“Al Likud dico: liberatevi di Bibi, un governo d’unità è ancora possibile”

Nostra intervista a Yair Lapid, numero due dei blu-bianchi: “Non tutti nel suo partito sono disposti a seguire Netanyahu nella sua linea avventurista. È ancora possibile dar vita a un esecutivo liberale e stabile evitando una nuova campagna elettorale che potrebbe essere devastante per il paese”.
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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Con le sue dichiarazioni da pericoloso estremista, al limite dell’eversione, Benjamin Netanyahu si è assunto una responsabilità gravissima: quella di minare le basi fondamentali di uno stato di diritto, gridando al golpe e fomentando una campagna di odio contro il Procuratore generale d’Israele, peraltro da lui nominato. Parlare di golpe, gridare al complotto, va ben oltre l’incitamento all’odio, alla caccia al Nemico di cui Netanyahu è un cattivo maestro. Qui siamo di fronte a un politico che pur di non perdere il potere è disposto a tutto.

Un possente j’accuse quello che il numero due di Kahol Lavan (Blu-Bianco), Yair Lapid, pronuncia in questa intervista esclusiva concessa a ytali.

La cosa incoraggiante – rimarca Lapid – è che non tutti nel Likud sono disposti a seguire Netanyahu nella sua linea avventurista. In questo senso, la volontà espressa in via ufficiale da Gideon Sa’ar di sfidare Netanyahu per la premiership del Likud, è un segnale importante, un motivo di speranza. È ancora possibile realizzare un governo liberale e stabile evitando una nuova campagna elettorale che potrebbe essere devastante per il paese.

Israele sta vivendo uno dei passaggi più drammatici della sua vita politica. Il primo ministro in carica parla di “colpo di Stato legale” di cui si sarebbe fatto strumento il Procuratore generale israeliano, Avichai Manderblit, che ha formalmente incriminato Netanyahu per tre atti d’accusa: corruzione, frode e abuso d’ufficio. Lei, a caldo, ha usato parole durissime nel commentare le affermazioni di Netanyahu. A mente fredda, è ancora di quell’avviso?
Assolutamente sì. Le accuse rivolte da Netanyahu al Procuratore generale d’Israele, peraltro da lui nominato, sono di una gravità senza precedenti. Evocando un golpe, chiamando alla mobilitazione di piazza per contrastarlo, Benjamin Netanyahu ha abbondantemente superato la red line di un confronto politico duro ma corretto, per avventurarsi su un terreno minato. In gioco sono le basi stesse di uno stato di diritto, qual è Israele. Non è questione di destra, centro, sinistra, ma di senso di responsabilità verso il paese. Quel senso che Netanyahu ha completamente smarrito.

Yair Lapid, Benny Gantz e consorti

Insisto sulle sue parole, perché le ritengo tanto più significative in quanto vengono da un politico, lei, che è stato anche ministro in passato di un esecutivo a guida Netanyahu. Lei ha paragonato la retorica di Netanyahu a quella di un seguace del medico-colono di estrema destra Baruch Goldstein che il 25 febbraio 1994 aprì il fuoco contro un gruppo di musulmani in preghiera nella Tomba dei Patriarchi a Hebron, uccidendone 29 e ferendone altri 125. “Le parole che sono uscite dalla bocca di Netanyahu negli ultimi giorni sono istigazione alla violenza”, cito testualmente. E ancora:. “Sono parole pronunciate da un seguace di Baruch Goldstein, non da un primo ministro. Finirà male. Anche lui sa che finirà male”. Non ha sconfinato anche lei la fatidica red line?
Netanyahu è un politico di lunga data che sa il valore e il peso delle parole. E sa bene che parlare di golpe, accusare un Procuratore generale di essere al servizio di “élite che vorrebbero consegnare Israele, lo Stato degli Ebrei agli arabi israeliani, fiancheggiatori dei terroristi palestinesi” – sono parole di Netanyahu – significa comportarsi da piromane, utilizzando una retorica propria delle frange più estremiste ed eversive presenti nel paese. La cosa incoraggiante è che ad affermare la pericolosità delle esternazioni, e della condotta, di Netanyahu siano ora anche importanti esponenti del suo stesso partito, il Likud. Mi riferisco in particolare, ma non solo, alla volontà manifestata da Gideon Sa’ar di contendere a Netanyahu la leadership del Likud. Mi sembra un segnale importante, che dà speranza.

