“Arabi centrali nella vita politica d’Israele”. Parla Ayman Odeh

La Joint List, la Lista Araba unita che nelle elezioni del 17 settembre ha ottenuto tredici seggi, è la terza forza parlamentare alla Knesset. Una forza che il suo leader intende far valere, a partire dalle trattative per formare il nuovo governo. In questa intervista esclusiva a ytali spiega come.
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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Comunque vada a finire, una cosa è certa: gli arabi israeliani hanno conquistato uno spazio centrale nella vita politica d’Israele. Non siamo più una riserva indiana, chiunque intenda governare il paese deve fare i conti con noi. Siamo diventati l’ossessione di Netanyahu e della destra più integralista. Per noi è una medaglia.

A sostenerlo, in questa intervista esclusiva concessa a ytali è Ayman Odeh, presidente della Joint List, la Lista Araba unita che nelle elezioni del 17 settembre ha ottenuto tredici seggi, diventando la terza forza parlamentare alla Knesset. Una forza che Odeh intende far valere in questa fase cruciale nella vita politica d’Israele. E a ytali spiega come.

Assieme all’altro leader di Joint List, Ahmed Tibi, lei ha incontrato ufficialmente nei giorni scorsi il leader di Kahalon Lavan (Blu e Bianco) Benny Gantz, incaricato dal capo dello stato, Reuven Rivlin, di formare il nuovo governo dopo il fallimento del premier uscente Benjamin Netanyahu. Com’è andato l’incontro ed esistono possibilità di una presenza di personalità arabe israeliane in un ipotetico futuro governo?
Il fatto stesso che lei mi ponga questa domanda, è il segno di un cambiamento sostanziale nella vita politica d’Israele. Fino a qualche mese fa, era semplicemente impensabile interrogarsi su questo. Non era scontato. Per tanto, troppo tempo, la discriminazione verso gli arabi israeliani è stata trasversale ai partiti israeliani. Variavano i toni, ma non la sostanza: la nostra era un’esclusione pregiudiziale. Ora non è più così. Nessuno ci ha regalato niente. Abbiamo combattuto perché le problematiche che riguardano una comunità che rappresenta oltre il venti per cento della popolazione d’Israele entrassero nell’agenda politica di chi ha l’ambizione di governare. Quanto all’incontro con Gantz, posso dire che si è svolto in un clima cordiale e costruttivo, e che si sono discusse questioni importanti per la società araba israeliana, concentrandoci soprattutto su questioni sociali e civili di primaria importanza…

Odeh verso l’incontro con Benny Gantz (nell’immagine di apertura)

E quale è stato, se è possibile saperlo, l’atteggiamento del premier incaricato?
Un atteggiamento positivo. Gantz ha dimostrato di avere capacità di ascolto e ha convenuto che le questioni che noi abbiamo posto sul tavolo devono essere affrontate e portate a soluzione, indipendentemente dalla composizione del futuro governo.

Molti analisti politici a Tel Aviv ipotizzano, tra i vari scenari, la formazione di un governo di minoranza guidato da Gantz con l’appoggio esterno dei partiti arabi israeliani. È uno scenario realistico?
È una discussione aperta. Nell’incontro abbiamo discusso dei problemi più urgenti che investono la comunità araba israeliana, ma in una ottica che investe gli interessi comuni di tutti i cittadini israeliani. Per quanto ci riguarda, restiamo fedeli ai valori di pace e uguaglianza e, come sempre, accogliamo con favore l’isteria del Likud. Il voto degli arabi israeliani, con la loro massiccia partecipazione elettorale, è risultato decisivo per sconfiggere Netanyahu e il peggiore governo della storia d’Israele, dominato da una destra razzista, nemica di una pace giusta con i palestinesi. Per noi è un motivo d’orgoglio essere attaccati da questi fanatici.

Ad attaccare la Joint List non è solo Netanyahu, ma anche il leader di Yisrael Beiteinu, Avigdor Lieberman, che ha definito l’alleanza dei partiti arabi israeliani una “quinta colonna”, aggiungendo che questa definizione non va messa tra virgolette, ma intesa letteralmente.
Quinta colonna di chi? Dei palestinesi, che la destra oltranzista vorrebbe spazzare via dalla West Bank, come se milioni di persone potessero essere cancellate con un tratto di penna o deportate in massa verso dove peraltro… Una pace giusta e duratura con i palestinesi, fondata sulla soluzione a due Stati, non è una concessione che Israele fa sulla base di un astratto principio di giustizia e legalità internazionale, tanto meno un cedimento ai “terroristi”. Riconoscere il diritto del popolo palestinese a vivere in uno Stato indipendente a fianco dello Stato d’Israele, è un investimento sul futuro che Israele fa per se stesso. Non esistono scorciatoie militari per dare soluzione al conflitto israelo-palestinese, l’unica via praticabile è quella del dialogo, del negoziato, del compromesso. Se questo per qualcuno vuol dire essere una “quinta colonna”, allora sì, lo siamo. Siamo la “quinta colonna” di una pace tra pari. Noi vogliamo vivere in un luogo pacifico basato sulla fine dell’occupazione, sulla creazione di uno stato palestinese accanto allo Stato di Israele, sulla vera uguaglianza, a livello civile e nazionale, sulla giustizia sociale e sicuramente sulla democrazia per tutti. Un’aspirazione che non potrà mai essere realizzata se al governo ci saranno  ancora Netanyahu e le destre razziste.

