Venezia. La Bestia che inghiotte tutto

Alle 22.50 di martedì 12 novembre la marea tocca i 187 cm, sette in meno dell’Aqua Granda del '66, ma questa volta la violenza è anche maggiore. La città è indifesa e grida aiuto, all'Italia e al mondo. Perché serve una svolta, adesso, o perderemo la battaglia per la sua salvaguardia. E non ce lo possiamo permettere.
ENZO BON
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È tornata: la Bestia è riapparsa.
Certo, lo sapevamo da quel 4 novembre del ’66, noi veneziani, che prima o poi sarebbe potuto succedere ancora. Ma avevamo sperato, e messo questa ipotesi nei cassetti più reconditi delle nostre preoccupazioni. Avevamo avuto, in fondo in fondo, speranza nel Mose e nelle sue promesse, nel non ripetersi di quel mix letale di eventi astronomici, maree perfette, tempeste di vento e pioggia e piene di fiumi che avevano caratterizzato e provocato l’Aqua Granda di allora. Avevamo guardato avanti con fiducia, guardando le ombre del passato pur con scaramantica paura.

Ma non è bastato: le nostre speranze si sono infrante alle 22.50 di ieri, quando la marea ha toccato i 187 cm sul livello del medio mare; quella volta, nel ’66, l’onda arrivò a 194 cm. Sette centimetri in meno: una misura simile allo stelo di una margherita su un verde prato di collina. Una differenza teorica, buona solo per le tabelle statistiche degli annali meteo, ma assolutamente inutile per quanti, ieri sera, hanno combattuto la Bestia con le poche e spuntate armi a disposizione: pompe a immersione, paratoie mobili sulle porte, legni siliconati sulle finestre, secchi, ramazze e tanto lavoro. Inutile per quanti, soprattutto nelle isole, hanno iniziato il rito della posa dei mattoni sotto agli elettrodomestici per alzarli dal pavimento invaso dall’acqua.

Quanti mattoni gò da meter, giovane, stavolta, par salvar el frigo?

chiedeva una anziana signora ai bravi operatori del Centro Maree del Comune di Venezia qualche anno fa, quando seguivo per lavoro le acque alte eccezionali dalla sala operativa. Ieri, forse, i mattoni che la signora aveva a disposizione non sono bastati a salvarle il frigorifero dall’invasione dell’acqua. Che non è solo acqua che bagna e poi va via lasciando le strade bagnate, come se avesse piovuto, come qualcuno ha follemente scritto su un sito istituzionale. No: è acqua “grassa”, mista a fogna, putrida, puzzolente, che entra nelle case, lorda le strade, gronda dai muri, esce dai tombini e dagli scoli fognari, trasuda dalle crepe. E lascia, quando cala, un odore di rancido e una linea biancastra, di fogna, sui muri, in corrispondenza del massimo raggiunto, che ci mette giorni a sparire. Che porta i ratti a uscire dalla tane e a vagare disperati per i rari spazi asciutti, loro che sono creature abituate all’acqua, ma che con l’alta marea rischiano di annegare.

L’informazione stenta a capire la portata di quanto è successo. Perché spesso fanno più notizia un imbecille che durante l’alta marea nuota in Piazza San Marco o si tuffa dal ponte di Rialto, o i turisti che si divertono bevendo il caffè con gli stivaloni. Insomma, spesso l’acqua alta diventa fenomeno da baraccone, una sorta di giostra per i turisti che hanno la fortuna di incocciarla durante la loro permanenza.

Ma ieri no: ieri, per noi veneziani, è stata una tragedia, come può essere un grave terremoto, o un’eruzione vulcanica o una pandemia. Ieri la città è stata stuprata più e più volte da acqua e vento, con danni ingentissimi, che dovranno essere quantificati e per i quali, si auspica, il Governo dovrà provvedere con aiuti specifici.

