#TaglioParlamentari. In cambio di che cosa?

A che serve stare al governo se non si ha più un’anima, una bussola, dei punti cardinali, se anche su temi così rilevanti si entra nell’indistinto della politique politicienne?
ADRIANA VIGNERI
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Il taglio dei parlamentari o meglio la diminuzione del numero dei parlamentari, in sé, non è né buono né cattivo, né utile né dannoso, né pro democrazia, né contro la democrazia. Dipende dal contesto in cui si inserisce, delle ragioni per cui lo si fa, a che cosa deve servire.

Quanti dovrebbero essere i parlamentari in rapporto alla popolazione? Non ci sono numeri assoluti. Non è materia – il rapporto tra eletti e popolazione – a cui si possano applicare regole matematiche. Molto dipende dalla forma di governo e dalla forma di stato. Ad esempio, se lo stato è federale, composto da molti stati federati ciascuno dotato di proprie assemblee rappresentative, per cui lo stato federale è competente soltanto su determinate materie, è meno rilevante, e può essere appropriato, che l’assemblea rappresentativa dello stato federale abbia un numero limitato di rappresentanti (quindi si cita a vanvera l’esempio del congresso degli Stati Uniti, che ha 435 eletti, a fronte di una popolazione di 306 milioni). I cittadini americani sono rappresentati anche dalle assemblee dei loro singoli stati.

Come è noto, l’ltalia è l’unico stato con un bicameralismo perfetto. Le due camere hanno le medesime competenze. Una legge non è tale se non viene approvata nello stesso identico testo da camera e senato. I deputati sono 630 e 315 i senatori. Il bicameralismo perfetto non consente di sommare deputati e senatori. 630 deputati in Italia su circa 60 milioni di abitanti, 612 in Germania su 82 milioni, 577 in Francia su 63 milioni, 646 in Gran Bretagna su 61 milioni, 350 in Spagna su 46 milioni. Un po’ di più degli altri stati europei, tanto che tutte le proposte di riforma costituzionale hanno teso ad alzare questa proporzione.

Che cosa differenzia questa proposta costituzionale dalle precedenti? Il contesto di riforme costituzionali e di obiettivi politico istituzionali in cui è inserita. Il disprezzo per la rappresentanza, che dovrebbe essere sostituita dalla democrazia diretta. La riduzione della spesa come obiettivo principe da raggiungere con il taglio dei parlamentari. La volontà di imbavagliare gli eletti con il vincolo di mandato, che è stato accantonato, non rinunciato. Il condizionamento del lavoro delle assemblee legislative mediante l’iniziativa legislativa popolare. Il referendum propositivo il più ampio possibile. Non per nulla la loro stella polare si chiama Rousseau, il quale diceva che la rappresentanza non esiste. 

A questo si ispira – a differenza di tutte le precedenti proposte di riduzione – la politica del M5S sul numero dei parlamentari. Ed infatti il loro compiacimento è sempre e soltanto per la riduzione della spesa, perché si tratta di spesa inutile, di più, un insulto ai cittadini, che potrebbero benissimo esprimersi direttamente, curare da sé i loro interessi, la democrazia diretta, appunto. Sappiamo che la democrazia diretta non esiste, ovvero che è una copertura dell’autoritarismo.

Che Salvini non avesse problemi di coscienza, scrupoli istituzionali, a votare questa riduzione del numero dei parlamentari, si può capire, che la voti il Pd no. Ma, si dice, i 5 Stelle partecipando a maggioranza e governo stanno maturando un nuovo rispetto per le istituzioni rappresentative. Può essere, per ora non se ne vedono gli effetti, i loro vertici non deflettono di una virgola, per quanto se ne sa. Il taglio (parola significativa) è tuttora la loro prima bandiera.

Se le cose stanno così, e sono fermamente convinta che stanno così, come è possibile assecondare questa deriva, accettare una così marcata modifica costituzionale (il “taglio” è di ben 345 seggi, da loro dette “poltrone”), come se fosse uno dei tanti interessi della parte politica cui collabori al governo, alla quale devi consentire, anche se fino a lì hai votato contro sostenendo che si voleva colpire la democrazia rappresentativa, in cambio di qualcosa cui tieni tu.

In cambio di che cosa? Di un pezzo di carta, di un impegno politico che ancora non abbiamo letto. Una rilevantissima riforma costituzionale a fronte di un pezzo di carta, o se si preferisce della parola data, in politica! Ma, si dice, un pezzo di carta garantito dalla possibilità di far cadere il governo. Ma quella possibilità, quell’arma, esisteva anche prima, esisteva già al momento di formare il governo, un governo da non fare ad ogni costo. Si poteva accettare la riduzione del numero dei parlamentari, che lo stesso Pd ha proposto, inserita in un contesto che non fosse “un colpo alla democrazia rappresentativa”. Perché accettare anche i tempi e i modi, senza nessun riequilibrio costituzionale? In cambio della garanzia “tecnica” della durata della legislatura?

Perché ci saranno questioni tecniche da sistemare, la legge elettorale da rifare, gli artt. 57 e 73 della Costituzione da rivedere, ce n’è di lavoro! Per un’intera legislatura.

Ma, a che serve stare al governo se non si ha più un’anima, una bussola, dei punti cardinali, se anche su temi così rilevanti si entra nell’indistinto della politique politicienne?

#TaglioParlamentari. In cambio di che cosa? ultima modifica: 2019-10-08T20:28:22+02:00 da ADRIANA VIGNERI
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