Ebrei e arabi. Nell’ospedale dove la pace è possibile

A Haifa, al Rambam Academic Hospital è considerevole la presenza di medici e infermieri, oltre che di pazienti, palestinesi, totalmente inseriti nel contesto. È un buon esempio di coesistenza e di collaborazione, anche per la politica.
DAN RABÀ
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[TEL AVIV]

Haifa, capoluogo del distretto omonimo, è un importante porto e centro industriale. La si può definire la capitale del Nord d’Israele. Spesso è citata, insieme ad Acco, come una città mista, dove vivono molti arabi insieme alla popolazione ebraica. Un esempio di possibile convivenza pacifica. Come la si vorrebbe in un futuro con tutti i palestinesi.

Gli arabi* sono il trenta/quaranta per cento della popolazione di Haifa. Ci sono quartieri a maggioranza araba e ci sono molti quartieri decisamente misti. La vita in comune si svolge soprattutto nel lavoro e nel commercio. Gli arabi costituiscono la maggioranza di quello che una volta si chiamava proletariato.

Haifa ha un grande e rinomato ospedale, il Rambam Academic Hospital, chiamato così in onore del rabbino spagnolo Moshe ben Maimon, filosofo, studioso e dottore del Medio Evo.

Degli oltre cinquemila dipendenti, il quaranta per cento è arabo. Molti medici sono arabi, molti infermieri e molto del personale di supporto.

I medici sono in maggioranza ebrei, ma rilevante è anche la presenza di dottori arabi, anche se più comune per loro è il ruolo di infermieri. Massiccia la presenza araba nel personale non qualificato. Le donne delle pulizie sono per il cinquanta per cento arabe e per il cinquanta per cento russe (i russi in Israele sono oltre un milione su una popolazione di otto milioni di abitanti, gli arabi sono il venti per cento).

Nel personale infermieristico, gli infermieri sono soprattutto arabi, le infermiere ebree, i primi meglio pagati e con ruoli più importanti. In genere i caposala sono infermieri maschi.

Nel personale medico del Rambam conta soprattutto il merito, senza alcuna discriminazione. Degli oltre mille medici, diversi direttori di reparto sono arabi. D’altra parte i palestinesi-israeliani “integrati” parlano molto bene l’ebraico, diversi in modo forbito e ricercato (non nelle località più piccole, comunità dove si parla prevalentemente arabo e la conoscenza dell’ebraico è scarsa, e sempre con un evidente accento).

Tra colleghi c’è assoluta fiducia tra arabi ed ebrei. Conta l’etica professionale. Ogni malato va curato in maniera ineccepibile qualsiasi sia la sua condizione e appartenenza sociale o etnica, come impone il giuramento d’Ippocrate.

Lo scorso giugno, l’ospedale Rambam augura a tutti gli amici e colleghi musulmani un benedetto Eid

Non mancano certo le situazioni in cui la responsabilità professionale è messa alla prova. Dopo uno scontro tra palestinesi e forze dell’ordine o militari, i feriti si ritrovano nello stesso reparto, curati dallo stesso staff. Avviene che il palestinese ferito e catturato sia curato fianco a fianco alle sue vittime. Il medico ebreo cura il palestinese, anche un terrorista, come un paziente comune e parallelamente il personale arabo s’adopera con empatia per le vittime ebree dell’attentato. Senza contare che in una città mista quando c’è un attentato le vittime possono anche essere sfortunati arabi che si trovavano a passare di lì. 

Nella società israeliana è forte ed evidente la presenza di soldati in uniforme che girano armati, un po’ ovunque. Per ovvi motivi molti dei pazienti di un ospedale sono soldati reduci da qualche azione in cui si sono subite perdite e ci sono dei feriti. I più ricevono le prime cure al pronto soccorso. Il direttore di questo reparto è un dottore arabo che presta soccorso a soldati ebrei feriti con grande dedizione. È tra i medici più in vista dell’ospedale. Avendo sempre presente che tutto il personale, nella sua composizione mista, lavora insieme con grande spirito di gruppo. La continua tensione adrenalinica dell’emergenza contribuisce indubbiamente a un buon lavoro di squadra.

Questo quadro complessivamente positivo va visto in una situazione, quella della sanità, che anche in Israele, come in tutto il mondo, vive un periodo di crisi. Scarsità di fondi e di personale. La popolazione invecchia, le malattie si fanno più complesse e se ne diffondono di nuove. Contemporaneamente oggi si tengono in vita persone che solo dieci anni fa sarebbero morte. Col risultato di un notevole affollamento in corsia, mancano letti e i malati aspettano mesi i turni delle visite mediche.

Resta il fatto che la qualità del servizio è alta, probabilmente tra le migliori del mondo, anche se non mancano le rivendicazioni sindacali dei sanitari nei confronti del governo, in particolare nei confronti del ministro del tesoro.

Il Rambam è un ospedale universitario. Nelle corsie e nel campus, ci sono studenti e specializzandi, tanti dei quali arabi. La loro più alta affluenza, in questa come in altre università, è anche legata al miglioramento complessivo delle condizioni socio-economiche degli arabi israeliani. Se prima tendevano ad andare a studiare nei paesi arabi (in particolare in Giordania) ora preferiscono studiare in Israele. L’università è collegata direttamente al mondo del lavoro ed è più facile inserirsi nel mondo del lavoro in Israele se si studia nel paese. 

Molti giovani palestinesi-israeliani preferiscono andare a vivere in città, lasciandosi alle spalle il paese nella periferia araba e via via emancipandosi da una certa cultura tradizionale con un progressivo inserimento nel tessuto socio-economico urbano. È mia convinzione che tra le nuove generazioni arabe si ricerchi anche a livello ideologico l’emancipazione e la realizzazione personale nella società israeliana urbana, il che alla lunga non può che favorire la convivenza pacifica tra i due popoli. In questo senso “la pace” oggi è un processo più spontaneo sul territorio che un processo politico. La politica, il governo, non riesce a tradurre ed esprimere quanto avviene nei fatti nella società.

In ultimo, la bizzarria di un ministero della sanità che è retto, ufficialmente, dal primo ministro Benjamin Netanyahu per una strana combinazione “ideologica”. Il ministro di fatto è un rabbino, Ya’akov Litzman, religioso askenazita il cui partito per una stravagante motivazione politica non vuole che assuma il ruolo di ministro. E quindi è definito vice-ministro. Da anni il ministero della sanità vive in questa anomala situazione. Netanyahu è primo ministro, ma anche ministro della difesa, ministro della sanità e di fatto ministro degli esteri, accentrando su di sé molto potere. Nella sua agenda, è centrale la convinzione che si arriverà inevitabilmente a un confronto militare diretto con l’Iran, con conseguente impegno di fondi per spese militari a scapito di altre voci di spesa. Per più ragioni – finché è al governo – Netanyahu è quindi la “controparte” del personale sanitario.

*Gli arabi preferiscono definirsi “palestinesi-israeliani”, per sottolineare che si sentono parte del popolo palestinese ma hanno anche la cittadinanza israeliana, e vogliono che i loro diritti siano rispettati. Per semplicità userò “arabi” che è comunque un termine corretto.

Ebrei e arabi. Nell’ospedale dove la pace è possibile ultima modifica: 2019-11-08T21:33:33+01:00 da DAN RABÀ
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