Bolivia senza paz

In un Paese spaccato drammaticamente a metà, violenti scontri si sono registrati nella capitale, a Potosí e a Cochabamba, dopo la settimana di proteste contro i brogli che avrebbero caratterizzato le elezioni dello scorso 20 ottobre.
CLAUDIO MADRICARDO
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America Latina senza pace. Mentre il Cile è sconvolto dalla violenza della reazione poliziesca contro le manifestazioni popolari che ha mobilitato in primo luogo i giovani per protestare contro le profonde disuguaglianze di cui soffre il Paese, e hanno costretto Sebastián Piñera a formare un nuovo governo nel tentativo, fino ad ora abortito, di mettere fine all’ondata di proteste, la Bolivia di Evo Morales corre sempre più il rischio di precipitare nel caos a seguito della sua contestata rielezione a un quarto mandato presidenziale che lo manterrebbe al potere.

In un Paese spaccato drammaticamente a metà, violenti scontri si sono registrati a La Paz, Potosí e Cochabamba, dopo la settimana di proteste contro i brogli che avrebbero caratterizzato le elezioni dello scorso 20 ottobre. Quando, a urne solo da poco chiuse, nelle maggiori città boliviane erano state rinvenute cassette con materiale di voto e schede elettorali in appartamenti e addirittura in auto private.

A questo si deve aggiungere l’inspiegabile blocco del flusso dei risultati durato ventiquattro ore per decisione del Tribunale supremo elettorale (TSE) quando era emersa chiara la tendenza al ballottaggio. Considerato pure che il TSE è tutto il contrario di un organismo indipendente, al quale si accede non per concorso ma per nomina governativa, è comprensibile come la situazione che si era creata abbia scatenato l’accusa di frode da parte del candidato Carlos Mesa di Comunidad Ciudadana.

Manifestazione a favore di Morales a La Paz

Giornalista, egli stesso presidente per un breve periodo immediatamente prima della vittoria di Morales, Mesa appartiene a una storica famiglia del mondo culturale boliviano, ed è espressione di uno schieramento di centro sinistra. Fin da subito ha subodorato che dietro al blocco del conteggio dei voti si nascondeva il pericolo di farsi soffiare la possibilità di andare a un secondo turno in cui, raggruppando le percentuali degli altri candidati dell’opposizione, avrebbe avuto più di qualche chance di mandare a casa Evo, al potere ininterrottamente dal 2006. In caso di riconferma, Morales sarebbe chiamato a governare fino al 2025 quando avrà raggiunto i sessantacinque anni. Non proprio un’età che imponga di sedersi in una panchina ai giardinetti, soprattutto per uno instancabile come lui, che dai suoi è visto essere fatto di una pasta unica, che non si ripete nell’intero arco di un secolo.

Dal blocco del flusso del conteggio rapido, al quale è seguita la proclamazione da parte del TSE della rielezione di Evo di strettissima misura in base al meccanismo del dieci per cento di differenza sul secondo classificato e con il quaranta per cento del voto espresso a favore, l’opposizione è scesa in piazza nelle nove capitali boliviane organizzando marce, “cacelorazos” notturni e blocchi stradali.

Ribaltando specularmente una realtà che appare sempre più chiara agli occhi dei boliviani nella sua vera essenza, Morales ha accusato Mesa di tentare il golpe in combutta con la destra, e si è spinto perfino ad accusare l’Organizzazione degli Stati Americani, colpevole di aver consigliato di andare al ballottaggio, di farsi paladina della reazione. 

In difesa delle sue traballanti giustificazioni, come sempre più in Bolivia vengono considerate, ha fatto appello ai sindacati operai e contadini, chiedendo loro di difendere la democrazia e di accerchiare le città principali in cui si concentra la protesta, creando non lievi problemi di rifornimento. Da qui i numerosi scontri tra manifestanti di opposte fazioni. Già si registrano i primi morti causati dai mercenari paramilitari di Morales. Al momento i giornali parlano di un agricoltore sessantenne e di un uomo di quarantuno anni, uccisi dalle pallottole a Montero, Santa Cruz.

In una logica barricadiera tesa a mobilitare i suoi sostenitori, Evo ha contrapposto le periferie, dove stanno i lavoratori delle miniere e delle campagne, alle aree urbane, colpevoli di ospitare chi a lui s’oppone. Dimenticando di essere in fin dei conti il presidente di tutti i boliviani, ha oggettivamente operato per dividere il Paese, e per questo è stato accusato di fomentare la violenza che si sta generando un po’ ovunque.

Il documento della Coordinadora de Defensa de la Democracia, primo firmatario Carlos Mesa, in cui si esige la convocazione del secondo turno elettorale

Con lo scopo di vanificare il tentativo di colpo di stato a suo dire in atto e di far digerire alla popolazione l’esito delle elezioni che lo vede vincitore di misura. Il risultato è che da giorni la Bolivia è teatro di marce contrapposte e di tensioni che potrebbero facilmente degenerare, precipitandola nel caos che già ha coinvolto recentemente l’Ecuador e di cui è vittima recente il Cile. 

Di fronte alla grave situazione creatasi, ieri l’ONU ha manifestato la sua grande preoccupazione per quanto sta accadendo, e ha rivolto un appello alla pacificazione e al libero esercizio dei diritti fondamentali delle persone, alle quali deve essere assicurata la protezione da parte delle autorità e garantita la libertà di espressione e di manifestare pacificamente. 

