È arte se è utopia

“Il paradigma biocentrico è la consapevolezza che il vivente umano e non umano, la vita del creato, l’ecosistema ricomprende la centralità umana, ma la deve leggere non come una folle corsa distruttiva. Altrimenti si fa come l’apprendista stregone che non riesce a dominare le forze che ha evocato”.
PIETRO FOLENA
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Nelle epoche storiche in cui il principio di autorità discendeva direttamente da una legge superiore, dal Divino – naturale e immanente che fosse, piuttosto che trascendente e rivelato – l’arte è stata rappresentazione, visione, espressione di questa legge. Nelle forme orientali teocratiche ha preso l’aspetto della rappresentazione del sovrano – il faraone, il re, l’imperatore -, egli stesso Dio o rappresentante unico in terra del potere delle divinità. In Occidente, il pensiero classico greco prima e la prassi politico-militare romana poi rappresentano questa legge divina come naturale. L’ideale di bellezza, di un modello dell’umano che è divino, nasce in Grecia e si diffonde con la romanità. La filosofia cristiana, col suo peculiare fondamento teocratico, al di fuori dell’assolutismo orientale – a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio -, apre l’era dell’arte come rappresentazione del divino. I testi sacri, il Vecchio e il Nuovo Testamento, i Santi, Gesù Cristo diventano rappresentabili, prima di tutto per ragioni politiche, e la loro visione illumina e dà vita alla Parola. La grande arte cristiana del Medioevo, rappresentando la Verità rivelata, le dà storia, la rende intellegibile, umana. Prepara, senza saperlo, il suo superamento.

Maometto, in senso opposto, giunge ad una visione così trascendente e superiore del divino, da renderlo non rappresentabile sotto sembianze umane, ma solo scrivendo le sure e gli ayat – i versetti – del Corano.
Non si può quindi parlare di Utopia fino al Rinascimento, e alla cesura galileiana. Non solo perché il neologismo di Tommaso Moro è stato coniato nel Rinascimento, ed essa non è rimpianto di un passato cristiano che non c’è più, ma speranza, ricerca, pensiero obliquo in un’epoca di grandi sconvolgimenti, gli stessi raccontati da William Shakespeare. Utopia non poteva darsi fino a che il fondamento del Potere fosse da ricercare in una legge superiore, che narrava un altro topos, un mondo diverso – che fosse quello dell’Olimpo, del “Dio-re” o dei testi sacri della cristianità -. L’arte antica è visione e rappresentazione del Potere. L’arte è ideologia, religione, comunicazione.

Occorre tornare indietro, fino alla società primitiva – idealizzata da Jean Jacques Rousseau e da una parte dell’Illuminismo -, senza classi, per trovare sui muri di Lascaux, e nella pittura rupestre, l’arte come rappresentazione del reale, della natura, coi suoi aspetti magici e inintellegibili.

Il Rinascimento è preparato dalla forma espressiva data al sogno, e all’immaginazione, nel Medioevo. La storia dell’arte ne è carica. Una sorta di preparazione all’Utopia, che arriverà come sfida estrema dell’uomo a Dio. La Divina Commedia – Dante Alighieri conosce le fonti musulmane che ispirano una parte del suo viaggio – è ad un tempo la massima rappresentazione della legge ancorata ad un fondamento celeste e divino, e la rappresentazione di un universo umano variegato, dannato, o alla ricerca di salvezza, oppure redento. Duecento anni dopo, Sandro Botticelli, uno dei grandi iniziatori del Rinascimento, celebrerà nel segno di Lorenzo il Magnifico questa visione umanistica di Dante, in una straordinaria serie di disegni che illustrano il capolavoro di Alighieri.

L’Uomo Vitruviano, modello del mondo, di Leonardo da Vinci e la rivoluzione copernicana – sancite dalla cesura definitiva operata da Galileo Galilei -, fondano l’antropocentrismo, volto a liberare l’umano dalle superstizioni o dalla servitù ad una legge superiore. L’uomo e la donna, storicamente concreti, rappresentati non solo per la loro santità, presenti in tante opere rinascimentali sotto le mentite spoglie delle figure del Vecchio e del Nuovo Testamento, e soprattutto della mitologia greca, entrano sulla scena dell’arte e non la lasceranno più fino al XIX° secolo. Entra la natura, con il suo incanto. Entra l’attività umana.

