[CHIETI]
Dalla paglia alla carta. Addio legno e lunga vita agli alberi, non più condannati a essere ridotti a involucri o a fogli di giornale o di libri. La tecnologia c’è. Un’azienda svedese, la Essity, sta avviando a Mannheim, in Germania, uno stabilimento per la lavorazione della paglia da grano. E dire che in Italia diversi decenni fa – anzi, ormai quasi un secolo fa – era già in funzione una grande cartiera che produceva la cellulosa per la carta ricavandola da fibre vegetali povere come paglia e sparto. Il procedimento, brevettato negli anni Venti, era chiamato metodo Pomilio, dal nome dei fratelli Pomilio, teatini. Undici figli, nove dei quali maschi,
che, a eccezione di Federico, diventato avvocato, costituirono quel coacervo di personaggi geniali, creativi e imprenditorialmente intraprendenti che fu la famiglia Pomilio nella prima metà del Novecento,
come si legge nell’Enciclopedia Treccani.
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Una dinastia abruzzese che ha dato impulso e lustro allo sviluppo industriale dell’Italia novecentesca, insieme ad altri abruzzesi fuori del comune, come Corradino D’Ascanio, l’inventore dell’elicottero e della Vespa.
Imprenditori idealisti, i Pomilio. Ma concreti. E lungimiranti. Capaci di lasciare il segno in settori strategici, agli inizi del Novecento, come l’ingegneria aeronautica e la chimica, in Italia ma anche oltreoceano, in America.
Tra tutti Ottorino. Dopo un periodo esaltante nel campo allora pioneristico dell’aviazione, passa a quello della chimica, settore nel quale due dei fratelli Pomilio, Umberto ed Ernesto, avevano già ottenuto un qualche successo. Mettono a punto il metodo Pomilio, e la sua applicazione industriale è agevolata anche dalla politica autarchica del regime fascista.

Nascono due stabilimenti, la Cellulosa d’Italia (Celdit) a Chieti, a Madonna delle Piane, nella vallata del fiume Pescara. La mitica Teate fondata, secondo leggenda, dell’eroe omerico, Achille. L’altro a Foggia, nel mezzo del Tavoliere, granaio d’Italia, in seguito passato al Poligrafico dello Stato.
La Celdit apre nel 1938 e va in funzione nel 1940, fabbrica solitaria circondata da campi coltivati e punto di passaggio di greggi, in un Abruzzo che d’industria ha poco o niente. Vicino sorgerà il quartiere residenziale per gli operai, il Villaggio Celdit, costituito da quarantotto palazzine bifamiliari, a due piani, con giardino e orto, e poi una piazza centrale con intorno tre palazzine, di cui una con porticato, che la chiudevano da tre lati e con altri due edifici, con più appartamenti sul lato della strada statale Tiburtina Valeria. Il “Villaggio della fabbrica di papà”, come lo chiamavano i figli degli operai.
La fabbrica arriverà a contare un migliaio di dipendenti.
Con la guerra la Celdit chiude. Riapre nel 1948 con una linea produttiva acquistata con i fondi americani del piano Marshall. Nello stabilimento entra in funzione l’impianto di cartiera, e si realizza così il vecchio progetto dei Pomilio di creare una fabbrica a ciclo di lavorazione completo, dalla materia prima, la cellulosa, al prodotto finito, la carta.
Lo stabilimento sorge su un terreno di 42 ettari di estensione, con una previsione di 400-450 posti di lavoro tra impiegati, tecnici e operai. Era prevista una lavorazione potenziale di cinquecento quintali al giorno di paglia, per un consumo annuo di circa 500.000 quintali, raccolti in Abruzzo, nel Tavoliere delle Puglie, nella Pianura Padana, trasportati via ferrovia e con automezzi adeguati, per essere immagazzinati in ampi capannoni nel cosiddetto “Parco Paglia”, a ridosso nell’impianto di produzione della cellulosa, in un’alta torre intonacata, denominata “balena bianca” per le sue caratteristiche che hanno costituito per settant’anni parte dell’ambiente e del paesaggio della vallata della Pescara.

La Celdit si sviluppa, grazie anche all’installazione di tre macchine continue per la produzione della carta e di tre patinatrici. Tra l’altro, proprio con Mannheim, con la Basf, si stabilisce un proficuo rapporto di collaborazione, grazie al chimico napoletano Gabriele Moltedo, a cui si devono la ricerca e sviluppo della pregiata e rinomata carta patinata Celdit (De Agostini era tra i clienti principali).
Con il miracolo economico, s’espande la produzione, s’intensificano le lotte sindacali, tante donne iniziano a lavorare in cartiera e intorno alla Celdit nascono altri stabilimenti, lo zuccherificio, la camiceria Marvin-Gelber, tremila dipendenti, una trafileria, poi la Farad, radiatori, la Richard Ginori, porcellane e cristallerie, la Tegolaia. Anche grazie agli aiuti della Cassa del Mezzogiorno.
Dopo settant’anni di attività e diverse vicissitudini gestionali, lo stabilimento chiude, ed è quindi abbattuto, nell’ottobre 2008, senza lasciar alcuna traccia, se non un’ala degli uffici amministrativi e la villetta residenziale del direttore, con l’alienazione di tutti i macchinari, con 250 lavoratori rimasti senza occupazione, posti in mobilità, in attesa di raggiungere il pensionamento, essendo soltanto vacue promesse le prospettive di futura assunzione in un progetto “InTe” (Innovazione e Tecnologia), rimasto purtroppo solo sulla carta (non quella della Cartiera Celdit!).

