Africa: continente percepito sulle vicine sponde europee come fonte di continue emergenze, pandemie, guerre, migrazioni, e immense ricchezze. Un continente sterminato e superficialmente conosciuto, che Mario Giro ci spiega nel suo recente libro Global Africa. La nuova realtà delle migrazioni: il volto di un continente in movimento (edizioni Angelo Guerini).
Molti sono gli spunti di riflessione che questo volume offre, con un’indagine sociale, politica ed economica che investe il grande Sud del mondo, percepito nella maggior parte dei casi come fonte di minaccia alla tranquillità dell’occidente: Mario Giro, viceministro e sottosegretario degli affari esteri per cinque anni nei governi Renzi e Gentiloni, parla con cognizione di causa, dopo aver lavorato per la Comunità di Sant’Egidio in vari Paesi africani nell’ambito della cooperazione. Per questo le pagine del libro sono quel che si dice “vissute”, poiché affiancano riflessioni socio-politiche ad esperienze sul campo che l’autore descrive per sfatare molti dei luoghi comuni che caratterizzano la superficiale conoscenza dell’Africa in Europa.

Una sorta di apocalisse, un’emergenza continua, una minaccia di essere invasi dal miliardo e duecento milioni di abitanti del Continente Nero, tenuto a distanza per le guerre, le epidemie, la povertà? In realtà, un processo di globalizzazione interno sta sconvolgendo l’immensa Mamma Africa, con trasformazioni sociali repentine che spingono i giovani africani a trovare un posto nel mondo che permetta loro di vivere senza fame, povertà, malattie: lavoro e dignità quindi che spingono al “grande balzo” verso l’Europa popolazioni differenti, giovani dell’Africa sub sahariana e nuove generazioni della costa nord africana.
Il 65 per cento della popolazione africana ha meno di vent’anni: nel continente delle grandi migrazioni interne (non solo come erroneamente si pensa in Europa, verso il ricco Occidente), il movimento continuo di popolazioni deriva da una lunga serie di problemi e ne innesca immediatamente numerosi altri, e Giro spiega il fenomeno della “grande avventura” che attrae le giovani generazioni e le spinge all’estremo viaggio drammatico. Un viaggio che inizia dall’abbandono del villaggio verso la città più vicina, per poi continuare verso le megalopoli come Nairobi o Kinshasa, e quindi iniziare il pericoloso percorso verso il nord, attraversando il Sahara cadendo preda di trafficanti senza umanità e scrupoli.

Fine della società tradizionale: anche in Occidente questo fenomeno attraversa strisciando la nostra vita, ed in Africa lo sgretolamento delle antiche comunità, dei villaggi e delle tribù, fa sì che enormi porzioni di migranti si spostino attraverso confini incerti, incalzati da guerre e carestie. Tutti sappiamo più o meno quali sono le emergenze che attraversano il continente africano, da Est a Ovest, da Nord a Sud: lo sappiamo ma tranquillamente pensiamo che ci debbano pensare istituzioni superiori, nella fattispecie l’Europa: niente di più sbagliato, almeno fino a questo momento. Nell’Africa post coloniale (altro problema irrisolto) l’Europa litiga: un continente per secoli spartito tra Gran Bretagna e Francia, per non parlare di Belgio, Portogallo e dell’avventura italiana nell’Africa Orientale, che oggi vede affacciarsi due super colossi economici come Russia e soprattutto Cina ad accaparrarsi le immense ricchezze minerarie, terre e giacimenti.
Il ritmo altalenante delle relazioni tra Europa ed Africa (le tante Afriche in realtà) penalizza tutto il continente, che sul piano economico rappresenta poco più dell’uno per cento del PIL mondiale, con un reddito medio di cinquecento dollari pro capite annui a fronte dei cinquemila del resto del mondo occidentale.

