Facciamo un respirone zen e svuotiamo la mente da Greta Thunberg.
Spulciamo invece la cronaca, e i dati, sparsi negli ultimi decenni, anche nei nostri territori, e appare, facilmente che abbiamo qualche problemino ambientale: da Porto Marghera ai PFAS, dai pesticidi alla cementificazione.
Viviamo nell’area, la pianura padana, che respira l’aria più inquinata d’Europa.
Sono fatti ampiamente riconosciuti, anche se questo non implica che ci sia una diffusa coscienza dei loro effetti e, forse ancora meno, un’idea di come affrontarli.
Le cause dei danni apparentemente locali sono, sostanzialmente, le stesse: gestione delle produzioni, della attività umane in senso più ampio, che non mettono nella contabilità gli effetti di entropizzazione dell’ambiente.
E, allo stesso tempo, per produrre i danni apparentemente locali, ovunque, impieghiamo fonti di energia: ogni produzione, oltre che impiegare lavoro, usa energia. Fossile per lo più (che poi altro non è che fotoni del sole messi in “banca”: energia del passato. Siamo conservatori in materia di energia).
Quindi se, con più o meno convinzione, si ammette l’esistenza di qualche disordine ambientale, almeno su scale locali, cambiare scala, passare dai grammi ai kilogrammi, dal locale al generale, induce un vibrante mal di pancia.
Inquinamenti sì, alterazioni climatiche no.
Siamo sporcaccioni localmente ma ininfluenti a scala globale. Siamo disposti a migliorare la raccolta differenziata ma non a riflettere su una possibile o necessaria transizione energetica.
Il fossile è stato, questo è indubitabile, la fonte di energia che ha promosso un grande sviluppo economico: i Pil del mondo si nutrono ancora di idrocarburi (e di lavoro, certo). Eppure, anche chi non riconosce un’emergenza climatica, quando ammette che vi siano problemini ambientali, più o meno locali, ammette che il progresso alimentato dal fossile qualche effetto collaterale lo produce.
E qui si apre la questione: ma siamo al novanta per cento di benefici e dieci per cento di effetti collaterali o stiamo scivolando verso un settanta per cento e trenta per cento? E se fossimo già al 51 per cento di benefici e 49 per cento di effetti collaterali?
Se avessimo avuto circa settant’anni di prevalenza di benefici ma ci aspettassero duecento anni di pessimi effetti collaterali? Un po’ come le economie fatte lievitare con il debito che viene poi scaricato sulle generazioni che verranno.
Qui il mondo della scienza è, in larga misura, convinto che la situazione sia molto delicata e per qualcuno grave.
Il punto fondamentale non è che vi sia una variazione climatica, sempre presente nella storia della Terra. È che il fenomeno sta accelerando la sua “naturale” dinamica in periodi brevissimi rispetto alle durate del ciclo, coinvolge non parti, sia pure rilevanti del pianeta, ma è globale. Ci ricorda qualcosa la parola? Economie globali, finanza globale, flussi di merci globali, consumi energetici globali, emissioni di anidride carbonica globali.
E impatta su società demograficamente complesse, con ampi insediamenti costieri e con bisogni alimentari voraci, nemmeno confrontabili con quelle dei secoli o millenni passati. Dallo spazio, la Terra è ovunque illuminata: è quella la simbologia, energetica, dell’epoca che stiamo vivendo.
Discutere di questo, ampiamente, civilmente, con passione, lasciando voce a tutti, dagli scienziati agli economisti, persino ai filosofi, è un’occasione di SPECIE formidabile. Probabilmente unica. Dovremmo sentire i neuroni saltare come delfini nell’oceano. E il fatto che queste tematiche attraversino il corpo giovane della società, quelli che più hanno futuro, quelli a cui lasceremo il debito pubblico e quello ambientale, dovrebbe essere, di per sé, un evento che induce buon umore.

Smettiamo la respirazione zen e ripensiamo a Greta Thunberg.
Non per quello che dice. Per quello che le dicono.
Chissà se anche negli altri paesi c’è stato il linciaggio che c’è stato in Italia. Qui, tra stampa e social, è affiorato un campionario di rancoroso malanimo come non accadeva di leggere da tempo. Si capisce bene che le mosche nocchiere dell’energia fossile siano infastidite da un tale clamore: cambiare paradigma energetico! Un’eresia, una bestemmia. E si capisce, anche, che l’esercito dei sovranisti non possa simpatizzare per movimenti che diluiscono i confini nazionali sino a confonderli con l’intero pianeta. Che cambino, cioè, la scala delle priorità.
Ma si capisce altrettanto bene che gli attacchi soggettivamente più rabbiosi provengano da tutti quelli che siano, più o meno coscientemente, vissuti nell’agio dell’energia disponibile (e a costo accettabile) e contino di trapassare (in Paradiso) lanciando solo qualche critica al capitalismo energivoro, qualche richiesta di approfondimenti analitici, qualche rattoppo in tempi biblici, ma cambiando il minimo nei tempi in cui consumi la loro comoda senescenza.
Non hanno più energia per affrontare un cambiamento energetico: non possono tollerarlo, nemmeno che se ne discuta con troppa veemenza, con quel colore acceso che portano con sé le passioni, soprattutto giovanili.
Quelli che si sono nutriti con molta energia non tollerano che si parli di dieta energetica.
Vogliono la stessa dose di energia, esattamente come l’eroinomane vuole la sua iniezione quotidiana che lo conforti e lo plachi, perché l’energia, immaginata sempre abbondante, illude che condizionatori, motori a combustione, arei, treni, macchine, farmaci e fertilizzanti siano disponibili per sempre. Solo con piccoli, criticabili ma sopportabili, effetti collaterali.
Il movimento che contrasta i cambiamenti climatici, Greta Thunberg e non solo, suggerisce che questo sogno si stia dissipando, che arriverà il risveglio.
E questo sarà il tema dei prossimi decenni. Un tema non solo scientifico, ma culturale e comportamentale. Un tema universale, una sfida di SPECIE.
Finalmente.
Poi, con il potere, sarà un bello scontro, certo…

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!