L’uomo può sperare e sognare un altro mondo, qui in terra, e non aspettare il breve passaggio terreno con passività e obbedienza.

L’esempio viene dalla scoperta dell’arte antica, greca e romana, così come dalla rilettura, fuori dal dogmatismo cristiano, dei grandi testi dell’antichità. L’ideale del bello, la scultura del corpo dell’uomo e della donna, la forza simbolica della mitologia classica, sono fonte inesauribile di ispirazione, alimentata dai grandi scavi archeologici, cominciati in quegli anni.
L’uomo può sognare di volare, con Leonardo, che pensa di farlo con l’ingegneria e che poi capisce che solo dallo studio del volo degli uccelli l’uomo avrebbe imparato a volare. Ci sono voluti tre secoli, per trovare il propellente necessario ad alzarsi in volo. Ma la tecnica del volo nasce dalle osservazioni leonardesche.

Può sognare di riprodurre il sapere, quando Johannes Gutenberg, esperto orafo e lavoratore di metalli, decide di fabbricare 290 caratteri per poter stampare la Bibbia, nel 1455.

D’un colpo, amanuensi, conventi, copisti esperti -che detenevano il potere della trasmissione della conoscenza- furono travolti dall’avvento del nuovo mondo.

Può sognare, con Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci – al servizio delle nuove potenze dei mari – di navigare mari sconosciuti e di “scoprire” nuovi continenti.

Persino il potente messaggio politico del Michelangelo del Giudizio Universale – il Cristo furibondo che accusa un’umanità corrotta -, lungi dall’essere una nostalgia del tempo passato, è un potente atto di accusa di un Dio fattosi uomo (Gesù, appunto) contro la teocrazia papale, l’uso spregiudicato della fede per farne mercato e mercimonio. Fonda, quell’opera, un nuovo rapporto tra etica e politica, proprio della Riforma. E può sognare, con Martin Lutero, una religione più autentica, che abbia a che fare con l’uomo. Hieronymus Bosch, in sintonia con Lutero e per altri versi con Erasmo da Rotterdam, racconta il conflitto tra la morale e i vizi terreni. La prospettiva della salvezza e della redenzione, non più verità rivelata, si fa Utopia, diviene movimento politico di cambiamento.

Ciò che connette queste, e altre tendenze dei due secoli straordinari che hanno messo le basi dell’Europa moderna, è la speranza di cambiare. Il fondamento di un’idea di progresso. Il miglioramento delle condizioni di vita umane. Il rifiuto di una posizione subalterna e passiva rispetto ad una legge superiore. Caravaggio, dopo la Controriforma, e il tentativo papale di offrire una risposta all’antropocentrismo e al sogno, diventa scrutatore – per usare un concetto caro a Walter Benjamin- della realtà maledetta. Come Bosch, fa dei vizi umani l’oggetto della propria pittura. Dipinge bari e delinquenti, certo. Ma addirittura usa come ispirazione della Morte della Vergine il cadavere di Lena, prostituta annegata nel Tevere. La Madonna col volto di una donna di malaffare, in pieno oscurantismo!

Scrutare vuol dire scoprire, ricercare la luce, e da lì inizia un ciclo artistico giunto fino ai giorni nostri. Caravaggio, apparentemente il meno utopista dei grandi pittori classici – non c’è alcuna utopia, se intesa come modello di un’altra civiltà -, è fino in fondo utopista, come pittore del desiderio, onirico, come scrutatore di luce, in un’epoca buia e tormentata.

L’utopia del capitale e del denaro, il capitalismo come religione, innervano la grande stagione dell’arte settecentesca e ottocentesca. Quando Carlo Goldoni racconta i vizi di aristocratici e borghesi veneziani, quando i grandi musicisti veneziani e napoletani fabbricano la prima grande industria del divertimento, Canaletto e tutto il vedutismo europeo narrano la nuova umanità imprenditrice e affarista, con colori luminosi e positivi. È il progresso. La macchina a vapore, finalmente, realizza l’obiettivo di dar corso ai grandi sogni rinascimentali.

