L’articolo che qui di seguito pubblichiamo appare sull’ultimo numero monografico (3/2019) della rivista Arel, dal titolo “Nemico”, nella sezione dedicata al trentennale della caduta del Muro, pezzi scritti da chi non c’era (ragazzi nati dopo la caduta o a ridosso, appartenenti a diverse nazionalità).
Continua così la nostra collaborazione con la rivista fondata da Beniamino Andreatta. Anche questa volta, come avvenne con il precedente numero “Straniero”, anticipiamo online alcuni articoli della rivista cartacea, ringraziando la direzione e la redazione per la gradita cortesia.
[BERLINO]
A essere sincera, non ricordo la data o l’occasione esatta in cui sono venuta a conoscenza per la prima volta del Muro di Berlino. Essendo nata solo tre anni dopo la sua caduta, e crescendo a Berlino, è sempre stato parte delle lezioni di storia o dei racconti sporadici dei miei genitori. Oggi, come allora, l’idea della mia città natale divisa – in realtà di qualsiasi città o luogo –, mi sembra innaturale e astratta. Mi ritengo fortunata perché quello che per molti è stato un fantasma che ha infestato per decenni la loro quotidianità, per me è solo qualcosa di distante e sfocato. Solo quando attraverso la linea dritta sull’asfalto, messa lì a indicare il cammino che il Muro seguiva quasi trent’anni fa – esattamente nel centro di Berlino –, me ne ricordo, nel mezzo della cosiddetta striscia della morte, solo un attimo di storia fa.
Scegliere tra due fazioni, essere cari amici o nemici feroci, è un concetto di distinzione che probabilmente risale all’inizio della storia dell’umanità, ma le ragioni che stanno dietro questa mentalità possono essere varie. Durante la Guerra Fredda emerse la rivalità geopolitica tra il blocco occidentale e quello sovietico soprattutto a causa della lotta ideologica auto imposta riguardo l’economia prediletta e le direttive politiche. L’economia pianificata a livello centrale dell’Est, in un regime che si autoproclamava di stampo marxista-leninista, non poteva giungere a un compromesso con le idee occidentali di democrazia liberale e di un sistema capitalista di mercato. Alla fine la lotta mortale e disperata per decidere quale delle due parti avrebbe superato l’altra non poteva concludersi senza dichiarare un vincitore. Il destino volle che la Germania fosse l’unico paese spaccato in due dalla cortina di ferro: la Repubblica Federale di Germania contro la coeva ex Repubblica Democratica Tedesca (RDT). Ne conseguì che sia la parte dei vincitori sia quella degli sconfitti furono interpretate da persone che oggi vivono all’interno degli stessi confini nazionali.

Di certo non ci sono molti paesi che hanno beneficiato dal progetto europeo tanto quanto la Germania (Ovest). Dato che la sua eredità storica esige che nessun paese venga mai più considerato nemico, il concetto originale europeo, che si basa sull’idea di costruire la pace promuovendo il libero scambio, sembra abbia dato ottimi frutti. Partendo dalle rovine e dai frantumi dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Germania (Ovest) ha conosciuto una crescita incomparabile in termini di prosperità e potenza economica orientata verso una moderna economia di servizi e dell’industria d’esportazione. Oltre al fatto che rappresenta la nazione con più abitanti dell’Unione Europea (UE), oggi si può considerare la Germania come uno dei pochi Stati, se non come lo Stato, che ha il maggior peso nella politica dell’UE, in generale in una stretta coalizione con la Commissione Europea e il suo ex nemico numero uno, la Francia. Inoltre, in fatto di politica estera, la Germania tende a cercare la posizione meno compromettente nei processi di negoziazione enfatizzando i valori condivisi piuttosto che dando voce al dissenso.
