Suicidi in divisa. Una lunga catena, l’ultimo oggi

Non sono più casi isolati ma un fenomeno drammatico e inquietante, spia di un disagio profondo che lo stato deve affrontare. Chi tutela la nostra sicurezza deve essere tutelato, e poter operare in modo sicuro, efficace, democratico e trasparente.
CLAUDIO MADRICARDO
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Martedì scorso, venticinquemila poliziotti francesi, vestiti di un giubbotto nero e circondati dai colleghi in divisa che gli facevano ala nel percorso, hanno manifestato a Parigi sfilando dalla Bastiglia a Place de la République. A distanza di almeno vent’anni, ancora una volta un grande corteo di poliziotti sfila per le strade della capitale per ricordare i cinquantadue colleghi che dallo scorso gennaio si sono suicidati con l’arma di servizio, e per attirare l’attenzione della politica e della società francese sullo stress, sui carichi di lavoro e sulla scarsità dei mezzi con cui in Francia sono chiamate a operare le forze di polizia.

Non più tardi di due ore fa dal momento in cui scriviamo, un tweet del Sindacato lavoratori finanzieri (SILF) ci ha dato notizia di un nuovo suicidio che ha colpito le forze dell’ordine. Questa volta il fatto è accaduto in provincia di Bologna, dove un ispettore della Guardia di Finanza di trentacinque anni si è tolto la vita con la propria arma di ordinanza.

Stando ai dati raccolti da Cleto Lafrate, amministratore dell’Osservatorio suicidi in divisa (OSD) consultabile in Facebook, aggiornati al 3 ottobre, dal 1 gennaio sono stati quarantanove gli eventi suicidari che hanno riguardato operatori dei vari corpi di polizia. Dati ufficiali del Dipartimento della pubblica sicurezza o di altre autorità delle forze dell’ordine e di difesa non esistono. Un ritardo, per usare un eufemismo, nel monitorare un fenomeno che si sta facendo consistente e che non può essere ormai liquidato come singoli casi isolati conseguenza della sofferenza mentale o della depressione.

Circa la diffusione del fenomeno, suicidi si sono registrati nella polizia penitenziaria, in quella di Stato, nella ferroviaria, nei carabinieri, nella polizia locale, in finanza, in marina militare e nell’esercito. Con l’ultimo di oggi siamo già a cinquanta, una cifra che non può passare inosservata e che denuncia un male oscuro che serpeggia nelle nostre forze dell’ordine e di difesa al quale il mondo della politica deve prestare attenzione.

Se la Polizia e le Forze Armate vivono ancora con imbarazzo i casi che sempre più si registrano al loro interno, loro compito in uno stato democratico è superare la separatezza che ancora le distinguono dalla società civile abbandonando il costume di far passare sotto silenzio quanto accade.

Da parte sua, lo stato democratico non si può esimere dall’affrontare un fenomeno che non è più isolato, ma è spia dell’emergere di un disagio profondo, che deve essere risolto proprio per consentire a chi tutela la nostra sicurezza di poter operare in modo sicuro, efficace, democratico e trasparente.

Al contrario di quanto sarebbe auspicabile, a tutt’oggi la risposta ufficiale del Dipartimento della pubblica sicurezza è stata un convegno fatto anni fa dopo un’impennata del fenomeno, da cui è emerso che “il problema era dovuto alla bassa scolarizzazione dei suicidi”. Considerazione abbastanza discutibile, visto che quasi tutti gli operatori di polizia attualmente in servizio hanno almeno un diploma di scuola secondaria. La situazione preoccupante ha anche indotto il capo della Polizia, Franco Gabrielli, a costituire un Osservatorio permanente interforze sul fenomeno suicidario riguardante gli appartenenti alle forze di polizia. C’è da sperare che l’Osservatorio non si limiti a raccogliere dati statistici, ma indaghi a fondo sulla gamma di motivazioni che possono stare alla base del fenomeno.

Fino a oggi pare che a nessuno sia venuto in mente di mettere il naso nei fogli matricolari di chi si è tolto la vita cercando di individuarne il motivo. Dove di sicuro alcune ragioni potrebbero essere individuate. Da un eventuale uso distorto dello strumento disciplinare di cui il suicida è stato vittima, a possibili mancate risposte a legittime richieste. Un’analisi dei fogli matricolari dei suicidi permetterebbe anche un’indagine sulla tipologia del lavoro effettivamente svolto, e del conseguente rischio di sviluppare una sindrome da burnout, quale esito patologico finale di un lungo processo stressogeno.

