Contro la #violenzasulledonne. D’accordo, e poi?

La vera battaglia è quella preventiva, culturale. Partiamo dalla famiglia, dalla scuola.
MARIA LUISA SEMI
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Si è celebrata la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Non c’è bisogno che dica di essere d’accordo; perfino il presidente della Repubblica ne ha fatto un accenno. Tuttavia vorrei chiedere: in che cosa consiste la violenza? Ovvio nello stupro, nelle percosse, nell’omicidio e comunque nella violenza fisica. Ma esiste pure un’offesa psicologica, verbale, che sempre violenza è e che purtroppo poco viene riconosciuta dalle stesse vittime.

Se in una famiglia – allargata o no – una donna subisce insulti, frasi offensive, opinioni pesantemente negative sul suo essere donna, se anche fisicamente non viene colpita, di che si tratta?

Succede e la donna subisce, non reagisce, se tutto va bene, tace. Ribellarsi, chiudere un rapporto non rientra in alcune mentalità, e fra l’altro talvolta significa trovarsi non solo in solitudine (che forse non sarebbe un male) ma anche dover sopportare problemi di sopravvivenza economica. Quindi, prescindendo il “che cosa dirà la gente”, che forse condiziona il vivere quotidiano, manca l’autonomia, l’indipendenza che potrebbe permettere una logica libertà.

Un lavoro, quindi, una possibilità di vita, nei casi di violenza esclusivamente verbale o psicologica. E se poi la violenza diventa fisica o comunque se ne ha la previsione, rivolgersi non soltanto alle cosiddette autorità – polizia, magistratura… – che non sempre sono dotate di comprensione, ma ai numerosi centri, in linea di massima gestiti proprio da donne, che spesso organizzati, danno un vero supporto, e non una pena al colpevole.

A proposito comunque di stupro, si è sempre detto – non so perché – che gli uomini hanno una esigenza fisica diversa dalle donne. Non per niente un tempo esistevano i bordelli elegantemente chiamati “case chiuse” nei quali gli uomini erano clienti, mentre le donne erano merce.

Prescindendo da questa schifezza, diverso è oggi lo stupro su una donna, una ragazza. Non quindi uno sfogo fisico, ma la volontà di violentare. Senza rendersi conto – o forse rendendosene – che la “vittima” è una persona, ovviamente diversa dalla madre, dalla sorella, dalla cugina. Mi sono sempre chiesta e mi chiedo se questi uomini o ragazzi che siano, sono assatanati: vedere una ragazza e pensare allo stupro è quasi una normalità per alcuni.

Ho seguito cronache di processi a carico dei violentatori; notevole quella relativa a Franca Rame, anni or sono. Ma si trattava di una persona di spessore, di coraggio che raccontò poi in una memorabile intervista la cronaca, appunto di un’udienza; durante la quale le venne chiesto se aveva goduto, se “si era bagnata”, se in fondo non si fosse ribellata. Perché mai?

Si parla e si discute sempre di donne vittime, ed è giusto, anche perché difficilmente la donna provoca. Ma… c’è donna e donna.

Sempre riferendomi a processi relativi a imputati di violenza, vediamo, non sempre ma spesso, madri o parenti dei colpevoli – che anche hanno platealmente confessato – ribellarsi, addossare la colpa alle vittime, sostenere che l’imputato è un bravissimo ragazzo, mentre la vittima “se l’è voluta”, che non avrebbe dovuto vestirsi in maniere provocatoria, che la sera avrebbe dovuto rimanere in casa. Donne anche queste.

E che dire – qui divento cattiva – delle madri di figli maschi; non ragazzi o adulti, ma ancora bambini? Siamo sicuri che figli maschi e figlie femmine vengano considerati allo stesso modo? Siamo sicuri che i maschietti, dalle madri, non vengano considerati, anche nella quotidianità della famiglia, dei sultani?

Succede che se un ragazzino di otto o dieci anni malmena una compagna di classe a scuola, anche semplicemente con uno spintone o con una manata sulla spalla, sia definito “vivace”. Senza considerare che quello spintone può preludere, se tutto va bene, a episodi di bullismo – sempre a carico delle compagne – e successivamente a qualcosa di più grave. Tanto… è un maschio.

