Europei e no. Brexit e le nazioni del Regno Unito

SILVIA MARCHI
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L’articolo che qui di seguito pubblichiamo appare sull’ultimo numero monografico (3/2019) della rivista Arel, dal titolo “Nemico”, nella sezione dedicata al trentennale della caduta del Muro, pezzi scritti da chi non c’era (ragazzi nati dopo la caduta o a ridosso, appartenenti a diverse nazionalità).
Continua così la nostra collaborazione con la rivista fondata da Beniamino Andreatta. Anche questa volta, come avvenne con il precedente numero “Straniero”, anticipiamo online alcuni articoli della rivista cartacea, ringraziando la direzione e la redazione per la gradita cortesia.

Il Muro che divideva due sistemi politici ed economici e due visioni del mondo contrapposte è stato fisicamente distrutto trent’anni fa, ma nuovi muri continuano ad alzarsi in Europa e nel mondo. Quelli d’oggi sembrano avere funzione diversa da quella del Muro di Berlino. Servono a evitare il confronto con il diverso? Per dare un senso di sicurezza? O sono uno strumento per rimarcare le differenze? Oggi sembra si stia alzando un muro tra Regno Unito e Unione Europea. Nell’incertezza generale su ciò che accadrà nella galassia britannica e a più di tre anni dal referendum del 23 giugno 2016 sono ancora tante le domande aperte riguardo al futuro del Regno Unito, i legami con l’Europa e il suo ruolo come attore internazionale. Per cercare di capire meglio la Brexit, questo articolo si concentra su alcuni muri invisibili di cui si parla meno spesso, quelli interni allo stesso Regno Unito.

Appena arrivata a Londra prima di tutto mi sono dovuta chiarire le idee su alcuni concetti di base. Quando dovremmo parlare di Regno Unito (United Kingdom), quando di Gran Bretagna (Great Britain) e quando d’Inghilterra (England)? Per questo tema forse ci basta chiarire che The United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland comprende la Gran Bretagna (formata da Inghilterra, Galles e Scozia) e l’Irlanda del Nord. Il Regno Unito è formato da quattro nazioni: Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord. Nel corso del tempo esse, grazie al trasferimento di alcuni poteri dal centro alle singole nazioni, la Devolution, hanno incrementato il loro potere e, ad oggi, solo l’Inghilterra non ha istituzioni locali proprie. Questo, però, non significa che l’Inghilterra non abbia influenzato e non continui a influenzare il futuro del Regno Unito più di ogni altra nazione.

Infatti gli inglesi, che nel corso dei secoli hanno guidato l’Impero Britannico e poi il Regno Unito, vengono spesso considerati i maestri dell’understatement. Riassume bene questa apparente contrapposizione Winston Churchill: “There is a forgotten, nay almost forbidden word, which means more to me than any other. That word is England”. Gli inglesi, che hanno guidato l’impero per estensione territoriale più grande della storia, non si accontentano solo di essere una nazione, hanno memoria storica e nostalgia. Inoltre ricordano il fardello delle conquiste, il White man’s burden, al punto che George Orwell, facendo riferimento agli intellettuali di sinistra, scriveva:

l’Inghilterra è forse l’unico grande paese in cui gli intellettuali si vergognano della propria nazionalità.

Gli inglesi hanno avuto la grande capacità, anche attraverso l’understatement, di tenere assieme il vastissimo Impero Britannico, in cui anche scozzesi e gallesi godevano di vantaggi grazie ai possedimenti d’oltremare e ai ricchi commerci.

Nell’ultimo secolo, invece, le nazioni hanno avuto più interesse a concentrarsi sugli equilibri di potere all’interno del Regno Unito. Non a caso il Parlamento scozzese e le Assemblee nazionali del Galles e dell’Irlanda del Nord sono state create nel 1997 a seguito di referendum. Gli interessi tra le nazioni non sempre coincidono e come altrove in Europa la questione identitaria rimane complessa e delicata, in particolare per il fatto che non parliamo di regioni, ma di nazioni, popolazioni molto diverse fra loro, alcune con velleità indipendentiste.

Il Regno Unito è entrato a far parte dell’Europa nel 1979, senza mai aderire all’euro e al Trattato di Schengen e su molte politiche comunitarie poteva fare opt-out. Sicuramente aveva preservato più libertà e indipendenza rispetto alla maggior parte degli altri Stati europei. La popolazione britannica si è mai sentita europea? È una domanda a cui è difficile dare risposta.

Ho quindi scelto due indicatori per cercare di capire.

1 Il primo guarda al passato, all’affluenza inglese alle elezioni europee a partire dal 1979. La tabella sotto mostra che la partecipazione inglese è nettamente più bassa rispetto alla media europea. Quindi il cittadino britannico non ha partecipato attivamente alla vita pubblica europea.

2 Il secondo indicatore è il risultato del referendum di giugno 2016. Certamente, si è trattato di una campagna referendaria viziata dalle fake news e il risultato è stato vinto con uno scarto minimo. Come tutti sappiamo il 51,8 per cento dei britannici ha votato per uscire dall’Unione Europea. Quindi, anche ipotizzando che i britannici si fossero sentiti europei in passato, hanno comunque scelto di non esserlo in futuro. Guardando più nel dettaglio il risultato del referendum, il Regno Unito si spacca nelle sue nazioni: il Galles e tutta l’Inghilterra tranne Londra (59.93 per cento remain) hanno votato per uscire, mentre l’Irlanda (55.78 per cento remain) e la Scozia (62 per cento remain) erano favorevoli a restare nell’Unione Europea.

