È morto sabato scorso Roberto Villetti, già segretario della FGS, l’organizzazione giovanile del Psi, direttore dell’Avanti!, parlamentare. Roberto Villetti, l’uomo pubblico, è stato un militante di partito e un fine intellettuale che ha intrecciato strettamente, come pochi, la sua vita con quella del Partito socialista e del suo storico quotidiano. Non saprei né potrei davvero neppure tentare di riassumerla senza commettere errori gravi e mi limito perciò solo a qualche breve accenno personale e al ricordo di due eventi che ritengo utile per capire un po’ chi era umanamente, politicamente, professionalmente.
L’avevo conosciuto nel 1979 quando ero entrato nella redazione dell’Avanti e lui era vicedirettore, per la minoranza lombardiana.
La nostra amicizia non aveva avuto un bell’inizio. Con la franchezza ruvida che lo contraddistingueva, – ma questa sua qualità l’avrei capita e apprezzata solo molti anni dopo – a chi gli faceva notare che a favore della mia assunzione pesava anche il fatto che avevo una figlia piccola da mantenere, aveva risposto: “Questi sono fatti che non ci riguardano…” o qualcosa del genere.
Aveva molti difetti, come tutti. Ma anche pregi notevoli.
Una franchezza, appunto, al limite della brutalità, che si rivelava estremamente utile nelle analisi politiche perché spiegava e ripeteva che bisognava separare i fatti dai sentimenti se non si volevano compiere gravi errori di valutazione. Un metodo che a una prima conoscenza superficiale lo faceva apparire di un cinismo glaciale mentre l’uomo era fatto di tutt’altra pasta.
Roberto Villetti aveva anche un’intelligenza e una cultura fuori dal comune; una sensibilità politica quasi magica; un’educazione borghese di grande livello che gli permetteva di essere cortese dando ascolto a chiunque per comprenderne le ragioni; una cocciutaggine marmorea, a tratti insopportabile, che gli consentiva però di raggiungere, e far raggiungere, obiettivi altrimenti inarrivabili.
Ho lavorato con lui per un’infinità di tempo soprattutto dopo la chiusura del giornale.
Con lui ho bisticciato per il lavoro e per la sua, a volte, insopportabile pignoleria, che lo portava a dimenticare l’esistenza del tempo che non era una variabile, ma un dato oggettivo con cui qualunque redazione era costretta a fare i conti. Da lui ho avuto una montagna di preziosissimi insegnamenti e poi finivo per scoprire che aveva ragione non sempre, ma molto spesso.
Alla fine, negli anni, era cresciuta una stima reciproca assieme a un timido affetto basato soprattutto su una reciproca e disinteressata umana comprensione.
La sua direzione dell’Avanti! era arrivata nel momento peggiore, più difficile della quasi centenaria storia del quotidiano.
Alla vita grama dei giornali di partito lui opponeva un progetto di qualità, soprattutto culturale, che avrebbe richiesto ben altri mezzi, soprattutto economici, di quelli a disposizione, ma la montagna davvero invalicabile fu la crisi politica provocata dalle inchieste giudiziarie di tangentopoli.
Con Bettino Craxi segretario del Psi si aprì un delicatissimo contenzioso politico perché Villetti, direttore del giornale, non condivideva integralmente la linea difensiva scelta dal leader socialista, e in particolare gli attacchi ai magistrati della procura di Milano. Paventava il disastro che sarebbe avvenuto, ed era diviso tra i suoi obblighi morali e professionali, i sentimenti di affetto e le ragioni politiche. Un confronto amarissimo che si concluse con la sua uscita dal giornale nell’ottobre del 1992.
Riconosceva al Craxi politico grandi meriti, intuizioni geniali, ma anche una sottovalutazione della “questione morale”. Definiva quel periodo della storia del Psi, denso di luci, ma anche di ombre. Non voleva negare in toto la fondatezza delle accuse, ma combatté sempre la carneficina morale e politica di cui fu vittima Craxi e tutto il Psi.

Aveva una posizione politica chiarissima: il Psi può stare solo a sinistra. Non venne mai meno a questo assunto di principio, ai valori e ai legami storici del socialismo italiano e internazionale anche se, per salvare il suo partito, progettò e condusse più di un’alleanza politica con altri partiti, ma sempre nel perimetro del centrosinistra.
