A Venezia un’agenzia che studi i problemi legati all’iperturismo? O un’agenzia che studi i temi legati alla crisi climatica? È la proposta-appello lanciata dal direttore di ytali.com, Guido Moltedo, partecipando a palazzo Franchetti, alla tavola rotonda del Club of Venice, l’organismo informale che riunisce i responsabili della comunicazione istituzionale degli stati membri e delle istituzioni europee per discutere argomenti di interesse comune, confrontare strategie di informazione e comunicazione, scambiare idee ed esperienze sulle migliori pratiche organizzative. Ecco il testo dell’intervento.

Questo mio intervento non può che iniziare dalle parole pronunciate da Ursula von der Leyen di fronte al parlamento europeo il 27 novembre scorso: “Venezia è sott’acqua, questione vitale”. Sono parole che i cittadini di Venezia, ma credo la comunità internazionale, hanno molto apprezzato. Parole che vanno prese molto sul serio. Adesso, come si suol dire, alle parole devono seguire fatti, azioni, politiche concrete.
Mercoledì pomeriggio, chi era a Venezia, ha sentito ripetutamente la sirena dell’allerta acqua alta. Erano solo prove tecniche, per fortuna. Ma il suono inquietante ha fatto ancora una volta ricordare che un evento traumatico come quello vissuto nella notte del 12 novembre può nuovamente ripetersi.
La sirena dell’allerta ricorda sinistramente la sirena d’allarme che annunciava l’imminenza di bombardamenti durante l’ultimo conflitto mondiale. E sì, qui a Venezia siamo in guerra. Contro un nemico conosciuto, ma sempre più imprevedibile e minaccioso. È una guerra che non possiamo certamente combattere da soli. Le parole della presidente dell’Unione europea riconoscono finalmente che la salvezza di Venezia non riguarda solo la nostra città. La salvezza di Venezia riguarda il mondo. Salvarla significa salvare una parte considerevole del pianeta dalla catastrofe già troppe volte annunciata dal ripetersi di fenomeni climatici gravi, senza precedenti. Molte città costiere, in tutti i continenti, vivono l’incubo di vedersi un giorno, neppure troppo lontano, sommerse dal mare.
Venezia e la sua laguna, paradigma dunque dell’impegno per contrastare gli effetti sempre più insidiosi della crisi climatica. La difesa e la salvaguardia di Venezia vanno ovviamente garantite da una serie di misure, la prima delle quali è il ripristino di un equilibrio dell’ecosistema lagunare. Quindi niente più grandi navi da crociera, non solo di fronte a San Marco. Niente più grandi navi nella laguna stessa. Costruzione di un porto off shore fuori della laguna, per limitare al massimo l’ingresso di navi anche commerciali. Completamento del sistema delle barriere mobili, il Mose, ma, soprattutto, un enorme lavoro idrogeologico, per far sì che le paratoie siano sollevate il minor numero possibile di volte. Inoltre, stanziamenti per la manutenzione dei beni culturali, esposti più che altrove alla corrosione atmosferica e marina. Ancora: misure per contenere l’altra grave minaccia che sta sommergendo la città: l’overtourism.
Su queste questioni c’è da tempo un dibattito vivace in città e in tutti i luoghi e istituzioni in cui si discute del futuro di Venezia.
L’informazione su Venezia privilegia largamente e prevalentemente i suoi noti problemi e segue una narrativa che è la stessa ormai da decenni. E che può essere sintetizzata con due titoli celebri: Morte a Venezia di Thomas Mann e Com’è triste Venezia di Charles Aznavour.
I cliché dominano la narrazione delle vicende veneziane. Non si basano su dati falsi. Ma la loro reiterazione sembra l’unico registro possibile per raccontare questa città.