È un disagio che esiste, si badi bene, sia nei corpi che già godono di una tutela sindacale, come la Polizia di Stato, sia in quelli in cui il sindacato è ancora lungi dall’essere costruito o in fieri, come ultimamente sta accadendo con la Guardia di Finanza, in virtù della recente sentenza della Corte costituzionale. A tal punto da farci pensare che dovrebbe essere forse ridiscusso il modello prevalente dell’operatore della sicurezza, che una certa retorica militarista dipinge come una sorta di superuomo, mentre di uomini e donne in carne ed ossa, con tutti i problemi che possono avere, sono fatte le nostre forze di polizia o di difesa. Forse è questo, anche, uno dei motivi di quel profondo disagio esistente.

Cercando di riequilibrare le ragioni dell’istituzione militare o di polizia con quelle di chi vi opera, il sindacato potrebbe essere lo strumento adeguato. A condizione che, oltre a tutelare gli interessi immediati dei suoi iscritti – dove spesso in passato hanno prevalso pulsioni corporative, come nella pagina nera del G8 di Genova – , operi per il superamento della separatezza e per l’apertura nei confronti della società civile e delle sue differenti declinazioni.

Dell’importanza di questa battaglia ytali è consapevole, e nel recente passato ha pubblicato alcuni articoli sul tema partendo dal suicidio di Riccardo Malvestiti avvenuto il 29 giugno scorso a Trieste, che si è tentato di far passare sotto silenzio. Un episodio che ci venne segnalato da Lo Scudo, una delle sigle sindacali della Polizia di Stato, particolarmente sensibile a questa tematica.

Ora sembrerebbe che anche il mondo della politica cominci a rendersi conto che

il suicidio tra gli appartenenti alle forze dell’ordine è un fenomeno estremamente allarmante che ha raggiunto in questi anni un altissimo livello di gravità essendosi registrati, da quanto risulta dai dati forniti dall’ONSFO (Osservatorio nazionale sui suicidi delle forze dell’ordine), dal 2010 al 2018 ben 252 episodi di suicidio con un’incidenza di 9,8 casi su centomila appartenenti alle varie istituzioni, a fronte dei cinque casi per 100 mila abitanti registrati tra la popolazione.

Il lungo virgolettato riporta parte dell’interrogazione che il 24 settembre scorso l’onorevole Galeazzo Bignami ha presentato ai ministri dell’Interno e della Difesa per avere chiarezza in merito al suicidio con l’arma di ordinanza del sovrintendente Riccardo Malvestiti, di cinquantatre anni, in servizio alla Polfer.

Malvestiti soffriva di depressione, e il suo caso ha spinto l’onorevole Bignami a chiedere se da parte dell’amministrazione

siano stati correttamente ed esaurientemente rispettati tutti i protocolli previsti; se la commissione medica ospedaliera competente per territorio abbia effettuato tutti gli approfondimenti e accertamenti necessari e se si intenda verificare che le strutture preposte non siano state superficiali e frettolose nel giudicare completamente guarito dalla sindrome depressiva il sovrintendente Malvestiti appena pochi mesi prima che lo stesso, ritornato in servizio e quindi in possesso dell’arma di servizio precedentemente ritiratagli a scopo cautelativo, come da regolamento interno della polizia di Stato, si togliesse la vita utilizzando la medesima arma.

Di certo qualcosa si sta muovendo nel campo dei suicidi nelle nostre forze di polizia e di difesa a livello sindacale, parlamentare e perfino in quello della Polizia di Stato con l’istituzione dell’Osservatorio voluto da Franco Gabrielli, e ciò è un bene. Il rischio è che ora si guardi all’effetto, non più occultabile, e non s’indaghi sulla sua causa, che sta nelle carenze di funzionamento, nei ritardi, nelle assurde chiusure delle strutture che impongono a chi vi opera condizioni di lavoro lungi dal poter garantire la sicurezza cui ogni cittadino ha diritto in una democrazia avanzata.  

Suicidi in divisa. Una lunga catena, l’ultimo oggi ultima modifica: 2019-10-04T20:58:04+02:00 da CLAUDIO MADRICARDO
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