La fine è nota. L’autore della storia no

Un giallo nel giallo. Tre i protagonisti: lo scrittore-scopritore Leonardo Sciascia, un non identificato scrittore americano dal nome (fasullo?) di Geoffrey Holiday Hall, ed Elvira Sellerio, la non dimenticata fondatrice, con il marito Enzo, dell’omonima, famosa casa editrice.
GIORGIO FRASCA POLARA
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Questa è la storia di un giallo. Ma anche, o soprattutto, la storia di un giallo nel giallo. Tre i protagonisti: lo scrittore-scopritore Leonardo Sciascia, un non identificato scrittore americano dal nome (fasullo?) di Geoffrey Holiday Hall, ed Elvira Sellerio, la non dimenticata fondatrice, con il marito Enzo, dell’omonima, famosa casa editrice che nell’ormai lontano maggio 1990 pubblicò, di questo scrittore misterioso, La fine è nota nella splendida collana della Memoria. Anzitutto dunque la storia di questo giallo, che a raccontarla – in premessa del romanzo – fu lo stesso Sciascia, appena quattro mesi prima di morire. Così:

Il “giallo” è sempre stato il mio viatico ferroviario, un po’ meno, per la verità in questi ultimi anni: non dismessa l’abitudine di acquistarne uno o due prima di salire sul treno, ma abbandonata la lettura dopo le prime dieci o venti pagine: ché sarà una decadenza di questo genere di racconto, il suo estenuarsi e ripetersi, ma il fatto è che raramente, molto raramente ormai, riesco a trovarne uno che più o meno straccamente mi invogli a leggerlo sino allo scioglimento, alla soluzione.

Se non che…

più di trent’anni fa, precisamente nell’autunno del 1952 alla stazione ferroviaria di Caltanissetta acquistai l’ultimo dei “gialli” settimanali Mondadori: “La morte alla finestra” di G. Holiday Hall. E non che nei “gialli” Mondadori, tra tanti mediocri o addirittura pessimi, non ne fossero mancati fino a quel momento di buoni, ma fin dalle prime pagine “La morte alla finestra” mi parve di qualità diversa, di livello più alto. Ero allora fortemente affezionato agli scrittori americani, da Steinbeck a Caldwell a Faulkner a Cain; e mi parve che in quella pleiade si accendesse il lumicino del giovane G. Holiday Hall intruppato tra i “giallisti” ma di miglior vocazione e di diverso avvenire. Più precisamente, avevo l’impressione che, pur dedicandosi alla letteratura di consumo, quel giovane scrittore (giovane e nuovo lo diceva la presentazione editoriale) avesse fatto i suoi latinucci sugli altri maggiori, e su Faulkner specialmente.

Sciascia rilesse quel libro qualche anno dopo (“mi capita, coi gialli”) e “poiché le riletture sono sempre più attente delle letture”, l’impressione di allora gli si confermò “al punto che volli saperne di più”. Scorse l’elenco di tutti i ‘gialli’ settimanali che erano nel frattempo usciti: ma non ne trovò altri di G. Holliday Hall. Andò a Milano, a trovare Alberto Tedeschi, che della collana era allora il mitico direttore per chiedergli lumi, ma senza alcun risultato: quel giovane e nuovo autore era scomparso dal mondo della detective story, né si era ripresentato nel mondo letterario americano. Ma Tedeschi convenne che era opportuno far migrare il libro da quella collana ad altra più “seria” e che valeva la pena di cercare di saperne di più del suo autore. Ancora Sciascia:

Riletto dopo trentasette anni, ancora mi pare valga la pena. E così è parso a Elvira Sellerio che si è imbattuta a leggerlo ricevendone impressione non diversa dalla mia. Solo che non si è riusciti a saperne di più, su G. Holiday Hall. Si tratta di uno scrittore ben noto sotto altro nome che si è dato a quella vacanza (il nome lo fa sospettare)? Un piccolo mistero che sarebbe divertente risolvere.