Contro la #violenzasulledonne. D’accordo, e poi? ultima modifica: 2019-11-26T17:55:08+01:00 da MARIA LUISA SEMI
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3 commenti

Giorgio Rota 27 Novembre 2019 a 16:53

La maggior parte dei commenti che si leggono o si ascoltano sulla questione della violenza contro le donne sono purtroppo abbastanza banali e deludenti, e devo dire che questo non fa eccezione.
Alcuni amano parlare di nazi-femminismo, ma uno dei tanti problemi di questo pseudo-dibattito è che la Sinistra italiana è rimasta ferma agli schemi dogmatici della Guerra Fredda e della lotta “antimperialista”: da un lato ci sarebbero gli uomini oppressori, dall’altro le donne oppresse. Le donne poi si dividerebbero in “vere vittime” e “collaborazioniste” degli uomini (riveda quello che ha scritto sui maschietti-sultani). Fa comodo, si evita di pensare e di esercitare facoltà critiche che forse non si hanno, e si fa bella figura con poco.
Io, da uomo non pacifista ma pacifico e soprattutto rispettoso degli altri, personalmente mi ritengo insultato quando vengo messo in un calderone con stupratori/stalker/mariti assassini e via dicendo da parte di commentatori privi di idee. E, d’altra parte, si fa di tutta l’erba un fascio anche quando si parla di violenza: aggressioni fisiche, violenze psicologiche, stupri, omicidi non sono la stessa cosa e non hanno le stesse cause. Delle avances a sfondo sessuale al bar o in ufficio sono senza dubbio spiacevoli, ma non è la stessa cosa che essere sfigurate con l’acido dal fidanzato geloso. Lei stessa fa confusione quando menziona lo stupro perpetrato ai danni di Franca Rame (un attentato politico, frutto del clima degli Anni di piombo) a fianco di quello perpetrato dall'”assatanato” di turno. Non sono la stessa cosa.
Purtroppo la Sinistra non ha nemmeno perso un altro difetto, quello di appiattirsi sulle mode che vengono dall’America, dove si pensa che basti proibire una parola per risolvere il problema che le stia dietro. Proibiamo la parola negro, così possiamo sentirci tutti più buoni. Peccato però che i ghetti siano ancora aperti e che ci vivano, appunto, negri o ex tali.
Non vedo come si possa risolvere il problema della violenza sulle donne finchè non se ne affrontano le cause. Ad esempio, il senso di smarrimento creato (negli uomini ma anche in molte donne) dal crollo della famiglia tradizionale, dal crollo dei ruoli (crollo forse auspicabile, ma che ha lasciato un vuoto), dall’incertezza del lavoro, dalla rivoluzione informatica e digitale. A che serve parlare di pari dignità e pari diritti, quando il diritto di essere pagate alla pari degli uomini a parità di mansioni viene negato?
Non parliamo della perdita di valore della scuola, la cui distruzione si deve in gran parte (anche se non esclusivamente) di nuovo alla Sinistra. Ovviamente un docente universitario non è necessariamente “migliore” di un tabaccaio o di uno stradino comunale, ma la cultura sarebbe un buon antidoto contro la violenza.
Non si parla del disagio psicologico, quello diagnosticato clinicamente: una vasta parte della popolazione europea soffre di disturbi mentali e psicologici di vario tipo. Come si fa ad aspettarsi un comportamento equilibrato da persone malate?
Non si parla della violenza che permea la nostra società. Si parla spesso dell’influsso dei videogiochi su bambini e adolescenti, ma si dovrebbe parlare anche della violenza verbale che abbonda nei programmi televisivi. Il messaggio che filtra è che chi urla più forte ha ragione, il compromesso è escluso: il passo successivo alla violenza verbale e psicologica può solo essere la violenza fisica, che per il momento è bandita dagli studi televisivi ma che tra le mura domestiche non trova ostacoli.
Sarebbe anche utile distinguere, in sede di cronaca, tra i vari autori delle violenze: quanti sono quelli che hanno precedenti penali e che quindi, abbastanza comprensibilmente, non fanno distinzione tra la compagna e gli estranei?
E quindi non parliamo dei media tradizionali, che hanno in gran parte abbandonato il loro ruolo di “cane da guardia” e che corteggiano e inseguono i social, i quali a loro volta traboccano di violenza verbale, psicologica e spesso visiva (con grande stupore delle anime belle).
Per concludere, dubito che la logica del muro contro muro, donne-oppresse contro uomini-oppressori, porterà a qualche risultato, a parte amareggiare ulteriormente quelli come me, e sono in moltissimi, che non si riconoscono in questo schema. Purtroppo è proprio a questo che conduce l’uso di un termine, orrendo e razzista, come “femminicidio”, o l’impiego a sproposito di termini come patriarcato, che hanno una precisa valenza storico-politica e che invece vengono utilizzati come anatemi per precludere qualsiasi possibilità di confronto, come nella vecchia URSS si diceva un tempo “borghese” o revisionista”.

