La storia purtroppo ci dice che non è mai esistita una musica o una poesia che siano riuscite a inceppare l’artiglieria o che abbiano sancito e tutelato dei diritti, tuttavia questi linguaggi e coloro che li usano nel modo più appropriato, contribuiscono a far riflettere le persone, ad arricchirle, talvolta persino a cambiarle. In tal senso il ruolo dell’artista e dell’arte in generale è fondamentale e necessario per riuscire, da una parte, a denunciare limiti e contraddizioni della società, dall’altra a rivendicarne altre possibili, alternative e migliori.
Per restare al ruolo dell’arte e degli artisti, è appena uscito il nuovo concept album 9 minuti 9 di Fiumanò Domenico Violi, in formato cd e doppio vinile, per Dogimi Edizioni/Egea Music, che sarà presentato in un tour dal nord al sud dell’Italia.

Assente dalle scene da tanto tempo, Violi oggi si riaffaccia con questo travagliato parto artistico, nato dopo una lunga gestazione. Il percorso sonoro che attraversa le quindici tracce è un viaggio consapevole dove ogni nota, ogni parola, ogni pausa di silenzio sono un inno alla vita, una lotta incessante contro tutte le sopraffazioni, un invito ad aprirsi ai sentieri impervi del perdono, uno sguardo dalla prospettiva degli ultimi, degli sconfitti, dei condannati rinchiusi nelle galere e nelle coscienze dell’umanità.
In diversi brani Violi torna alle origini della sua parola, al grembo materno della terra di Calabria, accarezzando le proprie radici per trasformarle in linguaggio universale, come in Nu Cantu Antico, che è faro d’ogni naufrago, occhi sul mondo che cantano il mare, l’approdo dell’umano, il suo viaggio senza ritorno, in una lingua di malinconia che diventa metafora attraverso cui si denuncia la morte come pena.
Nel brano che dà il titolo all’album, 9 minuti 9, si raccontano gli ultimi istanti di non-vita del condannato al patibolo, mentre in Non in mio nome si vuole evidenziare come l’uomo sia l’unica bestia che fa della morte uno spettacolo, chiamandolo giustizia.
Hanno prestato le loro voci per questi canti di vita e di rivendicazione, d’amore e di lotta, di memoria e di verità, anche Moni Ovadia e Alessandro Haber, che hanno accompagnato Violi nella manifestazione di inaugurazione dell’album, il 19 novembre scorso, dove si sono esibiti assieme davanti ai detenuti del carcere di Opera, a Milano.
A proposito di carcere, nella traccia L’ultimo valzer si narra l’ora d’aria di una detenuta, che diventa inesorabilmente un breve respiro nell’apnea ininterrotta della sua prigionia, mentre in Zuccaredda si parla dell’ora delle visite in prigione e l’amore di un padre per la figlia, un amore che sfiorisce nella vergogna e appassisce tra i muri.
Il percorso narrativo di Violi attraversa le tematiche più dure e tragiche, ma lo fa in punta di piedi e la grazia, la delicatezza delle sue storie si contrappone ai drammi che in esse si consumano: ne La finestra a vapore (in realtà la finestra di una cella di detenzione) si apre uno spiraglio da cui si guarda il mondo senza però poterlo vivere, un mondo che si può solo immaginare e il tempo di Ad ogni alba si trasforma nel calendario di un detenuto, col conto alla rovescia della sua vita immobile, deprivata di presente e futuro.
Altri temi toccati da questo percorso straordinario di parole e note sono quelli della guerra, dell’emigrazione, del brigantaggio, dove le prospettive di sguardo vengono ribaltate, smascherando quindi gli stereotipi usati strumentalmente per giustificare le violazioni dei diritti nel corso della storia.
Per capire meglio questo nuovo progetto, rivolgiamo al cantautore, musicista e polistrumentista Domenico Violi alcune domande.

Come mai questa lunga assenza dalle scene?
Sono stato in silenzio molti anni. Un silenzio pubblico, non certo dell’anima e della mente. Un silenzio che sentivo necessario, vitale, per potermi concentrare, con tempi e spazi opportuni, sulla scrittura.
Che definizione daresti a questo tuo ultimo lavoro?
È con una grande emozione, un’emozione quasi commossa, certamente orgogliosa, che sono qui a parlare del mio ultimo intenso parto creativo. Non lo chiamerò “disco”, non lo chiamerò “album”, non lo chiamerò “prodotto discografico”, perché (per me) è molto più di questo. È la mia voce forte e chiara a dire, a chi vorrà ascoltare, che la vita è sacra, che la vita è diritto primario e primordiale, e come tale va protetta e tutelata a qualsiasi costo, in qualunque circostanza.
Quindi la direzione che hai intrapreso, più che ambire al successo artistico, nutre aspettative che mirano a un impegno sociale e umano?
Sì, è l’impegno che ho scelto di prendermi per fare in modo che la mia musica non si vestisse solo d’estetica, ma potesse essere anche un etico strumento da mettere al servizio dei senza voce. È un viaggio in certi gironi della vita di chi ha commesso errori il cui prezzo gli è stato presentato con troppi interessi, interessi inaccettabili. Un viaggio tra i condannati. Condannati per un crimine. Condannati per una scelta impopolare. Condannati per un’idea. Condannati per essere venuti al mondo alla latitudine sbagliata.

L’illustrazione dell’album, curata da Lorenzo Fantetti, in particolare quella di Nu Cantu Anticu, impreziosisce ancor più questo lavoro e ci riporta a una tematica più che mai attuale come quella migratoria.
Questo percorso, attraverso Nu Cantu Anticu, è una storia vecchia e stanca come il mondo, la storia delle genti che non hanno mai avuto nulla in tasca e nello stomaco, nulla se non la disperazione e la speranza di trovare un po’ di vita al di là del mare. A qualunque costo.


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