È il Potere del denaro e del libero scambio che sembra realizzare il sogno umano. Un nipote di cavatori, artigiano di famiglia, Antonio Canova, a contatto con le opere dei grandi esempi classici e di quelle degli straordinari Maestri rinascimentali, diviene cantore di un nuovo paradigma di bellezza al servizio del nuovo Potere. Honoré de Balzac scrive la Comédie Humaine, una sorta di biblico contraltare della Divina Commedia, narrazione della forza irresistibille della nuova classe borghese e del Potere fondato sulla Verità del Dio- denaro. Il Faust di Wolfgang Goethe attraversa il lungo percorso, quello delIa ricerca del Supremo, da Mefistofele a Dio. I grandi scrittori russi dell’Ottocento raccontano, dalla loro parte, le tensioni e le tragedie umane in una società rimasta ancora feudale.

La Rivoluzione Francese, che, insieme a quella Americana, afferma i nuovi diritti universali dell’uomo – così come li sentiamo attuali anche oggi – è ad un tempo utopia del capitale e utopia di una società fondata sull’irriducibilità dell’umano. Nei suoi valori fondamentali si distruggono le costruzioni che costringevano l’economico, e i suoi soggetti, nelle vetuste maglie dell’assolutismo e della superstizione, e si libera il mercato, al di là dei confini degli Stati nazionali; ma si affermano principi (libertà, eguaglianza, fraternità) che produrranno, a fronte delle nuove ingiustizie prodotte dal capitalismo, le utopie socialiste. Charles Fourier non è solo un filosofo. È, come i Maestri rinascimentali, a suo modo un architetto. E’, a suo modo, un artista. La società organizzata senza classi, nei falansteri, oltre la convenzione della famiglia, è davvero l’Utopia per definizione. Nella sua astrazione è stata utilizzata dai detrattori di ogni utopia sociale per la propria propaganda.

L’Ottocento è il secolo dove si contrastano queste due Utopie – quella del Capitale e quella del Lavoro -, e l’arte vede la nascita, con l’impressionismo, di una trasfigurazione della realtà. Lo fanno i poeti maledetti, a partire da Charles Baudelaire. Il sogno diventa delirio, ossessione, viaggio nella morte. Sono gli stessi anni in cui si celebra il mito della locomotiva e del progresso – con la potente ideologia positivista – e quello della costruzione, altrettanto animata da una fiducia nell’avvenire, di un ordine sociale alternativo. La pittura en plein air, la prevalenza del colore sul disegno, il prorompere dell’emozione dell’artista rispetto al dovere della rappresentazione “oggettiva” raccontano – così come faceva Baudelaire che aveva scoperto l’arte giapponese – un movimento che apre il secolo breve, quello dei totalitarismi e dell’esplosione della soggettività individuale.

È come se il grande percorso antropocentrico, cominciato quattro secoli prima, con l’uomo che attraversa i mari su navi a vapore, che vola nei cieli con nuove macchine rombanti, che corre nelle pianure su nastri di acciaio indistruttibili, che attraversa le città con le nuove carrozze a motore, in strade illuminate, con l’acqua corrente nelle case, che lavora con macchine sempre più sofisticate, si stia compiendo; e l’essere umano – la donna, liberatasi dalle antiche catene, e non più solo l’uomo – rivolge l’attenzione a sé stesso, al suo spirito, all’anima, all’inquietudine. A tutto ciò che non è solo bisogno materiale.

Il Novecento è sicuramente il secolo delle grandi utopie dell’arte.
La prima di queste è quella del cinema, che poi porterà con sé, lungo tutto il secolo e nel nuovo millennio, la rivoluzione dell’immagine, prima su pellicola, e poi digitale.

Nel Novecento i sistemi totalitari, nati dalla crisi della credibilità dell’utopia del capitale – che nella sua corsa senza freni aveva determinato guerre, colonialismo, violenze civili, fino alla Prima Guerra mondiale – affermano per costruire l’Uomo Nuovo e la Nuova Società, di volere un’arte nuova. Le affinità tra il futurismo italiano – che reagiva al decadentismo e che simpatizzava col nascente fascismo – e quello russo, che cantava la nuova società dopo l’Ottobre, sono palesi, così come lo sono quelle dell’architettura nel periodo fra le due guerre. Certamente il futurismo italiano – malgrado le simpatie di molti dei suoi esponenti per il fascismo – non può essere racchiuso nello schema dell’arte di regime. Ma quel che è certo è che l’affermazione di una società perfetta, o sulla via di una perfezione assoluta, dà all’arte il senso di accomodarsi al potere, anche quando questo nella poetica e nell’ispirazione di un singolo artista, non è vero.