E ieri, forse, la violenza è stata ancora maggiore dell’alluvione del ‘66, che era arrivata lenta: l’acqua, infatti, si era presa tutta la giornata, scardinando i principi astronomici e continuando a salire parossisticamente fino al massimo, raggiunto alle ore 21, di 194 cm. Ma ieri no: ieri l’acqua era un fiume in piena, che in pochi minuti l’ha fatta salire di oltre 40 centimetri. C’è un filmato su Facebook: si vede via Garibaldi, a Castello, allagata, e l’acqua che la percorre come un fiume in piena, mentre un uomo si rifugia in una calletta per non essere travolto. E altri filmati in cui si vedono mezzi dei servizi di navigazione pubblica scaraventati a terra dalla furia delle onde, e ammassi di gondole in Riva degli Schiavoni, e motoscafi tristemente ormeggiati non nei canali ma nelle calli, e colonnine delle fondamente rotte dai marosi. E uomini e donne, all’interno delle loro case e dei loro negozi, che combattono contro l’acqua con quello che hanno, non più imprecando, ma quasi rassegnati. Quasi a sapere che, ormai, quello è il prezzo da pagare se si vuole continuare a vivere a Venezia. Qualcuno inveisce contro il Mose, qualcun altro lo invoca a gran voce.

Il Mose: questo convitato di pietra di ogni alta marea. Si era anche sperato in quest’opera, non senza avere dubbi sul suo effettivo funzionamento. Ora, dicono, è quasi completato ma non ancora operativo. Ieri ha guardato la Bestia mentre si infilava dal mare tra le sue isole artificiali; ne avrà sicuramente reso più difficile l’ingresso, provocando la rabbia dell’acqua e quindi l’accelerazione della velocità. Non ha fatto altro, probabilmente. E ormai in molti si chiedono se mai funzionerà, se quella era davvero la scelta migliore per fermare le acque alte a Venezia.

Aveva provato, il sindaco Cacciari, a bandire un concorso internazionale di idee per verificare se vi fossero progetti che potessero essere alternativi al Mose. Ne arrivarono nove, e furono presentati a Ca’ Farsetti a dicembre del 2005. Il sindaco volle che tutto fosse pubblico, e che gli interventi e le discussioni di quella storica giornata fossero trasmessi via Internet, attraverso una diretta streaming sul sito del Comune di Venezia, per dare possibilità al mondo intero di comprendere. Ma purtroppo, il giorno prima il sito subì un grave attacco di hacker che vi penetrarono con tecniche raffinate e lo distrussero. Il convegno fu comunque trasmesso in streaming, ma con mezzi di fortuna. Le indagini svolte indicarono che l’attacco sarebbe provenuto da hacker dei paesi dell’Est. Cose che, purtroppo, possono capitare a un sito istituzionale. Da allora, per fortuna, che io sappia, non capitò più.

Resta comunque il fatto che ieri noi veneziani abbiamo capito ancora di più che, purtroppo, acque alte come queste possono succedere, forse anche con maggiore frequenza, visti i cambiamenti atmosferici in corso e l’innalzamento del livello del mare previsto per i prossimi anni. Ma abbiamo anche capito che le armi a nostra disposizione sono davvero spuntate. Che quello che ieri sera hanno fatto e faranno oggi migliaia di uomini e di donne, cioè pulire, sistemare, rendere ancor presentabile la città, non basta a risolvere il problema delle acque alte.

È il Mose che rappresenta l’ultima speranza? Sono altri interventi? È forse il caso di fare davvero un concorso internazionale di idee per capire come salvare Venezia dall’inabissamento che sembra ormai dietro l’angolo, viste le tragiche previsioni di innalzamento marino dovuto al riscaldamento globale? A queste domande, noi veneziani possiamo solo auspicare una risposta, non solo dalla Regione e dal Governo, ma dal mondo intero. Se Venezia è unica, patrimonio dell’umanità, allora la risposta può essere unicamente globale.

Oggi siamo sicuramente a un punto di svolta: abbiamo capito, semmai vi fossero stati dubbi, che la Bestia è capace di tornare ancora, più terribile di prima, più rapida, più frequentemente, più potenzialmente distruttiva.

Siamo indifesi, al momento, o meglio abbiamo le difese che hanno sapientemente costruito i nostri avi e poco più. Ma non basta: lo urliamo al mondo che non basta. E vogliamo essere ascoltati, perché noi, e il mondo, abbiamo diritto di vedere esistere Venezia. Perché non vogliamo che quello stelo di una margherita di prato, che segna oggi la differenza tra l’Acqua Granda del ’66 e la Bestia di ieri, diventi, in un futuro, un albero ad alto fusto.

Le immagini sono tratte dall’account Twitter del Comune di Venezia

Venezia, il giorno dopo
L’aqua granda che sconvolse Venezia (1966)

Venezia. La Bestia che inghiotte tutto ultima modifica: 2019-11-13T17:10:52+01:00 da ENZO BON
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