Cristina, la numero due che conta più del numero uno

Il trionfo di Alberto Fernández riporta i peronisti al potere in Argentina, grazie a un capolavoro politico dell’ex-presidentessa Fernández de Kirchner che, non potendo correre in prima persona per la presidenza, torna comunque al vertice del paese sudamericano.
CLAUDIO MADRICARDO
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Due conferme, un grande punto di domanda. Andiamo con ordine. Tutto come da copione in Uruguay che andrà al ballottaggio il 24 novembre. Mentre lo spoglio è ancora in corso, il candidato del Frente Amplio, al governo da quindici anni, Daniel Martínez è al 39,9 per cento. Luis Lacalle Pou del Partido Nacional lo segue al 29.

Al terzo posto l’economista neoliberale Ernesto Talvi con il 12,5 per cento, seguito dall’ex generale di estrema destra Guido Manini Ríos, al 10,7. Entrambi hanno già annunciato il loro appoggio a Lacalle, il che pone un grosso punto di domanda sulla capacità di recupero della sinistra per la quale il risultato ha aperto uno scenario assai complicato. 

Cristina Fernández de Kirchner

Come dalle previsioni della vigilia, invece, il trionfo a tutto tondo di Alberto Fernández, che riporta i peronisti al potere in Argentina e chiude la parentesi del liberista Mauricio Macri, che ha precipitato in una gravissima crisi economica il paese facendo crollare il valore del peso nel cambio con il dollaro, richiamando alla mente scenari da incubo del passato. 

A scrutinio quasi terminato, Fernández del Frente de Todos raggiunge il 48,10 per cento e ha un vantaggio di otto punti su Macri. Avendo superato il 45 per cento dei voti, secondo la legge elettorale argentina evita il ballottaggio. Un risultato che è minore rispetto a quello delle primarie di agosto che aveva determinato uno scossone nella politica del paese, sufficiente comunque a spalancargli l’uscio della Casa Rosada. Dove conduce la vicepresidente Cristina Fernández de Kirchner, ex presidentessa invischiata in numerose inchieste giudiziarie per corruzione, alcune delle quali passate in giudicato. Da ieri risuscitata politicamente, aveva potuto evitare l’onta del carcere grazie all’impunità di senatrice.

Quello di ieri è certo una sorta di capolavoro politico di Cristina che, non potendo per ovvie ragioni correre in prima persona, torna ora al potere sull’onda di un patto – che ha messo fine a una rivalità che aveva diviso il peronismo – siglato con Alberto Fernández, avvocato sessantenne, già capo di gabinetto durante la presidenza del marito e suo aspro critico dal 2008.

Trasformando così un uomo politico solo sei mesi fa sconosciuto alla maggioranza degli argentini nel candidato ideale per le doti di dialogo che hanno permesso a Fernández di guadagnare l’appoggio del vasto schieramento peronista e dei sindacati che hanno guidato i lavoratori contro Macri. Dietro il suo aspetto austero, il nuovo presidente nasconde una personalità sfaccettata e una passione per la musica rock e la chitarra, e si fa volentieri ritrarre col suo cane Dylan, nome che gli ha dato in onore di Bob. 

Alberto Fernández con il suo cane Dylan

Con la sua scelta, Cristina ha saputo rimuovere il principale ostacolo all’unità dei peronisti, per i quali la sua figura risultava in fin dei conti divisiva. Una strategia che è passata attraverso la rinuncia a correre per la presidenza, accontentandosi di fare da spalla a Fernández senza essere troppo presente nella campagna. Alla fine si è imposta ancora una volta nel giro della politica che conta, e si conferma quanto lo stesso Alberto Fernández ebbe a vaticinare: “Con Cristina non ce la si fa, e senza di lei non è possibile”. 

Il successo di ieri non sarebbe stato possibile senza la parallela crisi economica in cui il presidente uscente ha offerto ampia prova d’incapacità gestionale e di favorire sfacciatamente le élite della società argentina a scapito delle masse popolari. Su di esse Macri aveva rigettato il peso economico del rientro dall’oneroso prestito di 57 miliardi di dollari contratto con il Fondo Monetario Internazionale per uscire dalla crisi. 

Un’operazione che non ha risparmiato al paese la crisi, imponendogli per sovrappiù una restituzione che è ritenuta impossibile, aprendo scenari di default. Per evitare il quale, il nuovo presidente dovrà trovare una qualche via d’uscita, cercando in primo luogo di mantenere la sua promessa di “povertà zero”. Facendo uscire dalla condizione in cui è precipitata negli ultimi due anni una consistente parte della popolazione argentina che è stata condannata letteralmente alla fame anche a causa dell’inflazione galoppante superiore al cinquanta per cento annuo, dove un dollaro al mercato nero, solo alla vigilia delle elezioni, si comprava a ottanta pesos.

Il risultato di ieri segna il fallimento della visione su cui Macri aveva basato il suo successo dopo dodici anni di governo peronista, in base alla quale bastava rimuovere un governo che aveva litigato con i mercati per ottenere come per incanto lo sviluppo cui l’Argentina, paese potenzialmente ricchissimo, avrebbe avuto immediato accesso. Anche grazie alla lotta alla corruzione che aveva connotato i governi peronisti. 


Se queste erano state le leve con cui Mauricio Macri aveva archiviato il peronismo, riuscendo a fornire di sé un’immagine ottimista, in mancanza della messe d’investimenti internazionali annunciata e mai giunta, la realtà che si è venuta imponendo si è incaricata di demolirle, riportando ieri gli elettori a votarsi al santo al quale in precedenza avevano voltato le spalle. 

Lo stesso avvento delle politiche protezioniste dell’amico Donald Trump ha alla fine pregiudicato il risultato che Macri si attendeva dalla sua apertura al mondo, sulla quale aveva scommesso per far ripartire lo sviluppo. Se egli è stato fino all’ultimo il preferito dai mercati internazionali, il precipitare del suo gradimento presso gli argentini ha solo confermato il suo fallimento politico in modo netto. 

“Torniamo a costruire l’Argentina ugualitaria e solidale che tutti sogniamo”, ha dichiarato Fernández ieri sera ai suoi sostenitori che l’acclamavano in attesa che entri in carica a dicembre, quando dovrà mettere le basi del governo del cambio. Intanto l’Argentina ha festeggiato ieri notte per le strade di Buenos Aires, e archivia il neoliberismo di Mauricio Macri, avendo creduto alla proposta dell’attuale vincitore, che durante la campagna elettorale si era sforzato di indirizzarsi ai settori moderati della società per assicurarsene il voto.

Pur essendo visto lui stesso come un moderato, la sua vittoria, data per scontata anche dai mercati, era temuta dagli ambienti finanziari, spaventati da un possibile ritorno dell’ingerenza dello stato in economia, e rispetto alla quale il nuovo presidente si è detto più volte a favore per rivitalizzare il mercato interno attraverso aumenti salariali.

Molti temono che una volta al governo possa rivelarsi un duro del peronismo, disposto a disconoscere le istanze dell’impresa pur di portare avanti le politiche populiste del kirchnerismo. Mentre tra le file dei peronisti irriducibili non tutti hanno gradito la scelta di Cristina, e lo vedono con qualche sospetto, come un neoliberale in economia. Intanto tra poche ore sarà interessante vedere come reagiranno borsa e cambio alla riapertura. 

Cristina, la numero due che conta più del numero uno ultima modifica: 2019-10-28T16:06:46+01:00 da CLAUDIO MADRICARDO
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