In un’area un tempo ad alta presenza operaia oggi c’è una sede universitaria, la Gabriele d’Annunzio, e di questo vive l’attuale comunità di Madonna delle Piane e del Villaggio Celdit. Vive soprattutto dell’indotto prodotto dalle attività dell’ateneo, dai servizi e alloggi per studenti, docenti, dipendenti e famiglie. Molti di loro non sanno neppure che in tempi neppure lontani c’era una grande fabbrica, con intorno altre fabbriche, un polo, di tutto rispetto, di produzione e cultura industriale e operaia. Non lo sanno perché, radendo al suolo la Celdit, ne hanno raso al suolo anche la memoria.
Come tutti, in questa Vallata della Pescara, da Gabriele d’Annunzio cantata nella sua opera letteraria Le novelle della Pescara, credevo la Cartiera Celdit, poi Cir-Burgo-Marchi, fosse mitica, indistruttibile, immortale, una super fabbrica facente capo alla Marvell, e invece la Cellulosa d’Italia non esiste più. Al suo posto non rimane che una brughiera di arbusti e piante, un vuoto industriale, urbanistico e sociale, nonché culturale. Lo “stabilimento dei nostri papà”, nel 2008, è stato chiuso e, in quattro e quattr’otto, raso al suolo.
La fabbrica difesa mille volte dal movimento operaio in infinite vertenze sindacali è stata così lasciata sola e abbandonata al suo tragico destino tra la miopia politica e istituzionale di quegli anni. E poi la “morte”. Sta di fatto che con la “morte” dello stabilimento, si è dato il colpo finale a una bellissima avventura industriale e sociale, durata settant’anni, con migliaia e migliaia di posti di lavoro creati, e infine buttati alle ortiche.
Di qui l’esigenza, l’idea, di dare vita a un luogo che ne serbi e valorizzi la memoria.
Nel 2014 il Centro studi Domenico Spezioli ha proposto alle istituzioni, enti e associazioni di elaborare assieme il progetto che ha chiamato “Celdit Museum”. Uno spazio museale della carta, della stampa e della memoria collettiva, con l’obiettivo di favorire e sostenere iniziative di promozione scientifica e culturale con seminari, convegni di studio, ricerche storiche e pubblicazioni, attraverso anche la condivisione di organi pubblici e privati quali sponsor dell’istituzione museale e delle sue attività.
Un museo che vuol essere un importante laboratorio artigianale e artistico, inserito a pieno titolo nell’Associazione italiana dei musei della stampa e della carta, con l’obiettivo di dare un contributo alla riqualificazione della città, riannodare i legami sociali e urbanistici tra Chieti e Chieti Scalo, e recuperare un patrimonio culturale importante, creando un legame con il Centro museale polivalente (ex Burgo) di Toscolano Maderno.
La Burgo, l’ultimo gruppo industriale a gestire la Celdit, avrebbe il dovere morale (ma è anche nel suo dna di gruppo che “dialoga con l’arte”) di prendere in considerazione la richiesta di una comunità sociale e culturale che chiede di conservare almeno la memoria di una grande eccellenza industriale, mettendo a disposizione della città di Chieti un locale per la realizzazione del museo.

Con la mostra fotografica organizzata con tantissime associazioni cittadine, dal 21 al 27 novembre 2019 alla Bottega d’Arte della Camera di Commercio di Chieti e intitolata “Celdit la Fabbrica Totale dal Villaggio al Museo”, il Centro Domenico Spezioli ha ufficialmente lanciato la proposta del Celdit Museum. Alla presentazione dell’evento, tra le personalità del mondo culturale e sociale della città, anche il presidente della Fondazione Bruno Buozzi, Giorgio Benvenuto, già segretario generale della Uil nazionale.

Ugo Iezzi è autore de Il Villaggio della Fabbrica di Papà (Tabula fati, Chieti, 2019) dedicato alla vicenda della Celdit.

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1 commento
La cultura museale è lodevole e utile a conservare e trasmettere la memoria del passato.
Tuttavia, se i contemporanei abruzzesi e italiani tutti , ricominciassero a credere nella possibilità di ridare vita concreta a quanto in passato i loro e i nostri padri hanno saputo fare,non sarebbe meglio???
È utopia, pura follia???
Non credo…