Possa tu vivere in tempi interessanti,
tuona un antico proverbio e maledizione cinese, che perfettamente calza alla situazione di estrema complessità e incertezza che avvolge il quadro politico italiano, europeo e mondiale. Dietro all’incessante, vorticoso sparigliare di carte, si vanno via via definendo i contorni di quella che sembra sempre di più – per usare le parole del filosofo e professore di filosofia politica Giacomo Marramao – “la soglia di un cambiamento d’epoca”. Con Marramao, che sarà tra i protagonisti del Festival della Politica di Mestre (4-8 settembre), ytali ha tentato di fare ordine tra i pezzi di un puzzle politico in continua trasformazione.

Giacomo Marramao, cominciamo con un aneddoto: nel libro che Paolo Franchi presenterà nei prossimi giorni al Festival della politica, intitolato “Il tramonto dell’avvenire”, c’è un riferimento a quando lei riuscì a “trascinare” Pietro Ingrao a un convegno a Venezia in cui interveniva Gianfranco Miglio, l’ideologo della Lega Lombarda. Se ne ricorda?
È una storia lunga. Miglio lo conobbi a Padova nel 1980, a un convegno su Carl Schmitt nel quale ero relatore anch’io. Da allora ebbi diversi incontri con lui, incluso quello di Venezia, al quale partecipò anche Ingrao. Il rapporto tra Miglio e Ingrao lo ricordo come ambivalente ma anche di reciproco interesse. I due erano accomunati da una critica delle forme rappresentative tradizionali di democrazia e attenti alla nascita di nuove esigenze. Al di là del suo impegno successivo nella Lega Nord, Miglio ha svolto una funzione importante nel mettere in luce fenomeni politici che oggi sono giunti a piena maturazione.
Quali?
Miglio ha mostrato come il contratto-scambio, che in quegli anni era ancora alla base del funzionamento dei sistemi democratici, si stava logorando. Lo abbiamo visto perfettamente nel caso del contratto tra Lega e Cinque stelle! Le logiche di scambio politico hanno smesso di funzionare quando sono venuti meno il welfare state e le sue politiche espansive.
Poi, ancora, Miglio aveva ragione quando diceva che anche la logica della “rendita politica” era giunta al capolinea. Un partito non si può cullare sullo zoccolo duro di un consenso che ha storicamente maturato nel corso del tempo. Serve un reinvestimento simbolico continuo. A quell’epoca, negli anni Ottanta, si percepiva meno. Ora che siamo nella società della rete è molto più evidente.
Oggi si ha soprattutto l’impressione di vivere un’epoca caratterizzata dalla brevità dei cicli della politica. La parabola di Matteo Salvini e del suo sovranismo sono in questo senso paradigmatici…
L’avevo già detto in tempi non sospetti: a differenza del passato, nella società della rete i leader carismatici vanno incontro a un rapidissimo processo di obsolescenza. Grandi politologi ribattevano che questo governo sarebbe durato tutta la legislatura perché fondato su uno scambio di interessi nella spartizione del potere. Ma neanche lo scambio di interessi tiene quando un leader o una componente dell’accordo decide di cambiare i termini della dinamica politica, producendo una rottura e l’inevitabile reazione dell’alleato di governo.
A proposito di dinamica politica: il Pd, dato per morto fino a poche settimane fa, è davvero rinato?
Il Pd era prossimo a un collasso successivo al trend di frammentazione. Ha dovuto fare i conti con una scissione simbolicamente importante, determinata da leader storici come D’Alema e Bersani, che ha messo in discussione la continuità della storia del post-PCI. Importante simbolicamente, dicevo, ma non elettoralmente. Anche nell’epoca della rete, vi è una richiesta quasi spontanea da parte dell’elettorato di risposte affidabili: per questo la scissione va essenzialmente a colpire gli scissionisti.
Il segretario Zingaretti, dal canto suo, sta operando nel senso opposto, puntando sulla base di una ricomposizione della “Sinistra che abbiamo”, certo molto diversa non solo da quella ideale ma anche da quella realisticamente o ragionevolmente auspicabile. La sua è un’operazione che sta funzionando ma che ha anche i suoi limiti. Quando c’è una dinamica relativamente normale di alleanze la ricomposizione funziona, ma in momenti di crisi, come quello attuale, serve un altro tipo di intervento, che Machiavelli identificava con la capacità di cogliere il kairós, il momento opportuno.
A quello ci ha pensato Matteo Renzi…
Probabilmente Zingaretti non sarebbe riuscito a intercettare il significato di questa fase senza la tempistica di Renzi, che ha dimostrato di essere un politico di razza. Ma Renzi punta decisamente troppo sulla tempistica, che quando è sbagliata produce i disastri che ha prodotto come nel caso della sconfitta al referendum. Zingaretti invece sembra sbilanciato sul versante opposto, quello della pratica quotidiana e della processualità: una pratica che egli porta comunque avanti con dignità e saggezza. E non mi pare poco, vista la scena politica italica ed europea dei nostri tempi…
Quale ruolo hanno avuto i Cinque stelle in questi sviluppi?
Beppe Grillo ha svolto un ruolo decisivo, cogliendo un kairós più alto di tempistica e tattica. Il vero kairós machiavelliano sta nel cogliere i segni dei tempi e Grillo, sorprendendo con la proposta di alleanza con il Pd, lo ha fatto.

