“Quando riscoprimmo Rosa”, può essere tema molto azzeccato anche se impegnativo. Lei è stata infatti a lungo ignorata nell’iconografia tradizionale della sinistra italiana. Voglio subito ricordare, tra chi non l’ha mai dimenticata, Lelio Basso, socialista anomalo, fondatore nel 1964 del Psiup, che ha sempre studiato il lascito di Luxemburg come possibile embrione alternativo al cosiddetto “socialismo reale” che faceva capo all’Unione sovietica. A lui si devono biografia e saggi su Rosa Luxemburg che restano imprescindibili per ogni aggiornata discussione. Un primo saggio di Basso dedicato a lei è addirittura del 1946, quando la definisce teorica di un possibile “socialismo libertario”.
Quando parte della sinistra italiana la riscopre? Sicuramente nel ’68 e negli anni seguenti. Ma bisogna puntualizzare. C’è stato un ’68 che pensava che il problema fosse ritornare ai classici del marxismo originario, eliminando i revisionismi teorici e politici (i gruppi marxisti-leninisti che ebbero scarsa fortuna). C’era però un altro ’68 – a cui mi collego – che invece cercava idee nuove e di rileggere al contempo le biografie di personaggi eterodossi ed eretici della storia della sinistra come Rosa Luxemburg, Che Guevara, Lev Trotsky, Viktor Serge e altri unendo questa ricerca all’obiettivo del rinnovamento culturale e politico della sinistra, anche di quella comunista.
In questo quadro si inserisce la rilettura degli ultimi scritti di Marx (i Grundrisse), l’attenzione alla Scuola di Francoforte (Marcuse, Adorno, eccetera), alle idee di Sartre, alla tradizione psicoanalitica di Freud aggiornata con Fromm e Jung, alle idee dei nuovi movimenti dei campus e contro il razzismo negli Stati uniti.
A me piace sempre ricordare la carica libertaria e antidogmatica che ha caratterizzato ed egemonizzato il ’68. Si è cercato infatti, dal ’68 in poi e in tutto il decennio Settanta, di introdurre nell’azione dei movimenti idee e pratiche inedite che non sono state appieno raccolte ma hanno seminato (scuola, femminismo, salute in fabbrica, medicina democratica, psichiatria democratica). Non è perciò niente affatto convincente ridurre gli anni Settanta al finale dei terribili anni del terrorismo che con l’assassinio di Aldo Moro incidono sulla evoluzione della politica italiana. Quegli anni Sessanta-Settanta sono ricchi di idee ed esperienze.
In questa riscoperta di figure eretiche s’inquadra il fenomeno di molte tesi di laurea che a cavallo di fine anni Sessanta furono dedicate a Rosa Luxemburg. Cito tre amici illustri che si sono laureati così: Rina Gagliardi (per tanti anni mia collega al Manifesto quotidiano), Claudio Sabattini (che diventerà segretario dei metalmeccanici della Fiom), Riccardo Bellofiore (brillante economista).

IL RUOLO DI DUTSCHKE
Per questo, non è certamente un caso che alla rilettura di Rosa Luxemburg abbia contribuito in Germania soprattutto un sessantottino come Rudi Dutschke. Leader del movimento studentesco nella Germania federale, ex Rdt che aveva lasciato nel ’61 pochi giorni prima che fosse eretto il Muro, guardava a Marcuse, Mao, Marx e soprattutto a Luxemburg. Conosceva dal di dentro il “socialismo reale”, come si chiamava quello dell’Est, e lo criticava giustamente puntando su idee nuove.
Subì una attentato nell’aprile del ’68, dopo il quale si traferì in Gran Bretagna da dove fu espulso nel ’71. Andò in seguito in Danimarca per poi fare ritorno nella Germania federale. È morto la notte di Natale nel 1979 nel corso di un attacco epilettico, dopo aver a lungo sofferto per i danni neurologici dell’attentato del ’68. Aveva rivalutato Rosa Luxemburg e la “strategia consigliare” come processo partecipativo ai movimenti oltre a studiare Heidegger e la Scuola di Francoforte (quest’ultima proponeva una critica moderna al “capitalismo delle società mature” e alla “società dei consumi e di massa” e perciò diventava un armamentario teorico per i movimenti degli anni Settanta). Ricordo di lui un bel libro pubblicato dall’editore De Donato dopo la sua morte.
Dutschke, poco prima di morire, faceva parte del gruppo fondatore dei Verdi in Germania (insieme a Joschka Fischer, che poi diventerà addirittura ministro degli esteri di Germania) a dimostrazione che la sua ricerca di strade nuove per la sinistra lo aveva portato su quella frontiera prevedendo nuove forme organizzative e nuove “issues”.
Un altro a cui dobbiamo una lettura originale della Luxemburg è il filosofo ungherese Lukacs che già nel 1922 la rilegge come chi pone la soggettività individuale al centro di una azione trasformatrice superando la semplificazione del rapporto masse/partito/coscienza di classe.

