Col cambio del governo è ripreso il balletto sul tema del crocerismo a Venezia, e le istituzioni interessate, dal Comune ai ministri, passando per la Regione, sembrano aver archiviato la linea confusa del precedente ministro delle infrastrutture, il grillino Danilo Toninelli, che aveva almeno il merito di preoccuparsi anche della Laguna, oltre che di San Marco. L’opzione che va per la maggiore vuole le grandi navi in Zona industriale, passando per Malamocco e il Canale dei Petroli, mentre le navi di dimensioni minori continuerebbero ad andare alla Marittima proseguendo da Porto Marghera per il Canale Vittorio Emanuele, da scavare. Come, ma non lo dicono, sarebbe da scavare, allargare, arginare anche il Canale dei Petroli.
Greta Thumberg invita ad ascoltare la scienza, ma che il più grande conoscitore della Laguna, il prof. Luigi D’Alpaos, già titolare della cattedra di Idraulica dell’Università di Padova, dica che queste navi in Laguna sono una follia evidentemente non conta, ed è curioso che il primo a dare il “la” al nuovo balletto sia stato il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, evidentemente disconoscendo quel valore culturale e ambientale che per un millennio i veneziani hanno attribuito alla Laguna, per loro sacra, inviolabile, intoccabile. Altri tempi.
In tutta questa vicenda, però, c’è una cosa che ha quasi dell’incredibile: gli armatori decidono quali navi mandare – duecento metri, trecento, presto quatrrocento -, quante navi mandare – anche dodici praticamente insieme – e quando mandarle – generalmente concentrate nel fine settimana -, e alle autorità italiane resta solo il compito di trovare un posto dove metterle. A nessuno viene in mente che i problemi non vanno subiti ma vanno governati, che forse è questo modello di crocerismo inquinante, pericoloso, fondato sul gigantismo crescente che va cambiato, e che le istituzioni dovrebbero fare proprio questo, mentre invece ormai da otto anni tutti si accapigliano solo sul dove collocare le grandi navi: Bocca di Lido, Bocca di Malamocco, zona industriale di Marghera, Fusina, Chioggia, Bacàn, mare aperto, altrove. Posto così, il problema evidentemente è irrisolvibile.

Da questo punto di vista, ha un valore quasi epocale l’incontro svoltosi nei giorni scorsi a Venezia, promosso dal presidente dell’Autorità portuale, Pino Musolino, tra i rappresentanti dei porti croceristici di Amsterdam, Palma di Maiorca, Bergen, Cannes, Dubrovnik (Ragusa), Malaga, Marsiglia Fos, mentre Barcellona, pur aderendo, non ha potuto mandare un rappresentante a causa delle tensioni in atto in città. Tutti patiscono problemi per le crociere, tutti hanno tensioni con le cittadinanze e i movimenti che protestano, e hanno deciso di coordinarsi per spingere gli armatori a cambiare proprio il modello frenando il gigantismo e riducendo l’impatto sulle fragili città storiche.
Si punta a navi “Modello Europa” , che forse sarebbe meglio chiamare “Modello Venezia”, sostenibili nei numeri e nelle misure, pulite sul serio, che consentirebbero ciò che molti chiedono da tempo: una Marittima dedicata alla qualità e non alla quantità, attrattiva anche per quegli yacht che già oggi, senza una vera politica promozionale, portano in città milioni di euro. E si pensi che valore aggiunto potrebbe rappresentare il dedicare alla manutenzione di tali yacht i bacini dell’Arsenale, i più belli del Mediterraneo.

Si apre dunque un percorso, che richiederà il suo tempo, ed è dunque un peccato che per imboccarlo si siano persi tanti anni, perché esso è tracciato fin dal 2012 ed è scolpito nell’art. 35 bis del Piano di Assetto del Territorio votato dal Consiglio comunale, la cornice per ogni futura programmazione urbanistica. Esso impone come obiettivo l’estromissione delle navi che studi scientifici indipendenti dichiarassero incompatibili con Venezia e col recupero morfologico della laguna, limitando l’accesso a quelle dotate di caratteristiche di complessiva sostenibilità. Se i sindaci che da allora si sono succeduti (Orsoni, il commissario Zappalorto, Brugnaro) non si sono sentiti vincolati a tale precisa disposizione amministrativa, ciò è anche per la mancata spinta del Comitato No Grandi navi che, nelle sue componenti più strutturate (Ambiente Venezia e il Centro Sociale Morion), ha abbandonato la linea che esso stesso aveva a quel tempo delineato per appoggiare il progetto Duferco – De Piccoli nella bocca di Porto di Lido, anche se ora il Moriòn sembra averci ripensato.
Se la logica del cambio di modello, verso la quale si stanno orientando le autorità portuali europee, fosse fatta propria anche a livello istituzionale, abbandonando le strade cieche fin qui seguite, forse il problema delle grandi navi verrebbe finalmente risolto, con vantaggi per la città, i cittadini, gli operatori portuali, i costruttori navali.

PRECISAZIONE
Va precisata una cosa importante: è chiaro che in prospettiva futura il porto di Venezia così com’è è morto. Basta leggere i libri del prof. Luigi D’Alpaos, le conclusioni dell’Ipcc (Intergovernmental Panel for Climate Change), le recenti dichiarazioni del direttore del Centro Maree del Comune, Alvise Papa, per capire che se davvero a fine secolo l’innalzamento del livello del mare avrà raggiunto i cinquanta cm, ed è la previsione ritenuta più probabile, con circa 380 chiusure del Mose all’anno non potrà più esistere un porto in Laguna.
Amministratori previdenti, operatori portuali, sindacati dovrebbero pensarci fin da adesso, ipotizzando a regime un porto commerciale e passeggeri in mare aperto e nel periodo intermedio il cambio di modello che suggerisco, necessario non solo per Venezia ma anche per molti degli altri porti storici europei e comunque essenziale per accompagnare nel tempo il trasferimento della portualità dalla Laguna al mare aperto. Peccato quindi aver già perso quasi dieci anni da quando l’obiettivo del cambio di modello è stato introdotto nel Piano di Assetto del Territorio, mentre continuare a distruggere la Laguna per una portualità che non ha futuro è davvero insensato.
La foto di apertura è di @avvoaldo (Aldo Tagliente)

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