In vista del referendum che si terrà domenica primo dicembre nel Comune di Venezia, ytali ospita una serie di interventi a favore e contrari al quesito referendario.
Di che si tratta? Gli elettori veneziani saranno chiamati a pronunciarsi per la quinta volta sulla proposta di separazione – autonomia, preferiscono dire i sostenitori del sì alla divisione – tra Venezia, con le isole dell’estuario, e Mestre e terraferma. L’esito della consultazione avrà conseguenze sulla composizione della Città metropolitana di Venezia (852.472 abitanti a fine maggio) e su quella del Comune di Venezia (268.841 abitanti), suddiviso nelle municipalità di Venezia-Murano-Burano (69.679 abitanti), Lido Pellestrina (21.691), Favaro (23.376), Mestre Carpenedo (88.181), Chirignago-Zelarino (37.629) e Marghera (28.285).
Nel complesso 91.370 veneziani d’acqua e 177.471 di terraferma.
In caso di vittoria del “sì”, Venezia finirebbe al quarto posto tra i comuni veneti capoluogo di provincia, dopo Verona, Padova e Vicenza, mentre Mestre diventerebbe il terzo comune più popoloso della regione, il primo tra i non capoluogo di provincia. Sarà il quinto referendum sulla separazione. Nella tabella che segue i risultati delle precedenti consultazioni.


Quando ci si mette a cercare le ragioni per opporsi decisamente per la quinta volta in quarant’anni alla follia di voler dividere il Comune di Venezia la lista è sempre troppo lunga e non si sa mai da che parte cominciare. Chiaro che anche i propositori della separazione, e va chiamata proprio così, hanno la loro lista lunga che ripetono come un mantra e le sorti della contesa staranno proprio qui, in quanti sapranno valutare quale delle due liste è farlocca e quale no.
Per cominciare mi riferisco a un episodio politico a margine accaduto sull’onda emozionale dell’emergenza acqua alta. È stata approvata dal Parlamento e finalmente concessa l’istituzione a Porto Marghera della ZLS (Zona a Logistica Semplificata), in sostanza equivalente a quella ZES ( Zona Economica Speciale) che era stata negata solo pochi mesi fa (con la motivazione che questo genere di agevolazioni devono essere riservate al Mezzogiorno). Potenzialmente una possibilità di agevolazioni e investimenti che valgono migliaia e migliaia di posti di lavoro di cui potranno beneficiare tutti gli abitanti dell’area metropolitana.
Si osservi che:
1) la ZLS è stata concessa a Porto Marghera per un’emergenza avvenuta nella città d’acqua. Crediamo davvero che non c’entri nulla il fatto che la Venezia storica e Porto Marghera appartengono allo stesso Comune?
2) l’individuazione dell’area di Porto Marghera per l’intero comune è stata possibile con il Comune unitario, dal momento che un comune d’acqua separato mai avrebbe posseduto i requisiti strutturali e soprattutto la disponibilità di spazi idonei per vedersela assegnare.
3) In un momento in cui si levano alti lai per la monocultura turistica dilagante nella città storica, essa città storica potrà ugualmente beneficiare dei potenziali migliaia di posti di lavoro ben diversi dall’impiego turistico con una Marghera a cinque minuti di autobus. Anche se si può star sicuri che il separatista di turno obietterà, cosa risibile che ne denota l’ampiezza di vedute, che quelli non sono posti di lavoro a Venezia; come se nell’anno di grazia 2019 il lavoro e la sua localizzazione debbano essere concepiti entro uno stretto perimetro in autarchia totale.
4) Il tutto infine smentisce la fola che per avere trattamenti fiscali privilegiati bisogna separare il Comune di Venezia, ma come s’è visto è vero proprio il contrario.
Mi fermo qui e chi vuol capire capisca.
È solo un esempio tangibile che dimostra plasticamente come una città storica non può qui, come dappertutto, prescindere come potenzialità di sviluppo dal territorio che le sta attorno e, complementariamente, il territorio attorno fruisce direttamente delle potenzialità della città storica a cui si riferisce. E dico “storica” non rifacendomi solo alle pietre e ai masegni veneziani che conosciamo ma riferendomi anche a Porto Marghera che è un pezzo di storia interamente veneziano, come progetto, finanziamento, conduzione e veneziano anche per chi ci ha lavorato e lavora, essendo ed essendo stato primariamente veneziano di terra, soprattutto dell’allora provincia, il suo bacino di provenienza. Un’amministrazione unica ha potuto essere interfaccia con lo Stato italiano proprio in virtù della sua unitarietà.
Da qui si potrebbe continuare di conseguenza. Solo i miopi non vedono che un comune di 260.000 abitanti (un bel numero ma non tantissimi e sarebbero 20.000 di più senza la stolta separazione del Cavallino), con una storia “pesante” come quella di Venezia, possiede una massa critica in grado di fare da magnete e soggetto d’interlocuzione alla scala nazionale ed europea. Per dar soluzione a molti cronici problemi.
Qui il separatista comincia a snocciolarli, di solito, i cronici problemi. Peccato che non spieghi assolutamente (perché non può…) come si possa pensare di risolverli, questi problemi (di cui postula che la causa stia nell’unitarietà del Comune), solo separando le amministrazioni. A volte bisogna essere banali ma forse ci si capisce: Roma ha problemi enormi ben noti e di cui ci riempiono la testa i mass media ogni santo giorno più di quelli veneziani, ma a nessuno viene in mente, per sanarli, la proposta di dividere il loro comune, che so, in Roma nord e in Roma sud. E non è che a nord i problemi son gli stessi che a sud, ma son tenuti insieme perché Roma è una città unitaria, come Venezia: città “Una e Unica” e prendo lo spunto dall’omonima associazione che in queste settimane si sta coraggiosamente battendo contro la separazione.
Anche l’unitarietà è misurabile; ci sono numeri e fatti tangibili che definiscono che cos’è una città unitaria, anzi che cos’è una città. E non è detto che la percezione sempre li avverta e quindi l’identità incerta può anche esser conseguente. Ma sono i fatti a dover prevalere.
In questo secolo, piaccia o no, si è creata e cementata tra la città storica di Venezia e la Terraferma una sola comunità urbana con un’identità plurale, ma unitaria, corrispondente alla storia di un secolo e non uno qualsiasi, il Novecento.
Ma c’è una ragione superiore che mette a fuoco il vulnus di una separazione.