Nel frattempo i politici dei partiti nazionali tedeschi sono in procinto di sviluppare un antagonismo che è fortemente intrecciato con la scioccante storia del successo ottenuto dal partito populista di destra Alternative für Deutschland (AfD). Quella che nel 2013 era partita come una mera critica alla politica finanziaria dell’UE presto si è trasformata nella voce della politica di destra più forte dalla caduta del Terzo Reich: oggi, circa il quaranta per cento dei membri dell’AfD sostiene la fazione di destra (Der Flügel) dominante nel partito, la cui ideologia apertamente nazista chiede una società etnicamente omogenea sulla base dell’idea di una superiorità genetica e di una glorificazione del passato ridicola e irrazionale. Allo stesso tempo, canalizza in maniera efficace il forte e diffuso sentimento di frustrazione, rabbia e delusione con i meriti del sistema democratico tedesco, soprattutto tra i cittadini della Germania dell’Est. Sia nelle ultime elezioni per il Parlamento Europeo, sia negli ex Stati della RDT Brandeburgo e Sassonia, ben più di un quarto degli elettori ha sostenuto l’AfD. Nonostante serva solo alla semplice strategia propagandistica della politica, promuovere grottesche esagerazioni e alimentare paure ingiustificate non potrebbe funzionare meglio di così: si portano come capro espiatorio a volte “la classe dirigente”, altre i partiti democratici o i migranti, le pressanti sfide politiche del nostro tempo, presumibilmente spogliate della loro complessità, e si forniscono risposte semplici, senza andare al fondo degli stessi problemi. Invece, seducenti etichette polemiche come Lügenpresse, Volksverräter e Gender-Diktatur riempiono le ripetute contestazioni dell’AfD contro, ad esempio, il sistema di telecomunicazioni pubblico tedesco, gli avversari politici e i membri delle minoranze. Con facilità l’insieme di emozioni negative già esistenti, soprattutto tra alcuni abitanti degli ex Stati RDT, viene abusato, creando un’immagine del nemico sia nella terminologia che nei contenuti. Stando alla visione dell’AfD, la Germania si può considerare uno Stato fallito.
Significa quindi che la distinzione, nata dalla Guerra Fredda, tra Germania Est e Ovest non è mai stata eliminata? E che il Muro, in un modo o nell’altro, continua a esistere e non è mai stato completamente abbattuto? O che alcuni dei cittadini dell’Est della Germania non sono in grado di apprezzare i benefici della democrazia moderna perché cresciuti e socializzati in un regime totalitario?

No, no del tutto. Piuttosto che essere un’eredità diretta dai tempi della Guerra Fredda, sembra che il sostegno convinto degli elettori all’AfD derivi perlopiù dalle differenze socioeconomiche restanti tra gli Stati della Germania dell’Est e dell’Ovest, oltre a essere conseguenza del comportamento generale della Germania dell’Ovest dopo la caduta del Muro di Berlino. Si erano nutrite grandi speranze di un’integrazione piena in uno Stato liberale moderno e di benefici distribuiti in modo egualitario, ma i cittadini dell’ex RDT si trovarono a fare i conti, ad esempio, con una politica di privatizzazione radicale delle imprese nazionalizzate della ex Germania dell’Est (Volkseigene Betriebe) a seguito della quale solo il cinque per cento di queste vennero vendute a investitori dell’Est del paese.
Fino ad oggi solo il quindici per cento delle compagnie nell’Est della Germania appartiene a cittadini di quelle zone. Inoltre, si possono constatare numeri estremamente impari tra gli Stati dell’Ovest e quelli dell’Est della Germania riguardo alle posizioni di rilievo nell’amministrazione e nell’economia, oltre che nei settori della cultura e dell’istruzione superiore. Nonostante siano stati fatti degli sforzi per portare avanti il graduale allineamento politico ed economico in seguito al processo di riunificazione della Germania, l’Est del paese è ancora afflitto, ad esempio, da salari significativamente più bassi e da un maggiore tasso di disoccupazione. Inoltre, a causa dei forti cambiamenti demografici degli anni Novanta, che contemplano un calo del tasso di natalità fino al cinquanta per cento e una fuga massiccia di persone verso Ovest, queste differenze tendono a persistere più a lungo di quanto non fosse stato inizialmente previsto.
