Baghdad, coprifuoco per un tempo indefinito. Stavolta, però, non c’entra l’Isis o attacchi terroristici condotti dai jihadisti. Stavolta, a protestare è la gente comune. Contro la corruzione dilagante, contro la disoccupazione. Il coprifuoco è stato decretato dopo due giorni di violente proteste e di scontri con le forze di sicurezza che hanno provocato almeno venti morti e centinaia di feriti. Ma è un bilancio destinato a crescere perché le proteste continuano e gli scontri si propagano alle più importanti città irachene.
Gli scontri a Baghdad e in altre città irachene sono proseguiti per il terzo giorno consecutivo: il coprifuoco imposto dalle autorità è stato violato stamani da cortei di manifestanti. La polizia, affermano fonti locali, ha risposto lanciando lacrimogeni e sparando colpi di arma da fuoco in aria per disperdere la folla. Il bilancio, nelle ultime 72 ore, è salito a venti morti, tra cui un bambino e un poliziotto, a Baghdad e nelle altre città del centro-sud in rivolta. I dimostranti protestano contro il carovita.
Da Baghdad le proteste si sono estese ad altre città del paese e c’è già chi parla di una “primavera irachena”. Di certo, dalle piazze in fiamme viene una sfida al governo, in carica da un anno, del primo ministro Adel Abdul Mahdi. Il bilancio delle vittime è salito a nove mercoledì dopo che almeno cinque manifestanti e un poliziotto sono stati uccisi a Nassiriya. Secondo quanto riferito da un funzionario provinciale della sanità all’agenzia di stampa AFP i feriti sono almeno quattrocento. Il primo ministro ha ordinato il divieto di movimenti attraverso Baghdad a partire dalle 5:00 ora locale per arginare le manifestazioni popolari – le più grandi dalle proteste dell’anno scorso nella città meridionale di Bassora – che chiedevano lavoro e la fine alla corruzione statale.
Tutti gli spostamenti di veicoli e persone sono totalmente vietati a Baghdad a partire dalle 5 di oggi, giovedì e fino a nuovo avviso,
ha affermato Abdul Mahdi in una nota.

I viaggiatori da e per l’aeroporto di Baghdad, le ambulanze, i dipendenti pubblici negli ospedali, i dipartimenti di elettricità e acqua e i pellegrini religiosi sono esenti dal coprifuoco, afferma la nota. Abdul Mahdi ha dichiarato che spetta ai governatori provinciali decidere se dichiarare il coprifuoco nelle loro province in Iraq. Secondo quanto scrive NetBlocks, un’organizzazione non governativa che monitora la sicurezza informatica, sarebbe stato bloccato l’accesso a Internet in diverse zone del paese. Il governo sarebbe stato preso di sorpresa dalle proteste, organizzate principalmente sui social media, e per questo motivo avrebbe reagito cercando di impedire ai manifestanti di accedere a Internet.
Secondo quanto scrive al Jazeera, inoltre, avrebbe limitato la diffusione delle immagini degli scontri sulle televisioni nazionali. La tensione è stata esacerbata dalla chiusura di uffici governativi e da almeno un’esplosione durante la notte che ha colpito la zona verde, dove si trovano alcuni ministeri e ambasciate. Una fonte di sicurezza all’interno dell’area ha riferito all‘AFP che ci sono state due esplosioni, probabilmente causate da un incendio indiretto poco più di una settimana dopo che due missili hanno colpito vicino all’ambasciata degli Stati Uniti.
Il coprifuoco è stato imposto a Nassiriya, Amara e Hilla. Le richieste di mercoledì includevano la “caduta del regime” e manifestanti hanno dato alle fiamme edifici del governo e dei partiti politici in altre due province del sud. Lo slogan “il popolo richiede la caduta del regime” è stato reso popolare durante le rivolte della primavera araba del 2011. “Chiediamo un cambiamento, vogliamo la caduta di tutto il governo”, ha detto un manifestante a Baghdad che ha rifiutato di identificarsi per paura di rappresaglie.
I miliziani dello Stato islamico potrebbero anche trarre vantaggio dal caos, con migliaia di soldati statunitensi di stanza nel paese in posizioni non lontane da quelle delle milizie sciite alleate dell’Iran. I manifestanti hanno bloccato l’autostrada principale che collega la capitale alle province settentrionali dell’Iraq.