Ci spieghi meglio…
Oggi siamo sulla soglia di un radicale mutamento di forma di tutte le democrazie occidentali. Da un lato, la forma-partito così come teorizzata e sperimentata nel corso del Novecento non funziona più. Va trovata una nuova forma di mediazione politica. Si tratta di un processo fluido che porterà alla nascita di nuovi tipi di partito. Dall’altro, anche la forma-Stato non funziona più. Questa forma storica decisiva della modernità, in tutto e per tutto complementare alla forma-partito, è ancora in piedi ma è destinata a svolgere una funzione sempre più subalterna nel contesto globale. Per questo, anziché trincerarsi nella logica identitaria delle frontiere, i partiti devono cominciare a pensarsi e organizzarsi come partiti non soltanto nazionali. Solo allora potremo dire a Pd e M5S: “Benvenuti nel ventunesimo secolo!”.
L’opposto del sovranismo di Salvini?
Rispetto alla sfera pubblica delle democrazie del Novecento oggi la rete consente un effetto di sovranità che è agli antipodi di ciò che pensano i Salvini e gli Orbán. Ognuno valuta la politica a partire dalla sovranità del proprio punto di vista individuale, secondo la logica del “io la penso così e uso la rete per dirlo”. Questo è stato ben colto da Podemos in Spagna e da Grillo in Italia. Non è un caso se Grillo ha avuto il tempismo di introdurre una forma-partito anomala e se oggi dice che siamo sulla soglia di un cambiamento di epoca.
Cosa pensa dell’accordo con il Pd?
Non deve essere un contratto perché se così sarà, sarà destinato alla rottura. Deve essere un accordo su alcune grandi linee guida: o si accordano sull’interpretazione del momento storico che stiamo vivendo o ogni altro accordo di programma sarà scritto nel vento.
Come può accadere?
La qualità delle persone che guidano entrambe le forze non è entusiasmante ma è la materia prima di cui disponiamo. C’è da sperare che si rendano conto dei propri limiti e seguano il suggerimento di Grillo e di qualche sparuto intellettuale come il sottoscritto: creare un governo fatto con le competenze migliori presenti in questo Paese.
È quindi una questione di competenze?
Sì, ma non parlo di competenze esclusivamente settoriali. Non auspico un governo di tecnici: questi a volte hanno fatto più danni dei politici, perché privi ancor più dei politici di una visione di insieme. Ci vogliono competenze in grado di dialogare culturalmente con le altre competenze: dall’ambito tecnico-scientifico a quello umanistico. Ad esempio, parlando di economia, servono persone esperte in materia che abbiano un’idea precisa, e non una sporadica percezione, della crisi profonda dei paradigmi economici classici e neoclassici.
Questa è una visione molto distante dall’ “uno vale uno” dei Cinque stelle…
Non è vero, anche i Cinque stelle capiscono queste cose. Io darei loro solo un consiglio: ascoltate Grillo! Lui ha detto che la soluzione di governo deve sorprendere tutti, non solo in Italia.
Sia nel Pd sia tra i Cinque stelle ci sono persone in grado di sorprendere. Li invito a fare delle scelte che siano in grado di anticipare i cambiamenti. Già negli anni Settanta e Ottanta l’Italia è stata un Paese di riferimento. Non c’è motivo per cui non possa tornare a esserlo.


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