Sauditi. Minacce e segnali di resa

Il potente Mohammed bin Salman avverte: uno scontro militare con l’Iran farebbe crollare l’economia mondiale. Poi aggiunge: una risoluzione pacifica “è molto meglio di quella militare”.
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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MBS torna a parlare. E lo fa evocando uno scenario apocalittico: uno scontro militare con l’Iran. Che farebbe crollare l’economia mondiale. Mohammed bin Salman, (MBS per i media internazionali) erede al trono saudita, rientra sulla scena (mediatica) internazionale con una intervista trasmessa ieri dalla rete televisiva statunitense Cbs nel programma 60 minutes. MBS sa bene che per allertare la comunità internazionale e soprattutto le potenze occidentali più dipendenti dal petrolio, in primis la Gran Bretagna, occorre far leva più che su ragioni geopolitiche o battendo sul tasto, consumato ormai, della penetrazione della mezzaluna sciita in Medio Oriente, sulla direttrice Damasco-Baghdad-Beirut, sull’incubo di una “esplosione” della bolletta energetica che porterebbe al collasso le economie di mezzo mondo.

Mohammed bin Salman, (MBS per i media internazionali) e Norah O’Donnell, 60 Minutes

A Norah O’Donnell il giovane erede al regno saudita lo dice chiaramente: i prezzi del greggio potrebbero salire a “numeri inimmaginabilmente alti” in caso di un conflitto armato nel Golfo.

La regione rappresenta circa il trenta per cento delle forniture energetiche mondiali, circa il venti per cento dei passaggi commerciali globali, circa il quattro per cento del PIL mondiale (prodotto interno lordo), elenca MBS.

Immagini che tutte e tre queste cose si fermino. Ciò significa un collasso totale dell’economia globale, e non solo dell’Arabia Saudita o dei paesi del Medio Oriente,

insiste con il suo intervistatore. Da qui l’esortazione al mondo perché metta in campo “azioni forti e ferme per dissuadere l’Iran” e impedire che la situazioni peggiori ulteriormente.

MBS ha anche affermato di essere d’accordo con la conclusione del segretario di Stato americano Mike Pompeo che gli attacchi del 14 settembre alle strutture petrolifere del regno siano stati un atto di guerra da parte dell’Iran, che pure ha negato decisamente un suo coinvolgimento in attacchi rivendicati dagli Houthi.

Nella stessa intervista, l’erede al trono, tuttavia, ha affermato di preferire una risoluzione pacifica perché “è molto meglio di quella militare”, aggiungendo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump dovrebbe incontrarsi con il suo omologo iraniano Hassan Rouhani per elaborare un nuovo accordo sul programma nucleare di Teheran e sull’influenza iraniana in tutto il Medio Oriente.

Nel programma 60 Minutes, il principe ereditario ha anche negato di aver ordinato l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi all’interno del consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul il 2 ottobre 2018.

“Assolutamente no”, ha risposto quando gli è stato chiesto se avesse ordinato l’omicidio. Ma ha detto che “si è assunto la piena responsabilità”, dal momento che è stato commesso da persone che lavorano per il governo saudita”. Annota Frank Gardner, analista di punta della BBC:

Ci sono interessanti, anche se impliciti, indizi in questa intervista sul perché la risposta saudita al drone e agli attacchi missilistici del 14 settembre sia stata così contenuta. Si noti che il principe ereditario avverte che una guerra con l’Iran sarebbe catastrofica, non solo per il suo paese ma per l’economia globale. Quattro anni fa, quando MBS ha impegnato le sue forze nella disastrosa guerra in Yemen, la sua risposta avrebbe potuto essere più audace. Ma la guerra in Yemen non è andata come previsto dai sauditi mentre il loro nemico, i ribelli Houthi, stanno lanciando un numero sempre crescente di droni e missili oltre il confine comune. I recenti attacchi all’industria petrolifera saudita, imputati all’Iran, hanno causato danni reali. Quindi i sauditi ora sanno quanto siano vulnerabili le loro infrastrutture esposte a qualsiasi attacco iraniano.

Per il momento sia gli americani che i paesi sunniti del Golfo stano rafforzando le difese militari. Dopo aver capito da dove sono passati quei droni, le prime mosse saranno rafforzare la rete di radar e la difesa aerea su tutte le installazioni saudite e americane, sia petrolifere che militari. Nel Golfo da mesi la US Navy ha una portaerei, la USS Abraham Lincoln, ma nelle basi saudite, del Bahrein e del Qatar sono schierate altre decine di caccia e di bombardieri. Intanto, Saudi Aramco avrebbe informato almeno quattro clienti che le consegne di greggio previste per inizio ottobre subiranno un rinvio nel corso del mese.

Lo scrive Bloomberg citando alcune fonti secondo cui, dopo gli attacchi agli impianti, Saudi Aramco ha dovuto rivedere i piani di fornitura di petrolio ma avrebbe comunque assicurato che verranno rispettati i volumi fissati nei contratti di fornitura. Riyadh fa i conti con gli ingenti danni economici e valuta di rinviare ancora una volta la quotazione di Aramco, la società petrolifera che in Borsa doveva valere almeno cento miliardi di dollari.

