Impiccare i leader della rivolta. Un ordine che viene direttamente dalla Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei. La “rivolta della benzina” scuote l’Iran e punta al cuore del regime teocratico-militare. Sono almeno 106 le persone uccise in 21 città dell’Iran negli scontri degli ultimi giorni, ha denunciato Amnesty International da Londra, aggiungendo che “il bilancio definitivo delle vittime potrebbe essere molto più alto, con alcune notizie che portano il numero degli uccisi fino a duecento”.
L’organizzazione per i diritti umani basa le proprie stime su “filmati verificati, testimonianze raccolte sul terreno e informazioni” dagli attivisti residenti al di fuori dell’Iran. In uno dei filmati, spiega Amnesty, è possibile vedere “cecchini che sparano sulla folla dai tetti di edifici e, in un caso, da un elicottero”. La gran parte delle manifestazioni era pacifica e solo “un piccolo numero di persone lanciava pietre e dava alle fiamme banche e scuole. Unità delle forze di sicurezza iraniane, aggiunge l’organizzazione, hanno trascinato via corpi privi di vita e feriti da strade e ospedali, senza fornire alcuna notizia ai parenti delle vittime”.
In giornata Radio Farda, vicina all’opposizione, aveva riferito della morte di almeno novanta persone basandosi su dati forniti da organizzazioni in difesa dei diritti umani e da notizie riportate sui media. Da Londra l’attivista Karim Dehimi ha detto all’emittente che almeno venti persone sono state uccise nella città di Mahshahr. Citando attivisti locali, la stessa emittente parla di un ingente numero di vittime nella provincia occidentale del Kurdistan e in quella sudoccidentale del Khuzestan.
Diversi attivisti affermano che le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sui dimostranti e, citando fonti anonime del ministero degli Interni, parlano addirittura di duecento morti e tremila feriti.
Siamo particolarmente allarmati che l’uso di proiettili veri abbia, presumibilmente, causato un numero significativo di morti in tutto il paese,
ha dichiarato dal canto suo il portavoce dell’Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite Rupert Colville. Il portavoce ha spiegato che, sebbene il bilancio delle vittime sia difficile da verificare, in parte per via del blocco di Internet in vigore da sabato, i media iraniani e “diverse altre fonti” parlano di “decine di persone che potrebbero essere state uccise” durante le proteste. Tra loro, tre pasdaran, uno dei quali apparteneva al corpo paramilitare Bassidj, che ha preso il controllo della sicurezza sul terreno. Il quadro sembra più calmo dei giorni scorsi, e non filtrano notizie di scontri significativi, ma sono pronte le punizioni. Il quotidiano conservatore Kayhan, vicino alla Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha minacciato di “impiccagione” i leader dei manifestanti, scesi in piazza nel paese contro il caro benzina, definiti “criminali ingaggiati” dall’esterno.
Il quotidiano, che riferisce di arresti e confessioni, ha scritto che le autorità giudiziarie emetteranno un verdetto con pena capitale per i leader delle proteste, macchiatisi – secondo il giornale – di “ribellione”, punibile sia a livello legale che religioso con la morte. Quanto a Internet, il blocco verrà revocato solo quando ne finiranno gli “abusi”.
Molti professioni e banche stanno affrontando dei problemi, e stiamo cercando di risolverli, ha affermato il portavoce del governo Ali Rabiei, precisando che Internet tornerà gradualmente in alcune province.
Netblocks, sito che monitora la situazione di Internet nel mondo, ha riferito che oggi la rete in Iran è al quattro per cento rispetto ai normali livelli.
Le proteste erano iniziate il 15 novembre per gli aumenti del carburante (più cinquanta per cento fino a sessanta litri al mese, più trecento per cento sopra quella soglia) che si sono aggiunti al crollo della moneta iraniana, il rial, dopo l’imposizione delle sanzioni Usa. “No Gaza, no Libano, sacrifico la mia vita per l’Iran”: è ciò che i manifestanti iraniani cantano mentre danno fuoco alle effigi di Khamenei.

