non dovrebbe esaurirsi nei pochi giorni di settembre.

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