Chiunque lavori nel mondo dei media è preoccupato dalla diffusione incontrollata di fake news. Ma chi, giornalista, vive e lavora in una città come Venezia, ne segue le vicende, è preoccupato, forse perfino di più da un’overinformation basata su un pensiero unico che privilegia la drammatizzazione. Un’overinformation che vive di cicli della notizia molto intensi e sempre più brevi. Terminati i quali non resta più niente.
Venezia è stata sulle prime pagine dei giornali e sulle news tv di tutto il mondo per l’acqua alta eccezionale del 12 novembre. Sono arrivati reporter da ogni parte del mondo. E adesso?
Venezia non può fare notizia solo quando e perché un’acqua alta eccezionale la mette in ginocchio.
La difesa di Venezia, la tutela del suo futuro, deve avvenire anche su altri piani di comunicazione, non legati necessariamente alle emergenze. Che pure ci sono e ovviamente vanno raccontate. Penso ai due gravi episodi delle navi da crociera che avevano perso la rotta nel canale della Giudecca, a giugno e luglio scorsi. Penso al ricorrente allarme per l’overtourism. O per la città che perde abitanti.
Certo, è vero, Venezia sta perdendo i suoi abitanti e molte attività “normali”, diverse da quelle legate al turismo spariscono ogni giorno. Ma c’è ancora una parte consistente di popolazione resiliente. Che testimonia di una città ancora viva e attiva. È una vita urbana, però, quasi totalmente assente nei resoconti giornalistici, ancora di più nell’immaginario di molto visitatori.
A non pochi veneziani è capitato di essere fermati da un turista che chiedeva: a che ora chiude, la sera, Venezia?
Il rischio vero per Venezia è che sia cristallizzata nell’immagine di una città spopolata, quasi fantasma, ormai ridotta a parco tematico, una Disneyland. Una Disneyland di tanto in tanto minacciata nella sua stessa esistenza, minacciata di sprofondare per sempre sott’acqua.
Venezia deve lanciare un messaggio vitale. Deve uscire da una spirale che rischia di diventare la profezia che s’autoavvera. Se perde abitanti, occorre fare di tutto perché sia fermata l’emorragia dei residenti, e va insieme fatto di tutto per attirarne di nuovi, com’è sempre avvenuto nella sua storia.
Venezia è città con una storia di cosmopolitismo e di diversity. Può tornare a esserlo, unica condizione per avere un futuro. Compito di una buona, corretta informazione, che aiuti davvero a ridare nuova forza a Venezia, è cambiare registro narrativo. Occorre uscire dal binomio meta iperturistica / città che affonda in cui Venezia è incastrata. Vanno narrate le tante storie d’iniziative, piccole e medie, che ne fanno una città ancora viva, attività non solo legate al turismo che pure esistono in città.
Venezia va raccontata come città dove è bello risiedere, è conveniente risiedere. Città totalmente pedonale, è uno dei pochi posti al mondo dove una giovane coppia può fare e crescere figli, con la soddisfazione di vederli giocare all’aperto senza problemi.
Se parliamo di Venezia come paradigma ambientale del nostro tempo, dobbiamo metterne in risalto il lato positivo, di città con un’elevata qualità della vita. Ed ecosostenibile. Contrastare i pericoli della crisi climatica implica un profondo cambiamento dei nostri stili di vita: i veneziani già lo fanno, hanno cominciato a farlo fin dalla fondazione stessa della loro città. Il passato di Venezia è il suo futuro. Ed è un modello per tanti centri urbani in tutto il mondo.
Venezia ha una grande tradizione produttiva, perfino industriale. La sua sopravvivenza, il suo futuro, non possono basarsi solamente sulla sua difesa fisica ma anche su un ambizioso piano che la rilanci come città produttiva e vivace.
Paradossalmente, ma non tanto, il dramma esistenziale di Venezia non è legato al rischio di essere sommersa dall’acqua. Le soluzioni per la sua difesa si troveranno. Il suo dramma esistenziale è piuttosto legato al pericolo crescente di essere sommersa dal turismo. Peggio del waterflood, c’è l’overtourism flood.
Questi due drammi, peraltro in qualche modo tra loro connessi, vanno studiati e affrontati con risorse, idee e strumenti idonei. Il loro studio può dare luogo a idee e iniziative perché siano contrastati, non come problemi solo locali, ma per la loro valenza universale in un pianeta stressato dalla crisi climatica.
In questo senso Venezia può essere la sede di un’agenzia europea che si occupi dell’industria turistica, ne studi e ne valorizzi ulteriomente le grandi opportunità e risorse che genera, ma ne studi anche gli enormi problemi di sostenibilità e di compatibilità che comporta per le comunità coinvolte, e individui gli strumenti adeguati di controllo, monitoraggio e contenimento.
Così come può essere la sede di un’agenzia europea dedicata ai fenomeni nuovi creati dalla crisi climatica.
Su questi due terreni, o su uno di essi, occorre far sì che l’Unione Europea si attivi per Venezia. S’attivi per dare conseguenza e senso alle parole della presidente della UE.
Il Club of Venice, che nacque qui, nel 1986, e che più volte si è riunito in questa città, può aiutare a dar voce a questa richiesta. Ed è quanto chiediamo qui ai partecipanti alla riunione odierna. Chiediamo che portino questa istanza nei rispettivi governi e presso l’Unione Europa.

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