Nell’avanzare ufficialmente la sua candidatura a sfidante del premier, l’ex ministro degli Interni ha affermato, tra l’altro, che con i suoi attacchi frontali al Procuratore generale, Netanyahu “Non sta riparando il sistema, sta distruggendo il sistema”. E ancora: “È impossibile parlare della decisione del Procuratore generale come colpo di Stato; stiamo creando un’atmosfera di caos nel paese e a ciò mi oppongo”, ha poi aggiunto.
Sono affermazioni che sottoscrivo e che, mi lasci dire, restituiscono al Likud quello spessore che si confà a un partito che ha rappresentato un pilastro della nostra democrazia. Stiamo parlando del partito che fu di Menachem Begin, Ariel Sharon, Yitzhak Shamir. Si poteva condividere o no la loro azione di governo, ma nessuno di loro ha mai anteposto interessi personali a quelli nazionali. È di quel Likud che Israele ha oggi bisogno.

Il leader del suo partito, Benny Gantz, ha teso la mano al Likud appellandosi ai vertici e chiedendo loro di stringere una partnership per governare il paese. Gantz ha anche chiesto un passo indietro deciso al premier in carica. Anche qui cito testualmente: “Chiedo al premier Benjamin Netanyahu di rispettare di aver perso le elezioni, di rispettare le decisioni prese dal sistema legale attraverso la gestione delle persone che lui stesso ha posto ai vertici, di rispettare la volontà della maggioranza e di fare marcia indietro per lottare per la sua innocenza”.
È un appello sincero, che Netanyahu dovrebbe cogliere nella sua interezza, sapendo distinguere tra il Netanyahu primo ministro e il Netanyahu cittadino. Quest’ultimo ha tutto il diritto di difendersi, in tribunale, dalle accuse mossegli, ma come primo ministro non può far finta di nulla o, addirittura, pretendere l’immunità da un governo di cui pretende di far parte se non addirittura di guidare.

Ma Netanyahu non sembra dello stesso avviso. E Israele sembra destinato a nuove elezioni anticipate, probabilmente a marzo 2020. Sarebbero le terze in nemmeno un anno. Quella che si annuncia è una campagna elettorale “tossica e divisiva”, prevede Anshel Pfeffer, il corrispondente dell’Economist in Israele, oltre che autorevole analista di Haaretz, fra gli israeliani che credono nel sistema giudiziario e quelli convinti che le élite stiano cercando di silenziarli. Netanyahu darà tutto se stesso, prendendo di mira chiunque ritenga una minaccia al suo potere. Sarà una battaglia per l’anima della fragile democrazia israeliana, di cui ancora non si vede la fine”. Siamo a questo punto?
Mi auguro di no, e per quanto mi riguarda, farò il possibile perché non ci si arrivi. Ma il rischio c’è, e sarebbe un errore esiziale sottovalutarne la portata. Per la terza volta in undici mesi, Netanyahu vorrebbe trascinare il paese in un referendum sulla sua persona. E stavolta, sarebbe ancora più grave delle precedenti, dopo le affermazioni sul “golpe” e l’appello alla piazza contro i responsabili. Gli attacchi personali carichi di odio non sono degni al ruolo di statista degno dei libri di scuola al quale Netanyahu ambisce.

A proposito di attacchi personali. Netanyahu l’ha accusata pubblicamente di avere impedito la formazione di un governo Likud-Blu-Bianco, manovrando nell’ombra contro la staffetta a premier, arrivando anche a rendere pubbliche registrazioni di conversazioni private…
Quella di vedere congiure e congiurati dappertutto è la sindrome di accerchiamento di cui evidentemente Netanyahu soffre. Un segno di disperazione. Quanto poi alle “prove” esibite, è meglio stenderci su un velo pietoso. Con Netanyahu ci conosciamo da tempo, ed io ho fatto parte anche di una compagine ministeriale da lui guidata, salvo poi uscirne, dimettendomi da ministro, quando non mi sono più trovato in sintonia con le sue scelte. Il tutto alla luce del sole. È stato lui a rompere con le forze laiche e di centro, preferendo accordarsi con le destre più oltranziste o con i partiti ultraortodossi. Una scelta che ha allungato la sua vita politica ma che ha finito per rappresentare un grave freno per la crescita d’Israele. A Netanyahu ho riconosciuto dei meriti nei suoi anni di governo, ma con la stessa franchezza dico che oggi, con i suoi comportamenti, con le sue affermazioni, sta tenendo in ostaggio Israele. E questo è inaccettabile.

Netanyahu l’accusa di voler mettere il destino d’Israele nelle mani degli arabi israeliani…
Discutere con coloro che rappresentano una parte significativa della comunità araba israeliana, non significa voler governare assieme, ma esercitare una normale dialettica democratica confrontandosi su questioni importanti che riguardano il presente e il futuro d’Israele. Discutere per includere, pur nella distinzione di ruoli tra chi sta al governo e chi all’opposizione. Questo si chiama esercitare la democrazia, ma Netanyahu preferisce proseguire nel muro contro muro. Una scelta irresponsabile.

“Al Likud dico: liberatevi di Bibi, un governo d’unità è ancora possibile” ultima modifica: 2019-11-24T17:07:36+01:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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