Ayman Odeh interviene alla conferenza nazionale di JStreet, 28 ottobre

Non tutti all’interno della Joint List sono dello stesso avviso. I parlamentari di Balad (tre su tredici) non hanno partecipato all’incontro con Gantz…
Non è un segreto che al nostro interno esista un dibattito sulle prospettive e l’atteggiamento da tenere in questo passaggio cruciale nella vita politica d’Israele. Siamo quattro partiti, che hanno però avuto l’intelligenza e la capacità di far prevalere ciò che ci unisce su visioni di parte. E questa unità è stata premiata dagli elettori. All’ordine del giorno non è la nostra partecipazione al governo, ma porre al centro della discussione i temi che stanno più a cuore alla nostra comunità, quelli che riguardano la sicurezza, il lavoro, gli investimenti in infrastrutture e abitazioni, la giustizia sociale, l’istruzione. Su questo l’unità esiste al nostro interno, ed è un bene che va preservato. D’altro canto, la nostra decisione di raccomandare Gantz come prossimo primo ministro senza unirsi al suo possibile governo di coalizione di unità nazionale è un chiaro messaggio che l’unico il futuro di questo paese è un futuro condiviso e non esiste un futuro condiviso senza la piena ed equa partecipazione dei cittadini arabi israeliani.

Gantz ha accusato Netanyahu di “sfascismo”, sostenendo che il vero obiettivo di “Bibi” sia andare a nuove elezioni anticipate, le terze in neanche dieci mesi.
Il terrore di Netanyahu si chiama incriminazione per reati gravi come frode e corruzione. Egli pretende di essere al di sopra della legge, e continua ogni giorno, con dichiarazioni irresponsabili come quelle del ministro della Giustizia, ad attaccare frontalmente la magistratura, la polizia. Quello che Netanyahu pretende è l’impunità, che nella sua testa otterrebbe se fosse confermato primo ministro. Un politico che tiene in ostaggio un paese non può candidarsi a guidarlo.

Ayman Odeh con Bernie Sanders e Maisam Jaljuli, attivista palestinese israeliana

Quella di Gantz è una corsa contro al tempo, una corsa ad ostacoli. Il presidente Rivlin non ha mai nascosto il suo favore ad un governo Blu e Bianco-Likud. Una strada che il premier incaricato continua a battere. L’ostacolo è “solo” Netanyahu?
Quel ‘solo’’ mi pare un po’ riduttivo, visto che Netanyahu è stato negli ultimi venti anni il padre-padrone del Likud, plasmandolo a sua immagine e somiglianza, spostandolo sempre più su posizioni estremiste. So che chi spera, o lavora, per un ammutinamento interno al Likud, ma la vedo molto difficile. Detto questo, voglio subito chiarire che noi valuteremo il nuovo governo, se dovesse nascere, non solo sulla base della presenza o dell’assenza di Netanyahu, ma soprattutto dalle politiche che porterà avanti. Un Likud senza Netanyahu ma in continuità con quanto fatto dal governo uscente, è un partito ostile ai quei principi di pace e di uguaglianza che sono alla base della Joint List.

C’è bisogno di una discontinuità netta col passato. L’uscita di scena di Netanyahu è importante ma non basta per imprimere una svolta radicale nel governo d’Israele. Noi arabi israeliani non vogliamo essere tollerati, ma considerati cittadini d’‘Israele a tutti gli effetti, né più né meno degli ebrei israeliani. È questa la sfida che lanciamo. Ed è una sfida che investe l’essenza stessa della democrazia e dell’idea di nazione. A votarci, il 17 settembre, non sono stati solo gli arabi israeliani, ma tanti ebrei israeliani che condividono la nostra idea di democrazia, che si battono perché lo Stato d’Israele sia, a tutti gli effetti e su ogni piano, lo Stato degli Israeliani, ebrei e arabi. È la rivendicazione di un diritto di cittadinanza che supere le appartenenze comunitarie. Un governo che lavorasse per questo, sarebbe davvero un governo del cambiamento.

Un governo che potrebbe contare sui voti della Joint List?
Non farlo sarebbe difficile da spiegare.

“Arabi centrali nella vita politica d’Israele”. Parla Ayman Odeh ultima modifica: 2019-11-01T17:01:25+01:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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