Nell’estate del 2017 la città di Treviso inaugurò il Museo Nazionale Collezione Salce, posto sotto la direzione di Marta Mazza, con una mostra su La Belle Époque, che dava l’avvio a un programma ternario di manifesti pubblicitari intitolato Illustri Persuasioni, facenti parte di una collezione unica in Italia: sviluppata dal trevigiano Nando Salce, a partire dal 1895 – quando, diciasettenne, aveva fatto la sua prima acquisizione – e conservata nella propria abitazione fino a che, con il testamento in punto di morte, nel 1962, la dava in dono allo Stato, affidandola in deposito al Comune di Treviso (manifesti che oggi sono consultabili online).
Le rassegne di quel programma, allestite nel complesso adiacente alla storica Chiesa di San Gaetano, in centro-città, sono state avviate di concerto con il direttore del Polo Museale del Veneto, Daniele Ferrara, subentrato nella conduzione del Museo; quella attuale, intitolata Colore come illusione. Grafica, pubblicità, manifesto e aperta fino al 19 aprile 2020, è curata dall’architetto Manlio Brusatin (docente universitario a Venezia, Milano e Sassari, e storico, per l’appunto, del colore, su cui ha pubblicato numerosi libri, diffusi con successo mondiale) che preferisce definirsene “l’ispiratore”. Ed è stata concepita in collaborazione con Sandro Berra, direttore della Tipoteca Italiana di Cornuda (Treviso), dove si completa con una trattazione adeguata alla struttura dell’ente.
Le immagini qui inserite sono pubblicate, in accordo con il citato Polo Museale del Veneto, su concessione del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.
Il personaggio che ha dato nome al museo era Ferdinando Salce (1878-1962), detto Nando, geometra (per volontà del padre, determinato a fare di lui il conduttore dell’azienda familiare), che con la moglie Gina (Regina) Gregorj – figlia del titolare di una delle più importanti manifatture ceramiche d’Italia – condivideva l’istinto del collezionista generico anche di oggetti non di valore, ma soprattutto di cartelloni pubblicitari.

Quanto alle proprie responsabilità aziendali, preferiva delegarle a dipendenti da lui stimati, essendosi iscritto all’anagrafe con la qualifica di “benestante”.
I precedenti
Il cartellone pubblicitario vide la luce nella seconda metà dell’Ottocento, una trentina d’anni dopo l’invenzione della stampa cromolitografica, brevettata nel 1837 da Godefroy Engelmann e affinata nel frattempo. La sua comparsa ebbe luogo in Francia, allorché lì si resero disponibili i relativi impianti, perfezionati a Londra. L’idea motrice era chiara e si dimostrò efficace: bisognava richiamare l’attenzione del passante frettoloso e distratto, in contesti urbani sempre più affollati e rumorosi, con un messaggio in grado di essere colto e compreso al primo sguardo, grazie a una leggibilità attraente perché vivace e fresca, e un testo ridotto all’osso.
Fu chiamato “padre dei poster” il disegnatore e pittore, Jules Chéret, il quale, realizzando le etichette per i profumi della “House Rimmel”, era riuscito a metter su un capitale sufficiente per aprire una stamperia dove sperimentare in proprio quella specie di lettera murale aperta, destinata a gente di passaggio ma capace di captare e memorizzare nell’inconscio le figure stampate, senza fermarsi per leggere le scritte. Ne produsse più di mille, inventando démoiselles eleganti per protagoniste, che dal suo nome furono chiamate Chérettes. Il miglioramento qualitativo nella qualità lo si ebbe con la nascita della stampa offset, che rendeva le tirature più semplici e veloci ed è tuttora impiegata.

Nel Museo la mostra è suddivisa nelle sezioni Un colore da bere, Luci e colori: città e casa, Il viaggio a colori: la vacanza e la festa. Questi titoli fanno pensare a una predominanza quantitativa di policromie che non sempre esiste: nel poster del celebre Bitter della Campari di Milano, infatti, Marcello Dudovich, aveva inventato, all’inizio del secolo, una fusione di solo nero e rosso. Il quale rosso, però, era tanto violento da lasciare gli occhi storditi. Al contrario del quale, all’incirca nel 1925, il cartellonista e ceramista Romano Di Massa optava per la parsimonia cromatica di un fondale grigio-azzurro su cui spiccava il tutto nero di un gentiluomo in cilindro, con l’unica lucetta, che tiene in mano, pronto a brindare, di un bicchierino di Crema Marsala marca Ferrol – Brescia.

