[TEL AVIV]
Che governo sarà, un esecutivo guidato da Benny Gantz? Un esecutivo guidato da un generale? Anzi, da tre generali. La formazione politica che ha avuto più voti nelle recenti elezioni israeliane – Kahol Lavan, Blu-bianco, i colori di della bandiera – vede al suo vertice l’ex generale Benny Gantz, ex capo delle forze di difesa (IDF), e il giornalista Yair Lapid, rispettivamente a capo del Partito della resilienza e di Yesh Atid. A questi vanno aggiunti Telem, guidato da Moshe Bogie Ya’alon, ex generale, ex capo dell’IDF ed ex-ministro della difesa, e gli indipendenti di Gabriel Gabi Ashkenazi, anch’egli ex generale ed ex capo dell’IDF.
In Israele, non è certo una novità la presenza in politica di ex-militari ed ex-generali. In questo caso si tratta di tre generali contemporaneamente in posizione di vertice.
Di solito i generali, quando si trovano al top di una forza politica, vi portano con sé il bagaglio e le modalità proprie dell’ambiente in cui hanno vissuto e si sono forgiati, all’insegna del comando e delle regole gerarchiche. Tendono a essere individualisti e inclini a governare con polso. In questa vicenda, essendo in tre, devono, vogliono, dimostrare di essere capaci di agire in team, di giocare come squadra. Si vedrà.

Ma c’è un altro punto critico. Il rapporto con il “civile” Lapid.
Yair Lapid aveva messo su un suo partito solido e centrale nella politica israeliana, Yesh Atid (C’è un futuro) e puntava sul suo prestigio e notorietà con l’ambizione di diventare primo ministro. Benny Gantz era un generale molto corteggiato da tutti i partiti (sia di destra sia di sinistra) per la sua popolarità. Dopo molte titubanze Gantz ha deciso di fare un suo partito. Un altro generale, ministro della difesa di Netanyahu, estromesso da Bibi in malo modo, ha creato un partito proprio. Moshe Bogie Ya’alon, marcatamente di destra. Un terzo generale Gabi Ashkenazi, anche lui molto ricercato dai partiti, che sono sempre interessati ai militari in pensione, da tempo si stava dando da fare per entrare in politica. Prima si sono messi insieme Gantz e Bogie (mantenendo pero entrambi il proprio partito). In un secondo momento, dopo molte riluttanze, il duo si è unito a Lapid. Il terzo generale, che non riusciva a decidere dove inserirsi e che però era coinvolto nelle trattative, alla fine si è unito alla compagnia. Bisogna ora vedere come può tenere questa “chimica” personalistica, tra i tre militari, e tra loro e Lapid.

Va chiarito che i militari ancora in attività non possono fare politica né fanno sapere con quale partito si schierano. Quando poi vanno in pensione, dopo un periodo di pausa nel quale è loro proibito di militare in partiti, possono infine entrare nell’arena politica. Certo, sono tutti personaggi che, in divisa, hanno avuto contatti frequenti e diretti con il governo, con il parlamento. Se il governo decide e dirige la politica militare, l’IDF gode di considerevole autorità e indipendenza. E si può dire che i vertici delle forze armate, da alcuni anni, tendono a essere molto più moderati di chi è al governo, anzi svolgono anche un ruolo di freno alle velleità militariste dei politici.
Quali siano dunque le idee politiche dei generali, è da scoprire, soprattutto per via della loro estraneità, come s’è detto, alla pratica politica (con l’eccezione di Bogie che è stato per alcuni anni nel Likud).
La capacità di tenersi unite, di queste componenti, è la posta in gioco in questo momento. Riusciranno i tre generali e il giornalista a restare compatti o Netanyahu sarà abile nel dividere il loro schieramento, “comprandone” una delle componenti per fare il suo governo di destra?
Sul fronte avverso, la compattezza del Likud è anche dovuta alla leadership assoluta e autoritaria di Netanyahu. I notabili hanno addirittura firmato un documento di lealtà al Capo. I quaranta candidati in testa di lista del Likud hanno sottoscritto una petizione, lo scorso agosto, nella quale si sottolinea che il primo ministro Benjamin Netanyahu, e solo Netanyahu, è il candidato del partito designato a guidare il nuovo governo. D’altra parte nel Likud non ci sono altre personalità di rilievo, né ci sono correnti, né un successore designato. Tutti giurano fedeltà assoluta a Bibi.

Ora i blu-bianchi vorrebbero fare una coalizione di governo con il Likud, ma senza Netanyahu (perché – dicono – ha in corso i tre processi, e la loro campagna elettorale ha puntato il dito contro di lui, definendolo corrotto e autoritario).
In definitiva, lo scontro in atto tra i due campi è definito dal tentativo di dividere il fronte avversario. Scoppierà la lotta per la successione a Netanyahu? Riusciranno i politici del Likud a emanciparsi e liberare il partito dal potere autoritario di Bibi? E Bibi riuscirà a incrinare la compattezza dei militari?
Determinante il ruolo del presidente Reuven Rivlin. Una carriera nel Likud, ha avuto in passato duri conflitti con Netanyahu. I due non “si pigliano”. A chi darà il compito di costituire il governo? Secondo quali criteri? Al partito con il maggior numero di seggi? O al partito che può contare su una rete di alleanze più ampia? Farà pressione, il presidente, per costituire un governo di unità nazionale, con tutti i partiti o solo con alcuni?

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