La tensione è altissima. In un paese sviluppato ma molto esteso, dove i mezzi pubblici sono insufficienti, e comunque raggiungono poche località, la decisione peggiore che il governo poteva assumere in questi tempi difficili era deliberare un drastico aumento dei prezzi del carburante. Non solo. Accompagnare i rincari con una razionalizzazione. Quasi una beffa per chi ha sempre vissuto con il carburante che costava molto meno di una bottiglietta d’acqua. La benzina costerà quindicimila rial al litro, 11,5 centesimi di euro. Ma chi vorrà consumarne più di sessanta litri al mese, allora dovrà pagare i litri extra ben 23 centesimi al litro. Il governo ha dalla sua i numeri: in questo periodo di vacche magre, soffocati dalle sanzioni, con i budget costantemente in deficit, i sussidi all’energia, in particolare al carburante, sono una zavorra insostenibile sui conti pubblici. Ecco la decisione dell’aumento. Che ha il sapore di una prova generale per tempi ancora più bui.
Dopo un anno di difficoltà, gli iraniani hanno dunque perso la pazienza, e sono scesi in strada a protestare. In diverse città sono state dati alle fiamme cassonetti , pneumatici, in alcuni casi circoscritti sono state attaccate dalle banche.
Ma, attenzione. Quella della benzina è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Le sanzioni americane, le più severe di sempre, stanno strangolando l’economia. Da quando, lo scorso maggio, Washington ha annullato le moratorie per i paesi autorizzati a importare greggio dall’Iran, Teheran riesce a malapena ad esportare il venti per cento dei volumi che vendeva prima. Quando va bene.
Il rial, la valuta locale, è precipitato (solo nel 2018 ha ceduto il sessanta per cento sul dollaro) , l’inflazione galoppa ( più trentacinque per cento), la disoccupazione sta creando grandi malumori, soprattutto tra i giovani.
Quest’anno la recessione rischia di sfiorare il dieci per cento. Mai, neanche durante la lunga e sanguinosa guerra con l’Iraq di Saddam Hussein (1980-1989) l’Iran si era trovato in una situazione economica così grave, ha denunciato il Fondo monetario internazionale. E la sensazione è che il peggio debba ancora venire.
Lunedì 18 il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha annunciato che dal 15 dicembre saranno cancellate le esenzioni che finora hanno consentito alle società straniere di lavorare con il sito nucleare iraniano di Fordow senza sanzioni Usa. Di fronte a “rivolte”, lo Stato “non deve permettere l’insicurezza”, ha affermato nei giorni il presidente Hassan Rouhani, in un discorso in diretta televisiva.
Era stato il ministro dell’Interno, Abdolreza Rahmani Fazli, ad avvertire che le forze di sicurezza ristabiliranno l’ordine se coloro che protestano contro l’aumento dei prezzi della benzina “danneggiano le proprietà pubbliche”. “Finora le forze di sicurezza hanno mostrato moderazione e tollerato le proteste”, aveva detto parlando dalla tv di Stato.
Ma – aveva aggiunto – poiché la calma e la sicurezza delle persone sono la nostra priorità, adempiranno al loro dovere di ristabilire la calma se continueranno gli attacchi alle proprietà pubbliche e private.
Le autorità iraniane hanno chiuso l’accesso al mondo esterno da sabato quando sono rimasti online soltanto i media statali e unicamente i funzionari governativi possono raccontare cosa sta accadendo in un paese di ottanta milioni di abitanti. La tv di Stato martedì ha mostrato immagini di corani bruciati fuori da una moschea nei sobborghi di Teheran insieme a immagini di manifestazioni a favore del governo con il fine di demonizzare e minimizzare le proteste massicce in corso.
L’appello è arrivato sotto forma di messaggio privato sul profilo Instagram del Sole 24 Ore, schiacciato tra una notifica di una condivisione di una storia e la segnalazione dell’ennesimo profilo che cerca follower.
Hanno staccato Internet di un intero paese e noi studenti iraniani ed espatriati (dieci milioni di persone) stiamo morendo dall’ansia, non potendo contattare le nostre famiglie.
M.M. ha poco più di trent’anni e dalla foto del profilo si scorgono i suoi profondi occhi scuri. Sorride, in quella foto. Non oggi. Oggi è solo preoccupata e anche un po’ arrabbiata:
I giornali italiani sono gli unici che non hanno detto niente! Perché il silenzio? In Iran ci sono proteste in cento città e il governo ha aperto il fuoco sui manifestanti.

Evidentemente, la rivolta iraniana, come quella irachena, come quella libanese, non “fanno notizia” per una informazione (?) appassionata alle beghe di palazzo e infetta dal virus del provincialismo. Ma la rivolta iraniana prosegue, mentre scriviamo. Una folla di manifestanti ha dato fuoco alla sede della Banca centrale a Behbahan, nella provincia del Khuzestan.
La protesta contro l’aumento del prezzo del carburante sembra non aver risparmiato Teheran, che oggi si è risvegliata sotto una coltre di neve nella sua parte settentrionale. La città è da giorni in preda agli ingorghi, visibili anche su Google Map digitando i dati relativi al traffico, ma molti di questi sarebbero stati causati più da un modo inedito di manifestare contro il governo che dalla neve, che ha spinto le autorità a chiudere le scuole e, di conseguenza, a diminuire il traffico in città.
Secondo quanto riferiscono alcuni tweet di attenti osservatori, tra cui iraniani che studiano all’estero, nella capitale della Repubblica Islamica coloro che sono alla guida di auto comunicano le modalità di protesta attraverso la app Waze, indicando dove spegnere l’auto e causare l’ingorgo.

Si profila intanto un braccio di ferro sul tema anche dentro le istituzioni iraniane, dopo che un gruppo di parlamentari si è detto determinato a presentare un intervento d’urgenza che revochi la decisione all’origine del malcontento. Questo dopo che i vertici delle tre istituzioni statali iraniane – giudiziaria, legislativa ed esecutiva – che avevano deciso appunto l’aumento del prezzo della benzina e il suo razionamento, hanno annunciato in una comunicazione congiunta la piena collaborazione confermando il sostegno al provvedimento. Il gruppo di parlamentari si oppone alla decisione affermando che sarebbe toccato al parlamento ratificare un aumento del prezzo della benzina, da cui l’impegno a studiare un piano d’urgenza nella sessione di domani e di votare per una revoca della decisione.
“Il parlamento non è più il pilastro della democrazia”, ha sottolineato la deputata riformista Parvaneh Salahshuri su Twitter, “avrebbero potuto anche chiuderlo”.
Amici e nemici devono sapere che abbiamo respinto il nemico sul piano militare e politico. I fatti più recenti sono stati un lavoro della sicurezza, non opera del popolo – proclama l’ayatollah Khamenei –. Abbiamo respinto il nemico.
Ma le proteste continuano. E a fermarle non sono le minacce d’impiccagione per i capi, veri o presunti, della rivolta.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!