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GUIDO MOLTEDO 28 Novembre 2019 a 11:23

LA REPLICA DI MARIA LUISA SEMI
Gentile signor Rota, io sono sempre disponibile al dialogo, anche se gradirei farlo con persone che conosco, che io sappia di che cosa si occupano. Comunque: il mio commento è di carattere esclusivamente sociale e culturale; non avevo citato sinistre o destre, né Stati Uniti o URSS.
Non mi risulta – e non solo a me – che la disavventura ai danni di Franca Rame sia stato un atto politico : era una donna impegnata, non certamente di destra, ma che l’evento sia stato frutto degli anni di piombo non convince.
Mi fa piacere che Lei non si senta messo nel calderone con stupratori o altri; è la conferma che mai si dovrebbe generalizzare.
Mi fa pure piacere la Sua critica al termine “femminicidio”; se avesse letto la mia recensione al libro di Lilli Gruber, (Basta!) potrebbe comprendere come io stessa non lo apprezzi.
Quanto alle altre Sue considerazioni, mi sembra che il Suo commento vada – come si diceva un tempo – “fuori tema”. E fra l’altro il crollo dei ruoli, suppongo nella famiglia, mi pare incoerente. Vorrebbe forse la donna contemporaneamente “angelo del focolare”e lavoratrice extra moenia, pur pagata meno di un uomo?
Vede che ho letto attentamente le Sue opinioni, che ritengo siano, appunto “extra moenia”.
Potremmo continuare a polemizzare o meglio dialogare, ma mi sembra di essermi spiegata. Confermo, senza spostare una virgola, quanto avevo scritto e l’essere definita banale, deludente, desiderosa di fare bella figura dotata di confusione – suppongo mentale – da chi non conosco e che non mi conosce, non mi mette in crisi.

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Giorgio Rota 2 Dicembre 2019 a 16:21

Gentile Signora Semi,

innanzitutto, grazie della Sua risposta. Non era mia intenzione tentare di metterLa in crisi (perchè avrei dovuto? Mica siamo in un salotto televisivo), e anch’io gradisco soprattutto discutere con persone che conosco. D’altra parte, si metta anche Lei nei panni del lettore o ascoltatore che è subissato dai pareri, spesso banali e ripetitivi (e non mi riferisco a Lei) di esperti dei quali non si capisce a cosa debbano questa qualifica: che fare? Ascoltare in devoto silenzio o esprimere, talvolta, un’opinione? Mi scusi se ho scelto la seconda strada.
Mi rendo conto che Lei ha anche altro da fare che stare a leggere me (e anch’io ho un lavoro, e una vita aldilà della tastiera, che cerco di frequentare il meno possibile – la tastiera, non la vita), quindi vorrei fare poche e brevissime precisazioni.
Mi rendo conto che Lei non ha citato la Sinistra o l’URSS, d’altra parte è ovvio che il dibattito sia animato soprattutto da questa parte politica (la controparte non è chiaramente in grado di dare un contributo costruttivo, in questo momento) ed è altrettanto ovvio che la Sinistra soffra di alcuni mali.
Da quello che ho letto sulla “disavventura” (io non la chiamerei così) di Franca Rame, e che può benissimo essere stato incompleto o errato o fuorviante, gli aggressori volevano colpire o pensavano di colpire o cercavano di convincersi di stare colpendo una nemica politica. Da qui l’accenno agli Anni di piombo: però posso benissimo essermi sbagliato.
Mi fa piacere che sul termine “femminicidio” la pensiamo alla stesso modo.
Mai pensato che la donna debba tornare ad essere angelo del focolare, però sono anche convinto che lavorare “fuori” non sia necessariamente un guadagno e che possa essere fattore di instabilità sia sociale che psicologica (per le donne come per gli uomini). Che qualcosa non vada nel sistema economico e nel modo di lavorare odierni mi pare assodato. E comunque mi darà atto del fatto che non potevo trasformare il mio commento in un saggio: probabilmente mi sono espresso in maniera approssimativa. Resta il fatto – ed era questo poi il nocciolo dei miei commenti “extra moenia” – che viviamo in una società malata (spesso anche in senso clinico), i cui punti di riferimento tradizionali sono stati in gran parte abbattuti o indeboliti, ma non sostituiti da altri altrettanto autorevoli: mi pare quindi purtroppo inevitabile che (restando così le cose) vi siano delle tensioni e che il prezzo di queste tensioni sia pagato dai soggetti più deboli. Inevitabile, non normale.

Cordiali saluti,

GR

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