Addio al falco che fa sembrare Trump una colomba

Licenziamento improvviso ma non sorprendente del consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, neocon ossessionato dalla missione di demolire i risultati della diplomazia obamiana.
GUIDO MOLTEDO
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Nel suo ufficio di consigliere per la sicurezza nazionale, nella Casa Bianca, poco distante dallo studio ovale del presidente, l’avevano preceduto personaggi come Henry Kissinger, Zbigniew Brzezinski, Colin Powell, Condoleezza Rice. Lui non era del loro calibro. Falco della stessa risma, certo. Ma senza una dottrina, senza neppure una parvenza di visione, se non la cristallina pulsione a scatenare guerre nei diversi angoli del pianeta. Guerrafondaio puro. Non l’avessi fermato io, ha detto una volta Trump, saremmo già coinvolti in almeno quattro guerre. Da ieri John Bolton non è più in quell’ufficio, cacciato con un tweet brutale dal presidente: non ho più bisogno dei tuoi servizi. Via. Tra una settimana il successore. Il quarto National Security Advisor dopo Flynn, McMaster e Bolton di un’amministrazione che passerà alla storia per la decimazione dei suoi ministri.

Trump non sopportava Bolton. Si dice, innanzitutto per via dei baffi. Come il suo antesignano italiano, Berlusconi, il presidente statunitense diffida di barbuti e baffuti. Steve Bannon ha raccontato a Michael Wolff, l’autore di Fire and Fury, il best seller che rivela i retroscena della Casa Bianca di Trump, che il presidente “pensa che uno così non sia nella parte” che gli è affidata. E dunque “i baffi di Bolton sono un problema”, aveva confidato Bannon, rassegnandosi all’idea che il “suo” candidato neocon, prima alla carica di segretario di stato poi a quella di consigliere per la sicurezza nazionale, non ce l’avrebbe mai fatta a entrare nella cerchia ristretta del presidente. Così è avvenuto.

Nella migliore tradizione della politica estera e militare americana, il consigliere per la sicurezza nazionale è in competizione con il segretario di stato e con il capo del Pentagono. Su molte materie si sovrappongono, ma il consigliere ha accesso diretto al presidente e può influenzarlo molto più di un ministro. In diversi casi, il consigliere per la sicurezza nazionale è riuscito a scalzare il segretario di stato e a rubargli anche il posto. Bolton è stato bravo a inimicarsi non solo il presidente ma anche l’apparato militare e spionistico ma sopratutto il suo più diretto “concorrente”, Mike Pompeo, l’ex-capo della Cia, assurto al ruolo di capo della diplomazia, lui sì nei favori di Trump. Falco e guerrafondaio tanto quanto Bolton, ma evidentemente più abile nell’assecondare le intemperanze e gli zig zag improvvisi e imprevedibili del Capo.

Il “tricheco”, come affettuosamente chiamano l’uber-hawk, il superfalco, negli ambienti della diplomazia americana non sarà riuscito a scatenare i conflitti che avrebbe voluto far scoppiare ma lascia comunque dietro di sé un bello strascico di disastri. Tutti sotto il comune denominatore del disfare quel che l’amministrazione Obama era riuscita a costruire e ad affermare: l’Iran Deal, la distensione con Cuba, un nuovo sistema di relazioni con l’America latina, più rispettose, un atteggiamento non subalterno nei confronti di Netanyahu, un rapporto transatlantico più paritario con l’Europa. Questo suo fervore anti-obamiano l’ha fatto entrare nelle grazie di Trump, poi una volta in carica, le sue ossessioni hanno dovuto fare i conti con un capo che non vuole consigli e consigliori intorno, ma solo domestici che assecondano le sue capricciose giravolte.

Più volte Bolton è stato pubblicamente umiliato dalle improvvise decisioni del presidente, che contraddicevano, anche nel giro di pochi minuti, e spesso via twitter, sue affermazioni dottrinarie definitive, come negli incontri con Kim, come con le aperture all’iraniano Hassan Rouhani e, in ultimo, alla dirigenza dei talebani afghani, invitati addirittura a discutere a Camp David, proprio nei giorni della ricorrenza dell’attentato alle torri gemelle.

Too much, troppo, per il “tricheco”.

Al di là di questi episodi che costellano la vita interna della presidenza Trump, molti dei quali avvenuti nel perimetro degli affari internazionali, il terreno più importante per una superpotenza come l’America, la domanda più di fondo riguarda quali sono in effetti le linee guida che orientano quelle che appaiono decisioni emotive e perfino irrazionali.

È evidente che, se c’è una dottrina Trump, essa ha poco in comune sia con il classico interventismo sia con l’isolazionismo, il primo prevalentemente di stampo democratico, il secondo di stampo repubblicano. È una condotta che sicuramente spiazza i vecchi apparati, sia quello diplomatico sia quello militare sia quello spionistico. E spiazza continuamente alleati e nemici dell’America. Una spiegazione è nel suo continuare a essere un uomo d’affari che fa politica e guida l’America con la protervia del tycoon, una linea che finora gli ha anche reso, se solo si guarda al modo con cui riesce a tenere testa alla Cina, l’unico vero attore internazionale in grado di fare paura all’America.

Sugli altri dossier, ha molto minacciato ma finora poco agito di conseguenza. Ma proprio perché non si vede una qualche visione complessiva che orienti il suo operato, non è detto che quello che si è visto finora sarà confermato in questo ultimo scorcio della sua presidenza, caratterizzata peraltro da una campagna elettorale per una rielezione molto difficile. Insomma, il siluramento del baffuto Stranamore non significa che una guerra, la guerra, sia scongiurata.

il manifesto

Addio al falco che fa sembrare Trump una colomba ultima modifica: 2019-09-11T06:00:02+02:00 da GUIDO MOLTEDO
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