Evo non ci sta. Ed è caos in Bolivia

Conteggi che sanno di broglio suscitano “preoccupazione” negli osservatori dell’Organizzazione degli Stati Americani invitati a vigilare sulla regolarità del voto di domenica scorsa per eleggere il nuovo presidente e rinnovare il parlamento. Manifestazioni e scontri si sono verificati un po’ in tutto il paese andino.
CLAUDIO MADRICARDO
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Gli osservatori dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) presenti in Bolivia per vigilare sulla regolarità della tornata elettorale di domenica scorsa chiamata a eleggere il nuovo presidente e a rinnovare il parlamento, hanno emesso lunedì sera un comunicato in cui esprimono

profonda preoccupazione e sorpresa per il cambiamento drastico e difficile da giustificare nella tendenza dei risultati preliminari conosciuti dopo la chiusura delle urne.

Evo con i suoi sostenitori

Poco prima delle 20 di domenica sera, continua il comunicato della OEA, il Tribunale supremo elettorale (TSE), spesso accusato dall’opposizione di essere un docile strumento della volontà di Evo Morales Ayma, aveva diffuso i dati forniti dalla Trasmissione dei risultati preliminari secondo i quali nessun candidato alle elezioni presidenziali boliviane aveva ottenuto il cinquanta per cento più uno dei voti o il dieci per cento di distanza dal secondo candidato con il quaranta per cento di preferenze.

Un risultato che ha messo in luce la caduta di gradimento di Morales che nel 2005 era stato eletto col 53,72 per cento, col 64,22 per cento nel 2009 e col 63,36 per cento nel 2014, e che il conteggio rapido del voto dava appena al 45,71 per cento. 

Carlos Mesa con i suoi sostenitori

Al secondo posto il suo avversario Carlos Mesa Gisbert, ex presidente e candidato di Comunidad Ciudadana, che politicamente potrebbe essere visto come l’interprete di un “evismo moderato”, con il 37,84 per cento. Secondo i risultati diffusi domenica, poteva sperare di vincere al ballottaggio del 15 dicembre, dove avrebbe potuto contare sull’appoggio senza condizioni di Óscar Ortiz di Bolivia Dice No, classificatosi quarto con il 4,32 per cento. E probabilmente anche della vera sorpresa della tornata elettorale, il pastore evangelico di origine coreana Chi Hyun Chung, candidato del Partido Demócrata Cristiano (PDC), che ha fatto man bassa di voti scimmiottando Jair Bolsonaro. Terzo classificato smentendo ogni sondaggio con un 8,74 per cento dei voti. Desideroso di non mettere in congelatore il risultato ottenuto, si era detto disponibile a dialogare con Mesa considerando l’epoca di Morales definitivamente conclusa. Unica condizione posta era che Mesa abbandonasse l’ideologia di genere, indigeribile per l’elettorato che lo sostiene.

Chi Hyun Chung in campagna elettorale

Quando domenica sera la Bolivia è andata a dormire dopo la lunga maratona elettorale, la fotografia che ne usciva era una novità assoluta nella storia del paese andino, dove mai si era verificata la possibilità del ballottaggio. A ben vedere però, quando Evo è sceso dopo due ore di silenzio in Plaza Murillo a La Paz davanti al Palacio Quemado, vecchia sede della presidenza, per parlare ai suoi sostenitori, si è subito dichiarato vincitore, dicendo di aspettare i risultati del voto campesino che gli avrebbe decretato il trionfo. 

i sindacati a sostegno di Evo Morales

Su come sia stato possibile ribaltare un esito che pareva per lui penalizzante potrebbe essere arduo non pensare male. Sta di fatto che ora a Evo viene attribuito il 46,86 per cento, e a Mesa il 36,72. La differenza in più per Morales dello striminzito 0,1 per cento gli permette di superare la soglia del quaranta per cento del voto e di assicurarsi il dieci per cento di vantaggio, condizione per essere eletto al primo turno. E governare fino al 2025 per quasi un ventennio. Stando al conteggio voto per voto, sul 61,41 per cento già scrutinato, Mesa ottiene il 42,57 per cento dei voti e Morales il 42,22. Un risultato che dà i due contendenti testa a testa.