Un altro snodo cruciale per la storia dei socialisti italiani lo vide protagonista assoluto, anche se un po’ defilato: l’alleanza con i radicali di Pannella nella Rosa nel Pugno. Non era un’alleanza di comodo, un escamotage per superare l’asticella elettorale delle soglie per entrare in Parlamento, era un vero e proprio progetto di lungo respiro.
A parte la sua fortissima adesione ai valori laici e repubblicani, Roberto Villetti vedeva in questa fusione, che non fui mai fredda, ma piuttosto rovente, un futuro per i socialisti, per i radicali e per il Paese. Da una parte un piccolo partito, ancora ben organizzato sul territorio, ma affaticato dalla gestione del potere nei comuni e nelle Regioni; dall’altra un movimento ricco di iniziativa e con personalità straripanti come quella di Pannella e di Emma Bonino; da una parte la tradizione delle lotte sociali, dall’altra quella per i diritti individuali e le libertà civili con grandi battaglie combattute, e vinte, assieme per il divorzio e l’aborto. Un matrimonio insomma in cui c’era sì l’interesse, ma anche il cuore. Un progetto, purtroppo, abbandonato troppo presto e per ragioni che non possono essere trattate qui.
Sulla strategia, sugli errori commessi, su quegli anni così complicati, personalmente come tantissimi altri ero pieno di dubbi e non devo difendere oggi la memoria di Roberto Villetti dentro al partito, ma penso davvero che ha fatto un torto all’intelligenza chi a volte ha ridotto il suo agire a una questione di vantaggi personali, peraltro piuttosto scarsi: Roberto aveva un modello di partito ideale, di socialismo, in testa e lo perseguiva con coerenza, cocciutaggine, e anche, talvolta, con cinismo e durezza. E con la durissima sconfitta delle elezioni del 2008, ha lasciato la scena con altrettanta coerenza e determinazione.
Non è facile ricordare altri esponenti politici che hanno avuto un comportamento così nitido.
Eravamo rimasti in contatto. Erano telefonate che cominciavano quasi sempre allo stesso modo: “Non voglio parlare di politica…” e invece non duravano mai meno di un’ora e mezza e si parlava solo di questo. Non voleva assolutamente parlare di sé, tanto meno della sua salute. La sua vita era la politica e il socialismo.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!
1 commento
Villetti l’ho conosciuto prima, nel ’66, ai tempi della Fgsi . Facevo parte della commissione paritetica istituita tra i giovani socialisti e quelli socialdemocratici per lo svolgimento del congresso, che fu celebrato a Perugia l’anno dopo e vide il successo dell’alleanza tra lombardiani, demartiniani e sinistra socialdemocratica, contrapposta ai giovani autonomisti ed alla maggioranza degli ex psdi. Roberto era un giovane, proveniente dalla federazione romana, allora senza incarichi, ma molto ascoltato per la sua preparazione nell’ambiente dei lombardiani, a cui anch’io aderivo nonostante provenissi dai giovani del Psdi. Dopo il congresso Roberto fu chiamato a far parte della Direzione nazionale della Fgsi e da allora, essendo stato il sottoscritto nominato vicesegretario e responsabile scuola, iniziammo una proficua collaborazione, anche tormentata essendo in piena fase sessantottina, e successivamente anche qualche scazzo politico (mi scuso del termine) per la mia defenestrazione da responsabile scuola e poi anche da vicesegretario e il mio distacco dalla corrente lombardiana, anche se sempre nel versante di sinistra del partito, prima Bertoldi, poi Achilli. Ma il tutto sempre nell’ambito della correttezza e del reciproco rispetto. Tanto che nel ’72, quando a Venezia si celebrò il Congresso della Fgsi che vide la sua nomina a segretario, Roberto scese dal palco e venne a congratularsi calorosamente dopo il mio intervento. In seguito non abbiamo avuto occasione d’incontrarci, anche perché poco dopo ho lasciato l’attività politica, pur conservando le mie convinzioni politiche di sempre. Scusate l’intervento, forse anche un po’ troppo personale, ma ci tenevo a lasciare questa testimonianza. Roberto la merita.