Le nazioni hanno quindi pareri discordanti su una questione chiave per il loro futuro quale la permanenza nell’Unione Europea. Queste divisioni interne si sono viste anche durante questi anni di negoziazione: la Scozia, per esempio, ha tentato di instaurare un dialogo indipendente dall’Inghilterra con l’Unione Europea. Forse i britannici non si sono mai sentiti europei in senso romantico, ma in modo pragmatico, l’Unione Europea è stata e continua a essere un misto di opportunità e rischi per ognuna delle nazioni.

Probabilmente in questo gioco di interessi, David Cameron ha visto nel referendum per la Brexit un’opportunità per l’Inghilterra. Infatti non solo l’Inghilterra ha nostalgia del passato, ma crede anche, soprattutto a seguito del referendum scozzese del 2014, che sia di primaria importanza rafforzare il Regno Unito. Come ha scritto in modo eloquente l’irlandese Fintan O’Toole, “when you strip away the rhetoric, Brexit is an English nationalist movement”.

Table 1 – European Parliament election turnout % by country 1979-2019

Member States197919841989199419992004200920142019
United Kingdom32.35%32.57%36.37%36.43%24%38.52%34.7%35.60%37%
Average EU Turnout61.99%58.98%58.41%56.67%49.51%45.47%42.97%42.61%50.82%

I dati ci mostrano che è stata l’Inghilterra a traghettare il Regno Unito fuori dall’Unione Europea. Si tratta quindi di un fenomeno inglese che esclude Londra, oggi forse una città più cosmopolita che inglese. “Englishness has also been called ‘the invisible driver’ behind Brexit”. La Brexit sembra quindi un fenomeno di riappropriazione del proprio destino da parte degli inglesi, che hanno enfatizzato durante la campagna referendaria il ritorno all’antica gloria, la necessità di riprendere il controllo dei confini e quindi la distinzione tra noi, Regno Unito, e loro, Europa continentale. Appare in effetti un tentativo atto a impedire la disgregazione del Regno Unito, forse anche a “re-inglesizzare” Londra.

Il parlamento scozzese

A questo proposito è interessante notare che il blocco maggiore alle negoziazioni tra Europa e Regno Unito non sia stato l’aspetto economico, ma il backstop, l’impossibilità per il Regno Unito di imporre di nuovo la frontiera tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda, nel caso in cui non si trovasse un accordo. La Brexit sembra quindi essere un piano guidato dall’Inghilterra per salvare il futuro del Regno Unito, accettando il rischio, in modo più o meno consapevole, di sacrificare il rapporto con l’Unione Europea.

Paradossalmente, questa stessa Brexit voluta dagli inglesi sta ponendo dei dubbi sul futuro del Regno Unito: adesso sono Scozia e Irlanda a vedere delle opportunità nella Brexit. Basti pensare che il Primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon, sta provando a chiedere un secondo referendum legalmente vincolante per l’indipendenza scozzese. Un rischio simile potrebbe verificarsi con l’Irlanda del Nord: in virtù dell’accordo del Venerdì Santo del 1998, se il censimento raggiungesse una maggioranza di cattolici allora l’Irlanda del Nord avrebbe diritto a un referendum per decidere se unirsi a Dublino.

Era l’Unione Europea il grande nemico del Regno Unito per cui era prioritario costruire questo muro visibile/invisibile? Non ne sono convinta, sembra che questo muro (ancora da capire quando finiranno i lavori di costruzione) sia principalmente uno strumento per rimarcare le differenze tra Regno Unito ed Europa continentale. La Brexit sta alzando delle nuove barriere, ma queste hanno funzione diversa da quella del Muro di Berlino, simbolo della Guerra Fredda. All’epoca il Muro divideva il mondo in due schieramenti con ideologie contrapposte, oggi invece il Regno Unito si preoccupa di restare, per l’appunto, unito e di definire la sua identità. In conclusione, la strategia della Brexit non riguardava solo i rapporti con l’Europa e nei prossimi anni vedremo quali muri si alzeranno e capiremo meglio l’identità britannica nel XXI secolo.

LA RIVISTA AREL

Fondata da Nino Andreatta nei primi anni Ottanta, dal 2007 la rivista dell’AREL si è rinnovata, diventando monografica: una parola diviene il veicolo di riflessioni aperte e interdisciplinari.

Nel corso degli ultimi dodici anni ha trattato di molti temi di attualità, con l’ambizione di andare oltre l’oggi e l’immediato futuro: immigrazione, città, potere, verità, dubbio, muri, popolo, ragione, ricchezza, violenza, ragione, tempo, caos, crisi, normalità, libertà, tregua (sul sito l’elenco completo con relativi indici e alcuni testi).

Hanno scritto per la rivista o hanno rilasciato interviste autorevoli esponenti di mondi diversi; tra loro: Giorgio Napolitano, Michel Barnier, Paolo Gentiloni, Enrico Letta, Carlo Azeglio Ciampi, Zygmunt Bauman, Leopoldo Elia, Miguel Ángel Moratinos, Michel Barnier, Marc Augé, Michel Maffesoli, Rita Levi Montalcini, David Le Breton, Piercamillo Davigo, Edoardo Boncinelli, Giuseppe De Rita, Romano Prodi, Marco Minniti, Tommaso Padoa-Schioppa, Eugenio Scalfari, Ignacio Taibo II, Emma Bonino, Walter Veltroni.

La rivista è attualmente diretta da Mariantonietta Colimberti.

La diffusione della rivista avviene attraverso canali diversi:

  1. Abbonati e soci AREL
  2. Acquisto online sul sito AREL (www.arel.it)
  3. Nelle Librerie Feltrinelli delle principali città italiane. 
Europei e no. Brexit e le nazioni del Regno Unito ultima modifica: 2019-11-01T13:04:18+01:00 da SILVIA MARCHI
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