L’unica attenuante a cui posso aggrapparmi, per un mio incauto post su Fb [polemizzavo con i miei colleghi retroscenisti che davano per imminente e certa la scissione di Renzi], è che sono in buona compagnia. Perfino il sindaco di Firenze non seguirà Renzi. E poi tanti altri, anche politici che sembravano informati, e invece non lo erano. Franceschini, mentre s’intensificavano le voci del prossimo addio di Renzi, rassicurava i suoi interlocutori. Non gli conviene uscire, diceva. Soprattutto ora. Ed era anche la convinzione su cui ho basato il mio “ragionamento”.
Nel frastuono che inevitabilmente accompagna una decisione di questa portata, e tra i tanti interrogativi che essa solleva, è difficile capire davvero che sta succedendo e quali saranno le conseguenze. Non m’interessa aggiungere la mia alle numerose voci, legittime, di deprecazione e anche indignazione – tanto meno a quelle della difesa d’ufficio. Credo che il tema della tempistica sia il più interessante, anche perché mi sembra sia una questione elusa da Renzi nelle sue dichiarazioni (sentiamo che dirà da Vespa stasera).

La spiegazione è semplice. Non c’è un momento buono per una separazione. L’avesse rinviata, tra qualche mese, e l’avesse fatto in conseguenza di una diatriba su interessi correntizi, che il pubblico non apprezza, non sarebbe stato meglio. Ma farla adesso gli riporta addosso la figura del rottamatore, non di vecchi arnesi, ma di una cosa nascente, della quale poteva anche fregiarsi di essere il padre. Senza contare il sospetto, fondato, che la nuova collocazione gli dà la possibilità di partecipare alla prossima distribuzione di posti ai vertici di aziende pubbliche. E poi Calenda. Ma da quello che si vede in Veneto dove sta cercando di trovare slancio, Calenda non ha chance, è un solista.
Caso mai, avrebbe dovuto “strappare” parecchio tempo prima, come giustamente rivendica Massimo Cacciari di avergli consigliato di fare:
Matteo Renzi ha fatto benissimo.[…] È una cosa molto positiva e mi è piaciuta tanto anche la sua intervista a Repubblica, molto chiara. […] [La scissione] avrebbe dovuto farla cinque anni fa, se avesse seguito i miei aurei consigli. Oggi avremmo il partito di Renzi al venti per cento, la sinistra al quindici (o viceversa) e governeremmo beati e tranquilli insieme.

Il secondo punto, secondo me importante, riguarda la forza che può derivargli dall’essere fuori del Pd.
Aveva ragione D’Alema quando, nella direzione nel dicembre 2008 (segretario Veltroni), definì il Pd “un amalgama mal riuscito”. Era evidente che si trattava della somma di due debolezze. Eppure il progetto aveva un senso e avrebbe potuto consolidarsi.
Sembra di riascoltare le parole di Fausto Bertinotti alla riunione dei comunisti del Pds, ad Ariccia nel 1993, la loro ultima, prima della scissione e dell’ingresso in Rifondazione. A Pietro Ingrao che sceglieva “il gorgo” (e cioè di restare, dopo lo scioglimento del Pci, nel partito più grande, il Pds) si contrappose Fausto Bertinotti che (in procinto di entrare da segretario nel Prc) sentenziò: “I merli con i merli, i passeri con i passeri”. Dove portò quella logica, è storia nota.
Le due debolezze adesso tornano ognuna nel proprio perimetro di fragilità, col rischio di andare tutte e due a fondo. Il Pd non ha più il cattivo che fa sentire tutti buoni e tutti uniti contro di lui. Tra le componenti si apre il contenzioso che aveva già sfinito i Ds nella fase finale, mentre dall’esterno le varie sinistre si daranno da fare per non farsi togliere spazio vitale dalla “nuova” “cosa” socialdemocratica.
La “cosa” renziana è un embrione il cui sviluppo è basato su numerose scommesse e diverse variabili, imprevisti e criticità. La principale delle quali riguarda il personale politico. Un po’ come avvenne con Craxi, che stava antipatico a tanti, ma ancora più antipatici erano i craxiani. C’è in giro un rampantismo renziano fastidioso, irritante, a livello locale, che in certi luoghi si connette anche con personaggi della vecchia politica spesso non proprio limpidi. Fosse rimasto nel Pd, con tutti i problemi veri e gonfiati che egli denuncia, sarebbe dentro un partito che resta, nonostante tutto, abbastanza strutturato e organizzato. Nei territori c’è ancora un po’ di Pd. E c’è ancora parecchio Pd di base che lo tiene in considerazione. Volerlo rottamare, come fa implicitamente, abbandonandolo, è puro autolesionismo oltre che un colpo basso, che quella comunità – forse non i suoi dirigenti – non merita.

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1 commento
Ottimo articolo.