Il vero punto debole di Trump? La legittimità “politica” della sua elezione. Ottenuta a dispetto del voto popolare, nettamente a favore della sua rivale democratica, Hillary Clinton. Una vittoria conseguita grazie a un sistema elettorale scriteriato basato sui voti di collegio. È il suo tallone d’Achille, osserva sul Financial Times Lloyd Green, collegando questo peccato originale con un processo – l’impeachment – che ha come ragione d’essere e filo conduttore la messa in questione della legittimità “legale” della sua presidenza. Applicato a un personaggio che per una metà almeno degli americani occupa abusivamente la Casa bianca, l’avvio stesso del procedimento non può che suonare come la conferma dell’illegittimità politica a ricoprire il ruolo presidenziale. E, di converso, a far gridare al colpo di stato Trump e la base repubblicana.
Posto in questi termini, il voto di giovedì scorso della camera dei rappresentanti che approva a grande maggioranza l’inizio della procedura d’impeachment ripropone estremizzandola, a un anno dalle nuove presidenziali, la polarizzazione che segnò la vittoria di Trump nel 2016. E che i democratici vissero come uno scippo inaccettabile, subendo da quel momento in poi il nuovo presidente come un intruso da cacciare via. Anzi, da mandare in galera.
Difficile che il complesso iter dell’impeachment si concluderà con l’esito auspicato da buona parte degli elettori democratici, vedere Trump arrestato e letteralmente trascinato via dagli agenti dallo studio ovale. Quando le carte passeranno dalla camera al senato, verosimilmente a gennaio, Trump si troverà di fronte una maggioranza molto più ben disposta nei suoi confronti. I repubblicani sono 53, i democratici 47. Considerando che per la rimozione del presidente occorre una maggioranza di due terzi, significa che una ventina di senatori repubblicani dovrebbe votare a favore. Non solo non accadrà, ma, com’era prevedibile, la leadership repubblicana e gran parte di quel mondo fanno già quadrato intorno al presidente.


Inutile, dunque, la decisione presa da Nancy Pelosi? O addirittura controproducente? I parlamentari democratici hanno votato compattamente per l’avvio dell’impeachment: 231 su 234. Non era per niente scontato, ed era una delle ragioni della riluttanza della speaker Pelosi ad accogliere la richiesta sempre più pressante che veniva dalla sinistra del partito a procedere contro Trump. Pensava, la speaker, che un buon numero di deputati eletti in collegi di stati che nel 2016 avevano eletto Trump potesse votare contro o disertare la votazione, temendo la vendetta degli elettori trumpisti nei loro confronti al momento della loro ricandidatura nel 2020.
Il loro cambiamento d’umore è interessante, perché avviene dopo il crescendo della vicenda ucraina, un groviglio da cui Trump non riesce a divincolarsi e che vede sempre più coinvolta la sua cerchia ristretta, in particolare il suo avvocato Rudy Giuliani. E saranno Giuliani e compagnia protagonisti delle udienze parlamentari. Così, se finora lo spettacolo messo in scena da Trump è stato quello del presidente vittima di una caccia alle streghe, di un presidente che si difende contrattaccando, d’ora in poi saranno i suoi complici a tenere banco e tenere la linea di difesa. Non sarà la stessa cosa quando Giuliani, Pompeo, Bolton si troveranno sulla graticola dei deputati democratici e dovranno essere loro a difendere il presidente.
A quel punto sarà evidente che la presidenza Trump non è solo il personaggio larger than life che l’incarna e la rappresenta, ma anche la cricca che ha intorno. I rischi che emergano nuovi aspetti inquietanti nelle vicende legate a Mosca e a Kiev sono elevati, ed evidenti le possibili conseguenze, in primo luogo quella di spostare nuovi pezzi dell’opinione pubblica, attualmente divisa a metà, a favore dell’impeachment. In termini di voti, potrebbe significare porzioni significative di elettorato che potrebbero abbandonarlo.
Ma non va dimenticato che la partita, di qui a novembre 2020, ha due protagonisti: Trump e chi sarà il suo sfidante democratico. A eliminare Trump ci penserà il Congresso? Il calcolo aleggia su un partito che stenta a definire chi sarà il candidato o la candidata presidenziale. Ultimamente qualcosa di più solido si sta definendo con il graduale e incessante declino nei sondaggi del centrista Joe Biden e con il consolidamento al vertice di due candidati di sinistra, Elizabeth Warren e Bernie Sanders. Non è ancora facile capire se e quali sono i margini di una convergenza tra i due, mentre cresce la stella di Piet Buttigieg, su una piattaforma di ricambio generazionale e di diritti civili. Sono due idee molto diverse di posizionamento, che possono anche diventare complementari. L’importante è che prima che la vicenda dell’impeachment s’infiammi, i democrat diano il segnale che sono in campo uniti.

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