Gli attacchi al cuore petrolifero del Regno riaccendono anche le polemiche interne a Washington sui rapporti con Teheran. Il senatore repubblicano Lindsay Graham, stretto alleato di Trump e membro del Comitato per le relazioni estere del Senato, ha affermato che quegli attacchi hanno mostrato che l’Iran non è interessato alla pace e sta invece perseguendo lo sviluppo di armi nucleari e il dominio regionale.

Ora è tempo che gli Stati Uniti mettano sul tavolo un attacco alle raffinerie di petrolio iraniane se continuano le loro provocazioni o aumentano l’arricchimento nucleare,

ha affermato Graham su Twitter. Ma c’è chi la pensa all’opposto.

Questa è una semplificazione così irresponsabile ed è il modo in cui entriamo in guerre stupide,

ha twittato il senatore democratico e membro del Comitato Chris Murphy.

L’Iran sostiene gli Houthi ed è stato un cattivo attore, ma è semplicistica l’equazione Houthi=Iran. Sullo sfondo dello scenario tratteggiato da MBS, gli addetti ai lavori, valutano le possibili ripercussioni sui prezzi del greggio: “Abqaiq è il cuore del sistema e ha appena avuto un infarto”, spiega al Wall Street Journal Roger Diwan, consulente petrolifero per Ihs Markit, sottolineando che è ancora impossibile prevedere le conseguenze esatte del raid.

Gli fa eco dalle pagine del Guardian Robert McNally, del Gruppo per l’energia Rapidan:

è forse uno dei siti più importanti del mondo per l’approvvigionamento di petrolio. I prezzi del greggio balzeranno dopo l’attacco. Se il blocco della produzione è esteso, sarà probabile che si ricorrerà al rilascio di riserve petrolifere strategiche da parte dei paesi dell’Agenzia internazionale per l’energia. In ogni caso, il rischio di una escalation di rappresaglie, che porterà a un ulteriore aumento dei prezzi del petrolio, è aumentato in modo significativo.

Jamal Kashoggi

Una cosa sembra certa, Trump tutto desidera tranne impelagarsi in una nuova guerra in Medio Oriente: gli americani non lo vogliono e questo conta, e tanto, quando è in gioco un secondo mandato alla Casa Bianca. E allora, ecco la carta dell’ulteriore inasprimento delle sanzioni contro il regime di Teheran.

I nemici del regime iraniano – rimarca su Internazionale Pierre Haski di France Inter – sono convinti che l’embargo petrolifero e le sanzioni stiano soffocando l’economia di Teheran. In effetti tutte le testimonianze concordano sul fatto che le sanzioni stanno avendo un forte impatto sulla vita degli iraniani. I ‘falchi’ dell’amministrazione (Usa) pensano che portare al massimo la pressione sia una scelta migliore rispetto a quella di entrare in una logica di compromesso, come invece aveva fatto Barack Obama e come propongono oggi i francesi. È la stessa posizione di Benjamin Netanyahu, che in una telefonata ha fatto presente al presidente francese Emmanuel Macron che non è il momento di allentare la pressione…

Una lettura che trova conferme dirette a Gerusalemme.

Da tempo e in ogni consesso internazionale denunciamo la pericolosità del regime iraniano e la sua determinazione ad assumere una posizione di comando in Medio Oriente. Non si tratta solo del dossier nucleare. Non c’è Paese del Medio Oriente in cui Teheran non ha allungato i suoi tentacoli, direttamente, come in Siria, Iraq e Yemen, o indirettamente, come in Libano attraverso Hezbollah o a Gaza con Hamas,

ribadisce Yuval Steinitz, uno dei ministri israeliani più vicini al premier uscente Netanyahu. Steinitz, ex presidente della Commissione difesa ed esteri della Knesset, la più importante del parlamento israeliano, mette sotto accusa la comunità internazionale:

L’accordo sul nucleare è stato una sciagura non solo perché l’Iran continua a lavorare per dotarsi dell’arma atomica, come conferma l’annuncio di oggi, ma perché quell’accordo, fortemente voluto dall’ex presidente Usa Barack Obama ha “sdoganato” l’Iran, illudendosi che potesse divenire un soggetto di stabilizzazione in Medio Oriente. Ma la realtà va nella direzione contraria: l’Iran vuole realizzare il suo impero nell’area, divenire la potenza egemone e questo Israele non può permetterlo.

Su questa lunghezza d’onda, Israele entra in sintonia con l’Arabia Saudita. L’asse Gerusalemme-Riyadh si rafforza in funzione anti-iraniana.

I tre punti principali dell’accordo – nota Zvi Barel, analista militare di Haaretz – si fondano sulla concessione di permessi alle imprese israeliane di aprire succursali negli Stati del Golfo, agli aerei israeliani di volare nello spazio aereo degli Emirati Arabi Uniti e sull’installazione di linee telefoniche dirette tra i due Paesi.

Un legame, quello tra Riyadh e Gerusalemme, che resterà saldo, concordano gli analisti politici a Tel Aviv, anche nell’eventualità di una uscita di scena, peraltro tutt’altro che scontata, di Netanyahu e la formazione di un governo guidato dall’ex capo di Stato maggiore e leader di “Blu e Bianco” Benny Gantz.

Sauditi. Minacce e segnali di resa ultima modifica: 2019-09-30T16:56:20+02:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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