Domenica prossima il piccolo Uruguay va al voto. La partita si gioca tra il Frente Amplio (Fa), al governo da tre legislature, e una delle varie sfumature con cui si presenta la destra, delle quali il Partido Nacional (Pn) è la formazione più corposa. Due cose sono fin da oggi certe: nessun partito potrà contare su una maggioranza parlamentare propria ed è scontato che si andrà al ballottaggio. La prima comporta che, in un sistema semipresidenziale come quello uruguayano, ciò costituirà un problema non indifferente per chiunque sarà alla fine eletto presidente. La seconda si spiega col sistema elettorale in vigore che prevede al primo turno il cinquanta per cento più uno dei voti, e al ballottaggio la maggioranza semplice.

In un confronto elettorale che vede competere ben undici differenti formazioni, i due candidati che dovrebbero alla fine disputarsi la poltrona presidenziale, l’ingegner Daniel Martínez del Fa e Luis Lacalle Pou del Pn, condividono un approccio moderato e pragmatico ai problemi che il Paese dovrà affrontare.
Il Pn è stato spesso accusato di aver presentato in campagna proposte di governo a volte già realizzate dal Fa, come quella di consentire alle forze dell’ordine di chiedere i documenti per strada. Con ciò Lacalle, avvocato di quarantasei anni, che si è battuto per un ricambio democratico della classe politica che governa il paese all’insegna di un messaggio di unità, ha tradito la poca conoscenza della realtà e si è attirato le prese in giro da parte dei sostenitori del governo.
Dai dati pubblicati prima del silenzio elettorale al Fa è accreditata una forchetta tra il 41 e il 33 per cento del voto, mentre al Pn andrebbe tra il 27 e il 22 del favore degli uruguayani. Quanto alle altre formazioni politicamente significative, tutte di destra, il Partido Colorado naviga tra il sedici e il dieci per cento, e il Cabildo Abierto tra il dodici e il dieci.

Tutti voti importantissimi per il Pn che potrebbe vincere al ballottaggio, essendo costretto comunque a cercare di formare un governo di coalizione per poter contare su una maggioranza parlamentare. Problema con cui dovrebbe fare i conti pure Martínez, in caso di vittoria. Sempre secondo gli ultimi sondaggi pubblicati, ampia è la percentuale degli indecisi che non scartano nessuna opzione, i quali potrebbero anche in parte confluire su Martínez, facendogli superare la barriera del quaranta per cento che gli consentirebbe l’elezione finale.
Martínez, socialista di sessantadue anni, sindaco di Montevideo dal 2015 fino alla rinuncia per partecipare alle elezioni, ha fatto campagna vantando i successi dei precedenti governi di sinistra, i cui benefici resi al paese non devono essere buttati, quanto migliorati. Di lui Pepe Mujica, che si candida al senato, ha detto che “non può rinunciare a essere un ingegnere”, descrivendo un carattere incline al pragmatico, che lo differenzia dalle figure carismatiche della sinistra uruguayana come quella di Tabaré Vázquez, il presidente uscente, e di Mujica stesso.

Nell’impossibilità di una ricandidatura di Vázquez, e con Mujica che farà la sua parte per rimpolpare i settori parlamentari, nel Fa, un’alleanza di varie forze politiche, si fanno strada nuovi leader come Oscar Andrade che ha portato alla rinascita un Partido comunista capace di dialogare con settori molto più ampi del proprio tradizionale bacino elettorale.
Ormai quasi al tramonto la dirigenza che, dopo anni in carcere o in esilio, ha guidato il governo, l’attuale leadership del Fa sfiora i sessant’anni, pur esistendo uno spazio sociale e politico più ampio, giovane e capace di esprimere l’energia che potrebbe dare nuova linfa militante allo schieramento della sinistra uruguayana.
Per il suo approccio lontano dalle ideologie Martínez ha potuto senza farsi tanti problemi corteggiare il voto dei moderati delle altre due formazioni, facendo ripetutamente incursioni in un bacino elettorale più affine a Lacalle.

Cabildo Abierto di Guido Manini Ríos, ex generale in pensione che incarna l’ennesima variante di Jair Bolsonaro, questa volta in “salsa uruguaya”, oggetto di polemiche per il suo passato in cui pare essere stato invischiato in casi di torture pur avendo servito Mujica come capo dell’esercito, rappresenta un’assoluta novità delle elezioni, e pesca nell’elettorato della destra estrema.
I suoi voti avranno molto peso sia per il ballottaggio, sia a livello parlamentare per la formazione del nuovo governo, e andranno a modificare un sistema politico che per decenni ha fatto perno su tre partiti. Chiude l’offerta della destra elettoralmente significativa il Partido Colorado di Ernesto Talvi, per anni animatore di un think tank liberale e tecnocratico, che nei mesi scorsi era sembrato poter minacciare Lacalle, ma che poi ha cominciato a perdere consensi deludendo l’elettorato “meritocratico” che su lui aveva contato infilando una serie di grossolani errori, che hanno compromesso la sua immagine di esperto.
La campagna elettorale uruguayana non ha potuto non tener conto del fallimento economico delle politiche neoliberali di Mauricio Macri e della drammatica situazione del vicino argentino. Elementi che hanno suonato come un campanello di allarme in molti settori che hanno messo in dubbio la bontà delle ricette proposte dalle forze di destra.
Gli elettori sembrano consapevoli che la posta in gioco è la definizione di grandi progetti politici, come pure sono consapevoli della grande importanza del voto. Il cui esito potrebbe dare continuità o mettere fine a uno dei pochi governi progressisti superstiti nell’area. I dati economici non sono sconfortanti, e consegnano un paese in continua crescita. Al di là dei sondaggi, è in fin dei conti il fattore che potrebbe pesare oltre ogni altra considerazione nel voto di domenica.

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