Rileggiamo allora, da una vecchia intervista di Elvira (scomparsa purtroppo nell’estate del 2010) l’origine dalla decisione di – come dire? – nobilitare il giallo ospitandolo nella più prestigiosa collana di Casa Sellerio:

Intorno al ‘70 avevamo in mente di pubblicare una collana di gialli d’autore. Leonardo cominciò a buttare giù un elenco di titoli, e ci finì in mezzo, ovviamente, “La morte alla finestra”. Ricordava il titolo, ma non il nome dell’autore, e cominciò a darsi da fare. Non aveva più la copia acquistata alla stazione di Caltanissetta: l’aveva prestata al suo amico Renato Guttuso che non solo non gliela aveva restituita ma l’aveva probabilmente persa. Poi comunque l’idea della collana venne meno, le ricerche furono sospese

Ma, intanto, non ho spiegato perché Sciascia e Sellerio ritenessero quel giallo una piccola grande perla non solo della specie mystery, ma un romanzo di grande spessore (che adotta un modello di poliziesco), un autore razza-Faulkner secondo chi aveva già scritto de “Il giorno della civetta” e scriverà altri “gialli”, ma così particolari – così introspettivi, così “politici” – che non sono neppure tali. Il segreto sta nella circostanza che il dramma al centro del romanzo (e che spiega anche il titolo originale americano, non quello poi apposto dalla Mondadori) è tutto racchiuso nelle sole prime due di duecentoquarantaquattro pagine. Dove si racconta di un ricco commerciante che torna di fretta a casa perché la moglie, tanto bellina quanto deliziosamente frivola, lo ha avvertito: uno sconosciuto chiede di lui pretendendo che solo lui può aiutarlo. Ma quando il padrone di casa arriva, l’uomo misterioso (che tale resterà per molte pagine) si è lanciato dalla finestra sotto gli occhi della donna, ed è morto. Il resto, il vero romanzo, inizia da qui, dalla storia di una coppia messa in crisi da quel morto, dall’ostinata violazione della privacy da parte del commerciante della Quinta strada, dal suo non lasciare nulla di intentato nella ricostruzione della vita del suicida: egli non lascerà nulla di intentato nell’animo altrui finché, mentre mistero si è aggiunto a mistero, non giunge ad una raggelante verità. E qui mi taccio per non rovinare la curiosità a chi non avesse letto il libro e si incuriosisca perché, noterà Elvira Sellerio,

c’è una zona d’ombra nella letteratura: si sa tutto dei classici, anche troppo dei contemporanei. Si sono invece perse le tracce, e non per demeriti loro, di autori che cinquant’anni fa furono letti, stimati e benevolmente recensiti. Credo che anche loro abbiano diritto a un posto nel Pantheon delle persone da ricordare. Soltanto così un autore continua a vivere.

Si decide infatti di pubblicare il romanzo, ma con il titolo originario, che è una citazione da Shakespeare: The end is known (Simon & Schuster, New York 1949), cioè appunto La fine è nota. Ma in realtà, come ho già detto, la “fine” è solo un pretesto per giungere, nel dipanarsi di tanti interrogativi e di parecchie sorprese, ad un’altra fine. Ma, presa la decisione, cominciano per Casa Sellerio altri guai, perché ci sono da affrontare due problemi. Intanto non si trova una sola copia del libro: Mondadori non ce l’ha più, del prestito bruciato di Sciascia s’è detto. Non una copia neppure nell’archivio dell’editore americano, e neanche in quello dell’editore francese che l’aveva ripubblicato negli Anni Cinquanta. Finalmente un esemplare viene trovato e fotocopiato nella immensa Libreria del Congresso di Washington. Tutto risolto? Niente affatto, resta da risolvere il secondo problema: a chi chiedere i diritti per una nuova traduzione e una nuova edizione? E da chi sapere se Geoffrey Holiday Hall esistesse davvero e se avesse scritto altro? Lasciamo raccontare alla stessa Sellerio, in un’altra lontana intervista:

Fummo fortunati per i diritti: erano ancora dell’originario editore americano. In quella loro prima edizione, il risvolto di copertina dava assai sintetiche notizie dell’autore ed una sua foto. Hall ha servito la patria per quattro anni in Europa durante la Seconda guerra mondiale, ha soggiornato a lungo a Vienna, il romanzo è la sua prima opera. Punto e basta. La foto mostra un giovanotto poco più di trent’anni, capelli a banana. Punto e basta 