BIOGRAFIA DI ROSA
Vita breve, intensa, quella di Rosa Luxemburg raccontata bene nell’omonimo film di Margarethe von Trotta, ora disponibile addirittura su youtube di cui consiglio la visione.
Nasce a Zamość, Polonia russa, il 5 marzo 1871 da genitori ebrei. Il padre era un commerciante di legname. Quando ha appena due anni, la famiglia va a vivere a Varsavia. Una malattia all’anca la rende claudicante per tutta la vita. Al liceo entra in contatto con il gruppo clandestino “Proletariat”, di cui diventa militante. Nel 1889 espatria in Svizzera, perché ricercata dalla polizia. Si iscrive alla facoltà di Filosofia di Zurigo per poi passare a quella di Diritto e Scienze politiche. Si laurea nel 1897 con una tesi sullo sviluppo industriale della Polonia, redatta in un soggiorno a Parigi.
Entra in contatto con gli ambienti dei rifugiati politici russi e polacchi. Conosce Leo Jogiches, che diventa suo compagno di lotta e poi di vita per un lungo periodo. Gli anni di Zurigo sono quelli della formazione. Nel 1898 abbandona la Svizzera e va a vivere in Germania.
Lo stesso anno ottiene la cittadinanza tedesca. Milita da subito nell’ala sinistra della socialdemocrazia guidata da Augusto Bebel. Trasferitasi a Berlino, aderì al partito socialdemocratico, prendendo posizione contro il “revisionismo” teorico di E. Bernstein. Si reca a Varsavia nel 1905, dove è arrestata per la sua attività rivoluzionaria insieme a Jogiches. Riesce a tornare in Germania, dove partecipa a tutti i più importanti dibattiti nella Spd (il partito socialdemocratico), in particolare contro il militarismo e il nazionalsciovinismo che portano alla votazione in Parlamento dei crediti di guerra da parte dei deputati socialdemocratici con l’assenza di un’opposizione alla prima guerra mondiale. Su questo il dissenso di Luxemburg è totale.

Dal 1907 al 1914 insegna economia politica alla scuola di partito di Berlino. Durante la guerra, nonostante lunghi periodi di prigionia, non interruppe gli studi e la stesura dei suoi scritti. Nel 1916 è tra i fondatori dello Spartakusbund, il movimento spartachista che prendeva il nome dal gladiatore che aveva guidato la ribellione degli schiavi nell’impero romano. Da quel momento, con la fine di fatto della Seconda internazionale e la trasformazione assai moderata della socialdemocrazia tedesca, Luxemburg si impegna per la ricostituzione di una forza marxista rivoluzionaria che vedrà la luce proprio con la fondazione dello Spartakusbund (gli spartachisti) che poi si scioglierà nel Kpd, il Partito comunista polacco, nel 1918.
Quando scoppia la Rivoluzione russa del 1917, Rosa è convintamente al fianco dei bolscevichi. Ciò non le impedisce di avvertire i pericoli del sistema a “partito unico” e dall’abbandono della strategia consiliare dei soviet. Critica anche lo scioglimento dell’Assemblea costituente e la firma del trattato di Brest-Litovsk con cui la Russia esce dalla prima guerra mondiale. Lo fa nell’estate del 1918, dal carcere, dove trascorre la maggior parte del periodo tra il 1915 e il 1918.
Trovandosi sempre più a sinistra nel dibattito socialdemocratico, finisce per polemizzare con Karl Kausky, leader della socialdemocrazia tedesca. Durante la guerra, nonostante lunghi periodi di prigionia, non interruppe gli studi e la stesura dei suoi scritti. Nel 1916 fu tra i fondatori dello Spartakusbund; nel 1918 diresse Die Rote Fahne, quindi promosse l’insurrezione spartachista di Berlino del gennaio 1919.