Oltre all’immediata scontata condanna di Paesi come gli USA, il Brasile e la Colombia, solo ieri alla lista delle nazioni che disconoscono l’auto proclamazione di Morales  si è aggiunto anche il Canada. Mentre l’Unione Europea si è espressa subito per il ballottaggio. Nel tentativo di mettere fine ai disordini e di pacificare gli animi, già nei giorni scorsi il governo aveva chiesto all’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) di procedere a un riconteggio delle schede. Un’offerta immediatamente accolta dal segretario generale Luis Almagro, a patto che l’esito del conteggio fosse vincolante e accettato da entrambi i candidati che si disputano la poltrona presidenziale.

Ieri il ministro della Comunicazione Manuel Canelas ha promesso che ci sarà il riconteggio e che si andrà al secondo turno in caso il controllo internazionale riscontrasse l’esistenza d’irregolarità e il governo ha invitato Carlos Mesa a partecipare.

“Andiamo al secondo turno” @contrapuntovzla

Da parte sua Mesa ha dapprima condizionato la sua partecipazione al riesame dei voti alla pretesa che il governo dichiari che l’esito che dà Morales vincitore già al contestato primo turno non è definitivo. Promettendo che le proteste che stanno mettendo in ginocchio la Bolivia non cesseranno, ha affermato che l’ideale sarebbe indire nuove elezioni, come via di pacificazione del Paese. 

Poi ha espresso il suo rifiuto motivandolo con il fatto che il controllo del voto era stato concordato unilateralmente senza che gli fosse chiesto a quali condizioni dovesse essere avviato, che per lui erano il disconoscimento del conteggio fatto dal TSE e la necessaria partecipazione di rappresentanti della società civile.

Riconosciamo le posizioni di istituzioni, settori civici e movimenti sociali che chiedono l’annullamento delle elezioni e esprimono diffidenza verso il riconteggio,

ha dichiarato. Mentre Canelas, l’ha invitato a esprimere le sue condizioni per l’avvio del controllo dell’OEA, interpretando in tal modo la parte colloquiante del governo, quella che vuol apparire dialogante e disponibile a livello internazionale, nel tentativo di controbilanciare la repressione operata da Morales attraverso i paramilitari, guardandosi bene egli dall’usare polizia ed esercito per non dover gettare la maschera.

La Coordinadora de Defensa de la Democracia. Al centro Carlos Mesa

Il ragionamento di Mesa è condiviso da più settori della società boliviana. Solo martedì,  per fare un esempio, il presidente del Comité pro Santa Cruz, Fernando Camacho ha rivolto un appello alla mobilitazione fino a raggiungere l’annullamento delle elezioni, rifiutando qualsiasi riconteggio di schede che a suo dire sono già state manipolate. Ieri i minatori della Federación de Cooperativas Mineras de Potosí (Fedecomin), hanno disconosciuto il loro attuale dirigente e deciso di andare a La Paz per difendere il voto popolare e chiedere la nullità delle elezioni. E oggi il Consiglio di difesa della democrazia (CONADE) ha convocato un gran “cabildo”, un consiglio popolare, il cui scopo è chiedere un nuovo voto e la nomina di un tribunale elettorale finalmente indipendente.

Sempre martedì sera l’OEA aveva deciso di inviare un gruppo di tecnici esperti in processi elettorali ai quali è stato conferito l’incarico di condurre i necessari controlli, tenuto conto comunque del fatto che già gli osservatori presenti in Bolivia durante le elezioni avevano denunciato varie irregolarità. Il gruppo avrebbe dovuto iniziare il suo lavoro già da giovedì. Le sue regole d’ingaggio prevedono la verifica dei conteggi, degli aspetti statistici, e di passare alla lente d’ingrandimento il processo e la catena di custodia delle schede, al fine di assicurare con la massima serietà e rigore un parere vincolante per entrambi i contendenti. 

Mineros in piazza per Evo

Se fino a poco fa, vista anche l’apparente arrendevolezza del governo boliviano, era lecito dubitare della capacità dell’OEA di verificare verbali e voti, probabilmente già abilmente modificati, soprattutto dopo le dimissioni del vice presidente del TSE Antonio Costas, l’unico che aveva garantito un po’ di trasparenza pur tra mille distinguo e titubanze, il quale era riuscito a non apparire agli occhi della gente come un operatore che rispondeva agli ordini del governo, ora l’inasprirsi dello scontro e i primi morti potrebbero precipitare la Bolivia in un incubo. 

La lettera di dimissioni di Antonio Costas

Tanto più se sarà confermata una notizia che alcuni giornali boliviani hanno pubblicato secondo la quale la presidentessa del TSE la sera del 20 ottobre avrebbe chiesto lei personalmente, direttamente al telefono con l’impresa Neotec, l’interruzione della trasmissione dei dati, senza peraltro informarne il vicepresidente. Per garantire che l’interruzione del TREP avvenisse senza indugi, sembrerebbe che si sia anche bloccato il flusso elettrico e di internet a Neotec. Se la cosa verrà confermata, la frode elettorale che fino a ieri doveva essere ancora realmente provata, diverrebbe così plateale, non più discutibile.

Bolivia senza paz ultima modifica: 2019-10-31T15:37:52+01:00 da CLAUDIO MADRICARDO
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