Più tardi uscirà un suo secondo (e ultimo) libro, The watcher at the door che sempre Sellerio pubblicherà sotto il titolo Qualcuno alla porta, meno straordinario, ma questa è solo opinione di chi vi sta raccontando questa storia. Insomma, il mistero restava (e resta): chi è davvero G. H. Hall? Elvira Sellerio fu dall’inizio convinta che

Holiday Hall non ha scritto i due libri. Ha prestato il suo nome in quelle due sole occasioni. Non ho ancora le prove: quei romanzi li ha forse scritti una giovane donna che è poi diventata una grande scrittrice. Il nome? È presto, devo essere sicura… Io dico che un grande scrittore non può scomparire così, senza lasciare traccia. E Hall è un grande. In un’epoca, diciamo anche questa nostra in cui tutti sanno tutto di tutti, quasi c’è bisogno di mistero, e Hall ci fornisce un perfetto esempio di lenta scoperta della personalità di un protagonista. Che fino in fondo, comunque, misteriosa rimane.

Altri ancora, negli anni, hanno provato a dare una diversa identità a questo Hall. Da ultimo, solo qualche settimana addietro, Gabriele Romagnoli ha pensato (confesso che è stato il suo articolo su Repubblica a suggerirmi di riprendere tutta la storia) che alcuni indizi portassero a ritenere, sì, che Hall è un prestanome o uno pseudonimo, e che in realtà dietro quel nome ci celasse Orson Welles. La personalità poliedrica del famoso regista, che fu anche scrittore, appunto, e la sua inesauribile fantasia – giovanissimo, divenne famoso nel ’34 con una sua trasmissione radiofonica in cui descrisse così vividamente una supposta invasione dei marziani sulla Terra da creare panico in migliaia di creduli ascoltatori-, consentirebbero di fare di lui il vero autore de La fine è nota.

Ma in realtà tutte le ipotesi non hanno trovato mai alcun riscontro. E intanto il libro aveva colpito molti, al punto da spingere la quasi esordiente regista Cristina Comencini a trarne, con lo stesso titolo, uno dei suoi primi film, nel 1993. La firma della sceneggiatura era una ferrea garanzia: Suso Cecchi D’Amico; e il fatto che la più grande sceneggiatrice del cinema italiano ci mettesse la firma era già un segnale inequivoco del valore straordinario della traccia su cui lavorò. Racconterà l’attrice francese Valérie Kapriski (che nel film interpreterà la moglie del ricco borghese, colei che assiste impotente al suicidio dello sconosciuto):

Quando ho ricevuto la sceneggiatura è stato amore a prima vista. Anche se Cristina e Suso avevano trasportato la storia dell’America del dopoguerra all’Italia dei nostri giorni, c’era ancora tutto il fascino misterioso del romanzo e il mistero che circonda la figura che interpreto: io so molte cose su quello strano suicida…

Già, il fascino misterioso de La fine è nota. Riprendo il ragionamento dell’editrice sulla “lenta scoperta” della personalità di un autore:

C’è una intera generazione, oggi, che deve riscoprire il racconto di fatti attraverso i quali si vadano svelando le persone. E allora, andiamoli a ritrovare quelli capaci di raccontare e di farsi leggere. Anche se è difficile. (…) Credo di essere fortunata perché da qualche parte qualche decina di autori sono tornati a vivere nella memoria della gente grazie al nostro lavoro e, come in questo caso, alla nostra ostinazione.

Ritrovare quelli “capaci di farsi leggere”? Previsione azzeccata: in ventinove anni La fine è nota è diventato un long seller, più di venti edizioni più la riproposizione nella collana (La rosa dei venti) realizzata in occasione dei quarant’anni di Casa Sellerio….

La fine è nota. L’autore della storia no ultima modifica: 2019-10-26T12:52:07+02:00 da GIORGIO FRASCA POLARA
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