Su tale strada, i colori dominanti finirono per identificare il prodotto. Rosso intenso il Bitter Campari di Marcello Dudovich, che per il vermouth Martini & Rossi proponeva l’immagine di un’elegante signorina tutta vestita di bianco. Giallo il liquore Elena. Una tinta crema, che con sfumature progressive arrivava al marrone scuro, il Vero Franck, antichissimo surrogato del caffè e sinonimo, per l’autore (Alfredo Cavadini) di “Aroma-Colore-Forza”. Leonetto Cappiello, con la sua vena umoristica, per il Coñac del Caballo Verde fa cavalcare il destriero verde da un dinamico cavaliere tutto giallo e così via. Tutto ciò è condensato nella sezione Un colore da bere (Sala Dudovich).
In Il viaggio a colori: la vacanza e la festa (Sala Grignani, presenti Tito Corbella, Paul Miracovici, Filippo Romoli, Giorgio Settala, Jupp Wiertz…) vige come premessa l’esclusione di qualsiasi riferimento pittorico a tragitti per impegni professionali: devono essere “da piacere e fantasia”; e tali appaiono in una fantasmagoria cromatica. Paesaggi d’incanto, rimandi folcloristici o esotici sollecitano a visitare luoghi vicini o lontani: Bulgaria, Polonia, Ungheria, Egitto, India, Estremo Oriente, l’Italia di Capri, Cattolica, Alassio, le distese nivee de L’inverno in Germania, un paesaggio fiabesco della Puszta e il calore mediterraneo di Visitez la Grèce en auto.

Il tema Luci e colori: città e casa (Sala Carboni, con Gino Marotta, Achille Mauzan, Leonetto Cappiello, David Klein, Adalberto Campagnoli, René Gruau, Jacques Nathan, Gino Boccasile e quindici altri) snocciola le novità (di novantatré anni fa) “per l’arredamento economico delle case popolari” con frigoriferi automatici, pavimenti di linoleum, mobili cromati, carte da parati in rotoli, manifestazioni pubbliche (Suoni e luci al Foro Romano, Suono e luce al Valentino di Torino, Feste del Redentore a Venezia) e voli Swissair e TWA per New York. Piombava poi, inimmaginabile, il televisore, per molti anni ancora in bianco-nero, reo, “ab initio”, di aver concentrato in sé l’attenzione di tutti facendo sparire la conversazione familiare.
Fuori casa, intanto, la “città moderna” offriva da tempo, di notte, lampioni pubblici non a gas ma elettrici, e più di recente insegne di negozi con luci fluorescenti; e a casa, cucine a gas o elettriche e persino lavatrici e lavastoviglie casalinghe; non più stanze cucine-pranzo, ma sale da pranzo con soggiorno; non più grammofoni a manovella alimentati di belle musiche con dischi a 78 rpm (“revolutions per minute”), ma, come si è detto, TV “ultimo modello”.
La Tipoteca Italiana di Cornuda – fondazione privata delle Grafiche Antiga, creata nel 1995 con l’intento di promuovere la cultura tipografica, e che ha contribuito fattivamente a sviluppare il progetto della mostra – è situata nell’edificio dell’antico Canapificio Veneto. Nei suoi interni è ambientata l’enorme varietà storica di macchine da stampa; e sono in armonia, accanto a esse, i manifesti e le locandine selezionati a seconda degli inchiostri usati, dal titolo Colori per scrivere, stampare, leggere; visti quale medium di studio delle caratteristiche atte a garantire le migliori rese cromatiche nella stampa dall’originale dell’artista e in relazione ai tipi di carta disponibili.

A far pensare quanto valga sul piano internazionale l’esistenza del Museo Salce, basta una considerazione: se nei ventisette altri Paesi dell’Unione esistessero istituzioni analoghe, capaci di “parlare” un medesimo linguaggio, la banca dati trevigiana risulterebbe avere un peso inestimabile.
Accompagna la mostra una pubblicazione con un contributo di Manlio Brusatin e ricerche iconografiche di Valeria Arena, per i tipi di Grafiche Antiga. Nel testo l’autore conclude:
Che cosa sia il colore non ha ancora una precisa risposta: sappiamo però che cosa potrebbe succedere se improvvisamente ci capitasse di non vedere più i colori. Il colore, rispetto alla normale visione animale e umana, non è soltanto un fenomeno della luce ma una percezione dei nostri occhi e un’elaborazione del nostro cervello.


COLORE COME ILLUSIONE. GRAFICA, PUBBLICITÀ, MANIFESTO
Museo nazionale Collezione Salce – Treviso
Tipoteca Italiana – Cornuda (Treviso)
7 dicembre 2019- 19 aprile 2020

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