Questa in breve la cronaca, cui sono seguite le famose ventiquattro ore di blocco durante le quali nessuna notizia è stata diffusa sul conteggio rapido dei voti. Interrotte dai risultati diffusi dal TSE che secondo la OEA offrono

un cambiamento inesplicabile di tendenza che modifica drasticamente il risultato dell’elezione e genera perdita di fiducia nel processo elettorale.

Da parte sua Carlos Mesa non è stato zitto, e dopo aver chiesto ai suoi sostenitori di vigilare, ha denunciato ieri “la frode scandalosa” che lo priva del ballottaggio dando la vittoria a Evo da subito.

Confidiamo che i cittadini non accetteranno questo risultato su cui si è tergiversato,

ha dichiarato alla stampa, disconoscendo il risultato e chiamando i suoi sostenitori alla mobilitazione. Mesa ha anche chiesto all’OEA e all’Unione Europea, che ha finanziato il sistema di Trasmissione rapida dei dati elettorali previsionali, di pronunciarsi.

Subito dopo manifestazioni e scontri si sono verificati un po’ in tutto il paese. A La Paz la polizia ha sparato lacrimogeni contro i manifestanti convenuti presso l’hotel dove opera il TSE, a Cochabamba si sono registrati scontri tra le forze dell’ordine e persone che tentavano di entrare nella sede di conteggio del Tribunale elettorale dipartimentale. A Sucre è andata in fiamme la sede del locale tribunale elettorale, proteste si sono registrate a Oruro, e a Santa Cruz de la Sierra i manifestanti si sono convocati a vigilare permanentemente a difesa dei risultati delle urne.

Le reti sociali intanto divulgano le proteste di migliaia di cittadini contribuendo alla mobilitazione e denunciando casi di frode elettorale, come quelli denunciati a Potosí dove è stata scoperta una gran quantità di materiale elettorale in una casa privata. Una situazione di scontro sociale che potrebbe portare la Bolivia ad aggiungersi alla lista di paesi latinoamericani scossi dalla violenza, com’è recentemente accaduto in Ecuador e Perù, e sta accadendo in Cile. 

Una realtà che scopre un’intera regione in preda alle convulsioni in genere dovute alle profonde disuguaglianze e alle misure economiche antipopolari decise dai governi, ma che nel caso della Bolivia potrebbero essere originate dalla forzatura cui Morales pare voler sottoporre il paese. Intanto si registrano le prime prese di posizione preoccupate da parte di Brasile, Argentina e Stati Uniti, di certo governi non sostenitori di Morales, che non si sono fatti scappare l’occasione. Il sottosegretario di Stato Michael Kozak ha chiesto che siano ristabilite credibilità e trasparenza del processo elettorale. 

Queste considerazioni hanno spinto gli osservatori dell’OEA a raccomandare che si vada al ballottaggio, chiedendo alle autorità elettorali boliviane che difendano la volontà popolare rispettando la Costituzione in maniera agile e trasparente. Nel loro comunicato gli osservatori auspicano anche che si eviti ogni violenza. 

Un richiamo purtroppo destinato a non essere ascoltato se non verrà messo fine al braccio di ferro e non saranno rimossi i motivi della protesta. La speranza è che la conta finale dei voti, che richiederà alcuni giorni e che dovrà confermare o smentire il conteggio rapido che ha accreditato Morales come vincitore, possa riconoscere con chiarezza la volontà espressa degli elettori. 

A chi scrive, Morales nel suo palazzo presidenziale a La Paz ebbe a dire che oggi le rivoluzioni si fanno col sostegno del voto popolare. L’auspicio è che Evo rimanga fedele a quanto allora detto e non offuschi la sua fama di leader più longevo nella storia della sinistra latinoamericana, dimostrando senz’ombra di dubbio di aver vinto con la volontà del popolo. Allontanando senza indugio da sé l’ignominia del sospetto di brogli.

Evo non ci sta. Ed è caos in Bolivia ultima modifica: 2019-10-22T18:27:06+02:00 da CLAUDIO MADRICARDO
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