Nel pieno del tentativo della rivoluzione tedesca, viene assassinata il 15 gennaio del 1919 insieme a Karl Liebknecht (Leo Jogiches, il suo compagno, sarà assassinato nel marzo successivo) dai Freikorps, reparti militari agli ordini del governo di cui facevano parte pure i socialdemocratici: una tragedia. Rosa Luxembug aveva appena 48 anni. Presidente della Repubblica di Weimar che crolla sotto l’avanzare della crisi economica, della fine della Prussia e del nazismo, Friedrich Ebert, a cui tuttora è dedicata la Fondazione culturale della Spd.
Questo assassinio è una enorme macchia nella storia della socialdemocrazia tedesca che ha finito per rendere marginale il ricordo di Rosa per alcuni decenni. Luxemburg sarà cancellata dalla storia della Spd per un senso di colpa e dai comunisti ortodossi in ossequio allo stalinismo che espelleva da sé le figure problematiche.

CONTRIBUTO TEORICO
Alcune intuizioni teoriche di Luxemburg forniscono una lettura particolare del marxismo e delle conseguenze della rivoluzione russa del 1917. Infatti, bisogna precisare, prese posizione contro il revisionismo teorico di Eduard Bernstein ma fu anche critica rispetto al modello leninista di organizzazione del partito (troppo elitario, troppo per “quadri” d’avanguardia). Il che non impedì che al Congresso dell’Internazionale di Stuttgart del 1907 fu proprio Lenin a volerla fra i delegati cedendole un posto nella delegazione del Partito bolscevico.
Per Rosa Luxemburg, come per Antonio Gramsci, la rivoluzione doveva essere un processo di continua conquista di “case matte”, di maturazione collettiva attraverso la strategia consiliare che avrebbe dovuto garantirne la democraticità. Ecco perché Lelio Basso, che studiò a lungo i suoi scritti, la definì esponente di un originale “socialismo libertario”: è una definizione che mi trova molto d’accordo.
Nel 1906 pubblicò Massenstreik, Partei und Gewerkschaften in cui esaltava l’importanza dello sciopero generale, in alternativa alla visione leninista di un partito di rivoluzionari di professione rigidamente strutturato. Negli scritti economici, Luxemburg diede un prezioso contributo allo studio della politica imperialista, nel quale criticava la teoria di Marx sulla crisi del capitalismo e indicava nei paesi coloniali e sottosviluppati altrettante riserve per lo sfruttamento capitalistico: quindi, non era da prevedere un crollo finale del capitalismo. Die Krise der Sozialdemokratie è una acuta disamina del movimento socialista (che suscitò le critiche di Lenin, discorde sul ruolo del partito guida).
La sua opera fondamentale è però considerata L’accumulazione del capitale, apparsa nel 1913, prezioso contributo allo studio della politica imperialistica e coloniale dell’epoca. Il filosofo ungherese György Lukács considerava questo testo insieme a Stato e Rivoluzione di Lenin “le due opere fondamentali con le quali rinasce storicamente il marxismo moderno”.

LA DIFESA DI TOLSTOJ
Una curiosità, per concludere. Tolstoj come “pensatore sociale” è stato riscoperto da Rosa Luxemburg in alcuni scritti nel 1908, in cui sottolineava come lo scrittore russo criticasse la prima vulgata marxista per la mancanza di una teoria della soggettività (Tolstoj fu rivalutato da Lenin nel 1920, dopo averlo criticato intorno al 1905 per un certo fatalismo con cui aveva guardato al primo tentativo rivoluzionario in Russia). L’interpretazione del Tolstoj “politico” è tuttora aperta e l’autore di Anna Karenina resta solo (e forse) un socialista utopista ma Luxemburg ci aveva già proposto una lettura originale di alcune sue opere di questo grande scrittore.
(testo non corretto dell’intervento al ciclo di incontri “La Rosa rossa” promossi da “cittàcomune”, Piacenza 21 novembre 2019)

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