Le nostre richieste? Vogliamo lavorare, vogliamo lavorare. Se non vogliono trattarci come iracheni, allora ci dicano che non siamo iracheni e troveremo altre nazionalità e migreremo in altri paesi,
ha detto un manifestante a Baghdad.
I manifestanti hanno dato fuoco agli edifici governativi a Nassiriya, Amara e nella città santa sciita di Najaf. A Kut, i manifestanti hanno cercato di irrompere nell’edificio del comune. Centinaia erano fuori per le strade di Hilla e Diwaniya.
Mercoledì Abdul Mahdi ha presieduto una riunione d’emergenza del consiglio di sicurezza nazionale, che ha rilasciato una dichiarazione in cui si rammaricava di morti e feriti da entrambe le parti.
Il consiglio afferma il diritto alla protesta, la libertà di espressione e le legittime richieste dei manifestanti, ma allo stesso tempo condanna gli atti di vandalismo che hanno accompagnato le proteste,
recita la nota.
Il presidente iracheno, Barham Salih, scrive con un post su Twitter:
La protesta pacifica è un diritto costituzionale garantito ai cittadini, le nostre forze di sicurezza hanno il compito di proteggere i diritti dei cittadini e mantenere la sicurezza pubblica. Sottolineo moderazione e rispetto per la legge. I nostri giovani iracheni sono alla ricerca di riforme e posti di lavoro e il nostro dovere è quello di soddisfare questi legittimi diritti. Misericordia per i martiri e guarigione per i feriti.
Tutte le unità militari sono state poste in allerta, ha annunciato il ministero della Difesa. Le forze di sicurezza hanno bloccato diverse strade a Baghdad, incluso un ponte che conduce alla zona verde fortificata, che ospita edifici governativi e ambasciate straniere. La coalizione di governo del premier Abdel Abdul Mahdi vacilla. Era già fragile di suo dopo che le ultime elezioni avevano sortito un risultato poco chiaro. Ma ora potrebbe avere le settimane contate.
Le Nazioni Unite fanno appello alla calma. Persino Muqtada al Sadr, lo storico leader dell’estremismo sciita passato a coalizzarsi con i comunisti contro i settarismi, oggi tace in nome della pace sociale. Nel tentativo di raffreddare gli animi, Abdul Mahdi martedì ha promesso lavori per laureati. Ha incaricato il ministero del petrolio e altri enti governativi di includere una quota del cinquanta per cento per i lavoratori locali nei successivi contratti con compagnie straniere. Dalla capitale irachena Nabil Nissan, da undici anni direttore Caritas Iraq, racconta al Sir:
questi giorni concitati di proteste che purtroppo hanno provocato morti e feriti.
Le proteste stanno dilagando un po’ in tutto il paese, a Baghdad, Najaf, Bassora, Nassiriya, Kirkuk, Mosul.
Il vero male dell’Iraq oggi è la corruzione le cui conseguenze negative si riversano sulla vita di tutti i giorni della popolazione. La corruzione nega i diritti delle persone, crea povertà, blocca lo sviluppo.
Tangenti e clientelismo: sono questi i nemici degli iracheni preoccupati anche
dall’instabilità politica, dalla presenza delle milizie paramilitari che hanno combattuto l’Isis, dalla mancanza di sicurezza.

Le sfide sono tante come testimoniano i numeri: la disoccupazione è al ventidue per cento e riguarda in particolare i giovani, 1,7 milioni di sfollati interni, tre milioni di disabili, 1,5 milioni di orfani, più di un milione di donne divorziate.
Manifestazioni popolari in corso in Iraq, in particolare a Baghdad, Najaf, Bassora e Nassiriya, cui oggi si sono aggiunte anche Kirkuk, Mosul e i villaggi limitrofi. I manifestanti, in maggior parte giovani chiedono riforme, lavoro, l’erogazione dei servizi essenziali come acqua, energia elettrica, sanità e istruzione e soprattutto la fine della corruzione all’interno delle istituzioni
conferma, sempre al Sir, Daniele Mazzone, vice responsabile dei progetti Avsi nel paese arabo. Il punto nodale intorno al quale ruota tutta la protesta è secondo lui
la corruzione. Una vera e propria piaga nel paese. Non per nulla il governo di Baghdad l’ha messa tra le sue priorità nel Programma di sviluppo (National development plan 2018-2020).
Per quanto riguarda il futuro, sostiene Mazzone,
è difficile dire se assisteremo a una ulteriore escalation delle proteste e della violenza. Di fatto siamo passati da manifestazioni studentesche a quelle di diversi altri gruppi, anche violenti, che hanno provocato incidenti e la repressione con morti e feriti. Pensare che qualche mese fa le Nazioni Unite avevano abbassato il livello di pericolosità della capitale irachena da “altissimo” ad “alto”.

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