Un primo ministro che sobilla la piazza contro parlamentari liberamente eletti, additandoli come fiancheggiatori dei terroristi palestinesi, è una minaccia per la democrazia. Se vuole guardare al futuro, Israele deve archiviare quell’“avvelenatore di pozzi” di nome Benjamin Netanyahu.
A sostenerlo, in uno dei passaggi più critici nella vita politica d’Israele, è Yael Dayan, scrittrice, più volte parlamentare e vice sindaca di Tel Aviv, paladina dei diritti delle donne, figlia di uno dei miti d’Israele: l’eroe della Guerra dei Sei giorni, il generale Moshe Dayan.
Benny Gantz non è certo il mio ideale di primo ministro – dice Yael Dayan in questa intervista esclusiva concessa a ytali – ma i sogni, soprattutto in politica, devono fare i conti con la realtà, ed oggi non vedo su piazza alternative migliori.
Meno 3. Tre giorni, il tempo che rimane al premier incaricato, il leader di Kahol Lavan (Blu e Bianco) Benny Gantz, per provare a dar vita ad un nuovo governo. Stasera, 17 novembre, Netanyahu ha convocato una manifestazione per dire no a quello che il premier in carica e leader del Likud ha bollato come un “Governo alle dipendenze dei sostenitori dei terroristi della Jihad islamica e di Hamas”: i tredici parlamentari della Joint List, la Lista che raggruppa i partiti arabi israeliani. Un Governo del genere, ha tuonato Netanyahu, rappresenterebbe una minaccia mortale per la sicurezza d’Israele.
La vera minaccia è lui! È un primo ministro che fomenta odio e divisione, che con le sue parole intrise di odio arma ideologicamente e politicamente la mano alla destra più estrema. Netanyahu si comporta come un politico disperato, pronto a tutto pur di restare al centro della scena. Un comportamento indegno del leader di un partito, il Likud, che io ho sempre avversato ma a cui riconosco di essere stato, assieme al Partito laburista, per decenni un perno fondamentale del nostro sistema democratico. Begin e Sharon si rivolterebbero nella romba se potessero ascoltare le performance di Netanyahu.
In queste ore si infittiscono le trattative per la formazione del nuovo governo. Esponenti di Blu e Bianco hanno fatto sapere che il confronto con Yisrael Beiteinu (destra nazionalista, otto seggi) di Avigdor Lieberman hanno fatto “significativi progressi”.
La politica impone l’esercizio del compromesso e che a volte si è costretti a bussare alla porta di uno come Lieberman, un personaggio con cui non prenderei un caffè, alto che governare insieme… Che vuole che le dica: siamo al “male minore’”. Il triste paradosso del presente è che anche un falco come Lieberman acquista un profilo “moderato” a fronte di un piromane come Netanyahu. Continuo a sperare che Gantz possa fare a meno del sostegno di Lieberman, ma so che è molto difficile. Deve provarci, però, fino all’ultimo.

In tutto questo, la sinistra è numericamente importante, con i suoi undici seggi complessivi tra Labor e Campo Democratico di Ehud Barak, ma politicamente è ridotta a un ruolo secondario.
Il senso di responsabilità impone di sbarrare la strada ad un governo delle destre, con o senza Netanyahu. Ma la sinistra, in tutte le sue declinazioni organizzate, è uscita con le ossa rotte dalle consultazioni elettorali succedutesi negli ultimi quindici anni, fino a toccare il fondo in quelle di aprile e settembre scorsi. Non è solo mancanza di leadership credibili, autorevoli. È che la sinistra ha smesso da tempo di essere empatica, incapace di entrare in sintonia con quella parte d’Israele più povera e, insieme più dinamica. Le politiche della destra hanno provocato gravissime faglie sociali, impoverendo una parte significativa del paese e, al tempo stesso, non investendo sull’Israele delle start up, sulla ricerca, l’innovazione. È un problema di radicamento ma credo soprattutto di visione, di capacità di immaginare un Israele altro da quello plasmato dalle destre. Una visione che avevano i padri fondatori d’Israele, che ha innervato il pionierismo sionista. Non è nostalgia del passato, anche se per età potrei indulgere a questo sentimento. Per fortuna anche alla veneranda età di ottant’anni continuo ad avere rapporti con tante ragazze e ragazzi splendidi, impegnati nel sociale, che non hanno rappresentanza politica. Non sono pochi, sa. Ma per portarli dalla propria parte, la sinistra dovrà lavorare sodo e con tempi non brevi.
In questi giorni, Israele è tornato a sotto i razzi sparati da Gaza. Pace è una parola impronunciabile in questo angolo del mondo?
Non esiste, non può esistere una pace vera, durevole, che possa conciliarsi con la massiccia colonizzazione dei Territori palestinesi occupati. Non è conciliabile per il semplice, inconfutabile, dato di realtà che la politica di annessione di fatto di terre palestinesi, la trasformazione, anche sul piano dello status, di colonie in città israeliane, minano dalle fondamenta un accordo fondato sul principio di “due popoli, due Stati”.

Ma gli insediamenti, le direbbe un esponente del Likud sono cresciuti, e tanto, anche quando a guidare Israele erano primi ministri laburisti.
Su questo la sinistra dovrebbe riflettere e fare una salutare autocritica. Ma c’è una differenza sostanziale: nell’orizzonte della destra nazionalista, gli insediamenti hanno una legittimazione ideologica e non rispondono a ragioni di sicurezza. Per la destra più estrema, che oggi ha un ruolo decisivo all’interno del governo, i coloni, anche nelle componenti più radicali, sono degli eroi, i pionieri di Eretz Israel. In questa ottica, gli insediamenti in Giudea e Samaria (i nomi biblici della Cisgiordania, ndr) sono la concretizzazione del disegno della Grande Israele che è stato a fondamento del revisionismo sionista di Zeev Jabotinsky, da sempre il pensatore di riferimento della destra israeliana. Dove dovrebbe nascere lo stato dei palestinesi? Su quali territori, entro quali confini? E ancora: certo, può esistere uno stato smilitarizzato ma non uno stato che non eserciti la propria sovranità sul territorio nazionale. Uno stato del genere sarebbe una finzione. I Netanyahu, i Bennett considerano la nascita di uno stato di Palestina non come una minaccia alla sicurezza d’Israele ma come un colpo mortale alla Grande Israele. Non è con la forza che Israele diventerà un paese normale.

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