Se terrorismo e guerre attraversano verticalmente ed orizzontalmente il continente africano, Giro ripercorre la storia dei frammentati e inquieti stati dominati da dittature decennali, dove però vari movimenti studenteschi cercano spunti di libertà. Anche l’Africa ha avuto il suo ’68, che continua oggi con eterogenei gruppi in tutte le latitudini: “Lucha” nella Repubblica Democratica del Congo, “Sindimuja”(non sono schiavo) nel Burundi, “Wake up” nel Madagascar, “y’en ai marre” (Ne ho abbastanza) nel Kenya, “Balai Citoyen” (spazza via cittadino) nel Burkina Faso, “Jeune et Fort” (Giovane e forte) nel Camerun, sono solo alcuni esempi che Giro descrive come tentativi di riscatto sociale, culturale e politico per mano di giovani che studiano in Africa. Altro grande problema, la scolarizzazione, per secoli nelle mani dei colonizzatori e fonte di lotta e di rivendicazioni fino a oggi.
“Guerre di predazione” sono i termini che Giro utilizza per descrivere la drammatica discesa in campo di grandi potenze straniere, per il controllo ad esempio delle immense miniere di diamanti, che hanno causato e causano milioni di morti, feriti, amputati. Popolazioni in fuga, senza più protezione, senza scuole, lavoro, clan familiare, sanità, ospedali: ecco cos’è l’Africa, un continente “senza”. Una continente di esclusi, preda di mercanti e mercati illegali, semischiavi sottoposti a caporalato (non estraneo ahimè neppure alle nostre latitudini), sfruttamento e fuga, fino al drammatico arrivo sulle coste libiche per il grande balzo via mare verso un Nord molto poco accogliente.

Come fare dunque per “resuscitare” questa pentola in ebollizione che è l’Africa?
Giro ci presenta due esempi nella persona di Denis Mukwege e di Floribert Bwana Chua, uno famoso l’altro sconosciuto: il primo, premio Nobel 2018 per la Pace, medico congolese, fondatore nel 1998 del Panzi Hospital a Bukawu, ospedale specializzato per la cura delle donne vittime di stupro. Il secondo, il giovane doganiere Floribert, ucciso a 26 anni, sempre nel Congo, a Kiwu perché si era rifiutato di farsi corrompere per far entrare nel suo Paese alimenti avariati. Floribert si era avvicinato alla Comunità di Sant’Egidio locale, e cercava di applicare nella vita gli ideali di onestà per ricucire quei “fazzoletti strappati” che sono le vite lacerate di tanti africani.

Accanto a emergenze umanitarie, terrorismo, pandemie, guerre e sconvolgimenti sociali, l’Africa sempre meno rurale e preda di carestie è facile terreno di una “religiosità à la carte” che unisce superstizioni a tradizioni e falsi nuovi profeti. Sette e miscugli di credenze si inseriscono in un terreno socialmente fragile, con mille sfaccettature che si insinuano nei fondamentali di antiche religioni: le missioni cristiane presenti da secoli nel continente, le religioni animiste tradizionali, l’islam ed il nuovo islam fondamentalista. La ricerca di un nuovo ordine morale e materiale è la spinta di nuovi predicatori, come il pentecostale Joshua che risveglia nuovo orgoglio e derive nazionalistiche. Secondo le statistiche del 2010, in Africa sono 517 i milioni di cristiani, 248 i milioni di musulmani e permane un 3,3 per cento di popolazione animista sul miliardo e seicentomila abitanti del continente, lacerato da guerre e colpi di stato violenti, spinti da odio etnico ed enormi interessi economici dei quali Mario Giro fa un dettagliato e crudele resoconto.

Questo libro è quindi un’occasione per riflettere e rispettare, come afferma l’autore, un enorme insieme di popoli diversi, attraversati da emergenze climatiche, sociali, economiche, che influenzano anche la vita del prospero Nord del mondo: un Nord che siamo noi, che non ci rendiamo conto di fatti che avvengono molto molto più vicino a noi di quanto crediamo. Basta aprire una carta geografica: avanti, facciamolo.


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