Lui, Benjamin “Bibi” Netanyahu, lo conosce bene, di certo meglio di qualsiasi altro avversario del premier più longevo nella storia d’Israele. L’ultima sconfitta di Netanyahu nelle elezioni data 1999. E a sconfiggerlo fu, il soldato più decorato nella storia d’Israele: Ehud Barak. Lo fece sfidando “Bibi” sul suo stesso terreno: quello della sicurezza, ricordandogli in ogni dibattito televisivo, in ogni intervista o spot elettorale, che nell’esercito Netanyahu è stato suo subalterno, e dunque non ci provasse nemmeno a spiegare a lui come si combattono i nemici d’Israele. A 77 anni, Ehud Barak è tornato sul campo di battaglia, una battaglia politica, dando vita a Campo democratico, che nelle elezioni del 17 settembre ha ottenuto cinque seggi.
Seggi che Barak mette a disposizione del premier incaricato dal presidente Rivlin di formare il nuovo governo: il leader di Kahol Lovan (Blu e Bianco), Benny Gantz. Il peso politico di Barak, per la sua storia, per gli importanti incarichi ricoperti sia in politica sia prima in divisa, va ben oltre il risultato ottenuto da Campo Democratico e in questa intervista esclusiva concessa a ytali incoraggia Gantz e delinea la possibilità di dar vita a un “governo del cambiamento” che segni la fine dell’“era Netanyahu”.
Il presidente Reuven Rivlin, dopo il fallimento del tentativo del premier uscente, Benjamin Netanyahu, ha affidato l’incarico di formare il nuovo governo al leader di Blu e Bianco, Benny Gantz. I numeri non sono dalla sua parte: l’ex capo di stato maggiore di Tsahal può contare oggi su 44 voti certi, i 33 del suo partito, i sei del partito laburista e i cinque di Campo democratico. Quella di Gantz è una mission impossible?
Assolutamente no. Perché i numeri a cui lei fa riferimento non danno conto di una situazione in movimento. Penso alla Joint List (la Lista dei partiti arabi israeliani che con tredici seggi è la terza forza parlamentare, ndr) che ha manifestato la disponibilità a sostenere un governo guidato da Gantz, anche senza farne parte. È un’apertura di credito che va accolta senza avere il timore che coinvolgere i partiti arabi israeliani faccia il gioco della destra più oltranzista, che considera non quei partiti ma addirittura la comunità degli arabi israeliani (oltre il venti per cento della popolazione d’Israele, ndr) come popolata da terroristi…

Un tasto su cui continua a battere anche in queste ore Netanyahu.
Una ragione in più per coinvolgere la Joint List nel tentativo di dar vita a un governo di svolta. Netanyahu ha fallito, prima trasformando due elezioni, quelle di aprile e quelle di settembre, in un referendum su di sé, promettendo l’impromettibile, spostando il Likud su posizioni ultraestremiste che hanno stravolto la stessa storia e il profilo politico del Likud. Conosco molto bene Netanyahu, e so che farà di tutto per far fallire il tentativo di Gantz. A questo punto, lui punta a nuove elezioni anticipate, le terze in nove mesi. Gioca allo sfascio, Netanyahu, e seguirlo su questa strada è volere il male d’Israele.
Restiamo al “gioco”, che poi tale non è. Anche contando sui tredici voti dei parlamentari della Joint List, Gantz potrebbe contare su 57 voti, quattro in meno dei 61 necessari per avere la maggioranza alla Knesset. Oggi Netanyahu è ancora sostenuto da un blocco di destra che, sulla carta può contare su 55 voti.
Da quello che mi risulta, quel blocco oggi è tutt’altro che monolitico e disposto a seguire Netanyahu in una nuova avventura elettorale. Ma la cosa più interessante, per gli sviluppi che potrebbe avere, è il dibattito che si è aperto all’interno del Likud. Già prima delle elezioni, importanti personalità di quel partito avevano preso le distanze dalla deriva radicale, estremista impressa da Netanyahu: penso alla promessa di una annessione della West Bank, o gli attacchi forsennati alla magistratura. Sparando ad alzo zero contro magistratura e polizia, Netanyahu ha oltrepassato ogni limite. Non si delegittimano istituzioni e organi fondamentali, non si cerca di limitarne l’autonomia. Così si colpisce a morte lo stato di diritto. Queste voci critiche dentro il Likud sono cresciute dopo il 17 settembre e Gantz farebbe bene ad ascoltarle.

Il leader di Blu e Bianco ha tre settimane per evitare nuove elezioni. La destra sembra però già in campagna elettorale…
Nuove elezioni sarebbero una sciagura per Israele, perché vorrebbe dire sfibrare il paese in una campagna elettorale sfiancante, distruttiva. E tutto questo perché un politico non vuole uscire di scena prendendo atto di un fallimento. So bene, per esperienza personale, che è molto dura staccare la spina e a fronte di un insuccesso decidere di passare la mano, senza che questo voglia dire ritirarsi per sempre dalla vita politica. In questo ci vuole coraggio, quel coraggio che sembra mancare a Benjamin Netanyahu.

Dal dibattito politico in Israele sembra essere scomparsa la questione palestinese. Tornando indietro nel tempo, la memoria va a quell’agosto del 2000, quando a Camp David l’allora presidente degli Usa Bill Clinton riunì il leader dei palestinesi, Yasser Arafat, e il primo ministro d’Israele. Quel primo ministro era lei. Diciannove anni dopo, si può affermare che quella è stata un’occasione irripetibile.
Non so se sia irripetibile. Mi auguro di no, ma certamente quell’estate eravamo a un passo da un accordo che avrebbe cambiato la storia non solo di Israeliani e Palestinesi, ma dell’intero Medio Oriente. E proprio per questo in molti hanno lavorato per far fallire quella prova. Continuo a ritenere che c’è una maggioranza di israeliani che ci crede, che crede in una pace nella sicurezza. Il che significa uno Stato palestinese smilitarizzato, ma qual è l’alternativa che la destra propone: uno Stato unico, che abbracci la Giudea e Samaria (i nomi biblici della Cisgiordania, ndr), ma in questa idea di Stato i palestinesi non sono contemplati, ma essi esistono, e con loro dovremmo imparare a convivere. So che non è facile, ma è una sfida che non possiamo mancare.

Vorrei che tornassimo alle trattative sulla formazione del nuovo governo. L’ago della bilancia sembra essere l’ex ministro della difesa e leader di Yisrael Beiteinu (otto seggi) Avigdor Lieberman. Lieberman continua a sostenere un governo Blu e Bianco-Likud…
Aggiungerei Yisrael Beiteinu, perché credo, conoscendolo molto bene, che Lieberman farebbe pesare i suoi otto voti in termini di posti di potere. Resta il fatto che Lieberman ha rotto con la destra religiosa, quella che Netanyahu intende ancora tenere legata a sé. Gantz ha affermato di voler dar vita a un governo liberale e di unione nazionale. Questo taglia fuori quelle forze che con una visione liberale e inclusiva non hanno nulla a che fare. Parli con tutti, ma tenga ferma la barra. Se poi non dovesse farcela, avrebbe comunque costruito un’alleanza più ampia pronta, nel caso peggiore, ad una nuova prova elettorale.

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