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Se il Comune è un’istituzione che insiste su una città unitaria, separarlo non è solo un fatto tecnico, migliorativo o peggiorativo non importa, ma è qualcosa che intacca un valore simbolico qual è la rappresentanza politica di questa che molti sentono come una comunità unitaria. In molti, ecco il vulnus, si sentirebbero letteralmente derubati dal giorno alla notte di una parte del loro territorio, della quale parte sentono di avere titolarità nel contribuire alle scelte e alla soluzione dei problemi, attraverso i meccanismi della politica amministrativa.
Infine è una individuazione troppo “tirata” e di parte vedere nella proposta di separazione del Comune il germe dello stesso “sovranismo” che soffia sinistro in tutta Europa?
Parlando con gli amici mi si dice che sì, è una individuazione “tirata” e può urtare la sensibilità dell’indeciso al voto che potrebbe offendersi e irrigidirsi. Personalmente nel dibattito-scontro di queste settimane ho visto molti temi effettivamente di altro tipo.
Eppure.
Eppure sappiamo bene che sotto la cenere del separatismo di entrambe le sponde esiste una distorta contezza dell’esser “diversi” di qua e di là del ponte, proprio l’opposto di ciò che i fatti “unitari” dimostrerebbero e soprattutto l’opposto di ciò che sente una parte consistente della cittadinanza. Un orgoglio dei “diversi” di sapore etnicista per il quale la separazione farebbe giustizia anche sul piano simbolico rappresentativo. Quello che per una parte, spero consistente, come già detto sarebbe un vulnus, per altri sarebbe un atto di giustizia. A parer mio una distorsione notevole di un’idea di giustizia. Perché ammesso e non concesso che queste diversità identitarie ci siano, nel contesto di innegabile interconnessione urbana che si è configurata in un secolo le diversità hanno mille ragioni per poter comunque convivere sotto uno stesso tetto.
Diversamente prevarrebbe quello spirito che continuo a ritenere piuttosto spregevole sintetizzato dallo slogan “paroni a casa nostra”.

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1 commento
Sono un mestrino ignorante delle conseguenze si/no. Mi sono sempre detto che Mestre con una sua compagine politica localizzata potrebbe interessarsi di più ai problemi di Mestre. E’ vero però che Mestre e Venezia unite contano di più di Mestre. Detta così sembra semplicistica, ma non riesco a vedere più lontano del mio naso. Domanda: potrebbe tramutarsi in realtà per Mestre avere una compagine politica che pensi solo a Mestre?(vista la qualità dei politici che ci circondano mi verrebbe da dire no, non ci sono). Che fare, con poche osservazioni ? lambertialessandro@libero.it