Nel 1947 André Breton, autore del Manifesto surrealista, scrive l’“Ode a Charles Fourier”. Benjamin, che si era tolto la vita tre anni prima per non finire nelle mani della polizia di Vichy e dei nazisti, negli anni dell’osservazione della catastrofe che si stava abbattendo sull’Europa e sul mondo, suggeriva la posizione dello scrutatore dei sogni. Come scrive Miguel Abensour, l’utopia per Benjamin si deve liberare dal mito.

Lo scrutatore di sogni è invitato a praticare un’ermeneutica critica che, lungi dal congedare o dissolvere l’utopia, si impegna a liberarne le virtualità emancipatrici, grazie alla separazione dal mito.

Le grandi avanguardie del Novecento da punti di vista diversi -si pensi , oltre al Surrealisno, alla Metafisica – si muovono lungo questo solco. Finita l’Utopia come topos altro – per sua natura sempre distopia -, l’utopia diventa un atteggiamento mentale e spirituale, un’attitudine. Si esauriscono le grandi correnti artistiche, e si apre l’era della riproducibilità dell’opera d’arte. Pablo Picasso, Joan Mirò, Salvador Dalì diventano imprenditori della propria arte. Serigrafie, litografie, incisioni, acqueforti, ceramiche prima, e poi la Factory di Andy Warhol, la Mec Art e la Pop Art, cantano e al tempo stesso criticano la nuova era del consumo che realizza e spegne ogni desiderio. Uccide ogni utopia.

Tutto è arte, tutto è riproducibile. Nell’era dell’algoritmo, tutto questo si fa poi ad una velocità supersonica. L’immagine trionfa. La parola tramonta. Come nel Medioevo, la pubblicità sui muri, in tv e sui tablet, fatta da designer che sono anche artisti, o da artisti che sono anche pubblicitari, e l’opera d’arte riprodotta all’infinito – che trasforma in icone i brand del consumo-, tutto questo fonda un nuovo Potere. Finalmente il Desiderio ha trovato il mercato dove può essere soddisfatto. “Rivoluzione passiva” -citando Antonio Gramsci- del desiderio (M.Abensour).

Ma in Warhol non si può non vedere in nuce la ricerca di una nuova modalità. Bisognerà aspettare il periodo a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del secolo scorso, a New York, perché un giovane sconosciuto, Keith Haring, faccia i suoi segni, i suoi disegni, le sue immagini, sui muri della metropolitana, delle vecchie fabbriche dismesse, del tessuto urbano in crisi. Nasce la street art.

L’arte sui muri, fuori dai musei – idealizzando la società primitiva e la pittura rupestre – lungi dall’esprimere un progetto di altra società, è fino in fondo politica. Questi artisti si mettono nella posizione dello scrutatore. Rompono un sistema di relazioni, di critici, di gallerie, di musei, e riportano l’arte nelle pieghe della società. Nelle faglie della sua crisi. Sui margini. Da Banksy a Seth, da Blu a Shepard Fairey, in tutto il pianeta -attorno alle questioni della violenza, dell’ambiente, della giustizia, della libertà- nascono nuove forme di espressione. Tendono, naturalmente, a farsi sistema. Ma ci dicono che l’utopia non è morta, col Novecento. E che anzi

una società priva di utopia è esattamente una società totalitaria, presa nell’illusione del compimento, dell’utopia realizzata (M. Abensour).

Oggi, finito il delirio antropocentrico, se non si vuol tornare indietro a teocrazie o totalitarismi, sta nascendo un nuovo paradigma utopistico, più grande. Lo chiamerei il paradigma bio-centrico. La consapevolezza che il vivente umano e non umano – come ci aveva insegnato da ragazzi Pietro Ingrao -, la vita del creato, l’ecosistema (è il tema della Laudato Sii mio Signore) ricomprende la centralità umana, ma la deve leggere non come una folle corsa distruttiva. Altrimenti si fa come l’apprendista stregone che non riesce a dominare le forze che ha evocato.

L’arte è utopia quando è libera, e critica il potere. Non si tratta solo dell’arte di strada. Penso a quella giovane artista, Pippa Bacca – nipote di Piero Manzoni – artista speciale, assassinata durante il suo viaggio-performance, a favore delle donne, lungo la strada per Gerusalemme.

Questo articolo appare sull’ultimo numero della rivista su carta Infiniti Mondi

Le illustrazioni nell’articolo rappresentano opere di Sten Lex

È arte se è utopia ultima modifica: 2019-10-13T18:18:56+02:00 da PIETRO FOLENA
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