Lasciando da parte i fatti, la percezione diffusa di aver giocato la parte degli sconfitti all’indomani del processo di riunificazione del paese, com’è naturale, ha lasciato una profonda cicatrice emotiva nella maggior parte dei cittadini dell’Est. Oggi, meno della metà dei giovani che abitano a Brandeburgo, a Meclemburgo-Pomerania Anteriore, nella Sassonia, nella Sassonia-Anhalt e nella Turingia afferma che la riunificazione della Germania ha portato dei benefici ai loro genitori. Dal 1989 lo stile dell’elaborazione delle politiche da parte della Germania dell’Ovest si è dimostrato tinto di ignoranza, arrogante generosità e paternalismo costante nei confronti dei concittadini dell’ex RDT. Così la sensazione di essere stati lasciati indietro, e di esser stati truffati dalle promesse di riunificazione, sboccia in una profonda sfiducia nei confronti delle istituzioni democratiche e del delicato concetto di processo decisionale democratico. Ma invece di organizzare una manifestazione di protesta e forte scontento, in Sassonia fino al settanta per cento degli elettori di AfD, per esempio, ha effettivamente sostenuto l’agenda politica del partito: delegittimando “l’altro”, etichettando i rappresentanti del sistema democratico tedesco come nemici naturali, piuttosto che trattandoli come avversari politici sulla base di un rispetto reciproco.
Di rimando ci si chiede come gestire questo tipo di frizione politica. Com’è successo nella città di Görlitz nell’Est della Germania, i partiti democratici, ad esempio, hanno deciso unanimemente di presentare un unico candidato per evitare che fosse eletto sindaco un membro dell’AfD. Di certo, dissociarsi in maniera netta dall’agenda antidemocratica, razzista, xenofoba e discriminatoria dell’AfD implica una presa di distanze anche dai membri del suo partito, ma non deve, d’altra parte, abbandonare gli elettori in generale. Piuttosto, la direzione politica della Germania dovrebbe riconoscere le sue responsabilità per la massiccia perdita di fiducia degli Stati della Germania dell’Est e, in seguito, affrontare la sfida della controazione – lavorando finalmente tutti insieme. Perché più di tutto, che si tratti di costruire muri o di tracciare dei confini, qualsiasi distinzione fatta limita le potenzialità del dialogo, la possibilità dell’onestà, il confronto obiettivo e la curiosità reciproca su prospettive differenti. Stando da una parte del muro, ovviamente, non si può essere anche dall’altra. Buca quel muro e ne possiamo parlare.
Nelle immagini proiezioni video 3D ripropongono a Berlino gli eventi del 1989/90 30 Jahre Friedliche Revolution – Mauerfall@mauerfall30

LA RIVISTA AREL
Fondata da Nino Andreatta nei primi anni Ottanta, dal 2007 la rivista dell’AREL si è rinnovata, diventando monografica: una parola diviene il veicolo di riflessioni aperte e interdisciplinari.
Nel corso degli ultimi dodici anni ha trattato di molti temi di attualità, con l’ambizione di andare oltre l’oggi e l’immediato futuro: immigrazione, città, potere, verità, dubbio, muri, popolo, ragione, ricchezza, violenza, ragione, tempo, caos, crisi, normalità, libertà, tregua (sul sito l’elenco completo con relativi indici e alcuni testi).
Hanno scritto per la rivista o hanno rilasciato interviste autorevoli esponenti di mondi diversi; tra loro: Giorgio Napolitano, Michel Barnier, Paolo Gentiloni, Enrico Letta, Carlo Azeglio Ciampi, Zygmunt Bauman, Leopoldo Elia, Miguel Ángel Moratinos, Michel Barnier, Marc Augé, Michel Maffesoli, Rita Levi Montalcini, David Le Breton, Piercamillo Davigo, Edoardo Boncinelli, Giuseppe De Rita, Romano Prodi, Marco Minniti, Tommaso Padoa-Schioppa, Eugenio Scalfari, Ignacio Taibo II, Emma Bonino, Walter Veltroni.
La rivista è attualmente diretta da Mariantonietta Colimberti.
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