A volte in politica vincono pragmatismo, realismo e buon senso. È il caso della Spagna, che si prepara in questi giorni a dare il via all’esperimento del primo governo con asse molto di sinistra fondato sul rapporto tra socialisti del Psoe, Podemos, Esquerra republicana di Catalunya e alcune liste regionali. La crisi istituzionale spagnola (ripetute elezioni politiche in pochi anni) e quella della incomunicabilità a sinistra si risolve nel migliore dei modi.
Il coinvolgimento dei catalani, nonostante le resistenze dei gruppi indipendentisti più oltranzisti di sinistra, è un ottimo segnale per riavviare la “questione catalana” sui binari del dialogo politico, che deve passare inevitabilmente da un indulto per quanti sono stati condannati – con pene severissime – al carcere in quanto fautori della secessione. L’accordo di governo favorisce la soluzione politica tendenziale del conflitto.

Quanto avviene a Madrid e Barcellona è molto importante anche fuori dai confini spagnoli. Di fronte alle minacce di destra – che in Spagna si chiamano Vox e neofranchismo – la sinistra è chiamata a rinnovarsi e a trovare un indispensabile comun denominatore, pena la sconfitta ulteriore. Certo l’accordo Psoe-Podemos poteva arrivare prima, già nella scorsa estate e senza ennesime elezioni che hanno indebolito la stessa sinistra, se le rigidità di socialisti e nuova sinistra fossero state smussate. Ma tant’è. L’importante è che ci sia.
E, da quanto traspare dalle indiscrezioni dei giornali iberici, l’accordo di governo si annuncia molto avanzato e coraggioso: nuovo sistema di tassazione in modo da colpire rendite e privilegi, riforma del mercato per rendere meno precario il lavoro, tutela dell’ambiente come bussola, ulteriore democratizzazione della società con nuove leggi sui diritti civili.
Vedremo nel dettaglio. Gli assaggi di programma fanno tuttavia ben sperare. Ci sarà pure una commissione collettiva che s’impegnerà a verificare l’attuazione programmatica. Si capisce allora perché la destra spagnola stia affilando le unghie in vista di una durissima opposizione che riaccende le storiche divisioni. La competizione sarà nuovamente tra valori e modelli sociali, come dovrebbe essere sempre in politica. Destra e sinistra tornano a fronteggiarsi.
Due ultime considerazioni. La prima: vengono smentite le cassandre che parlavano di agonia irreversibile del socialismo europeo, di “socialisti iene” preoccupati solo di levar sangue alla sinistra radicale (quasi una nuova versione della terribile teoria del “socialfascismo”). Il socialismo europeo è certo in crisi (vedi la recente sconfitta dei laburisti in Gran Bretagna), ma qui e là manifesta sintomi di reazione (è il caso di Spagna, Portogallo e forse della Germania dove i socialdemocratici della Spd tentano una difficoltosa rifondazione). Laddove affiorano tali sintomi vanno valorizzati per quello che sono.
Seconda considerazione: la Spagna dimostra che le due sinistre sono essenziali l’una all’altra, pena l’inutilità dell’una e dell’altra. I socialisti avevano come un’unica alternativa all’unità con Podemos quella dell’alleanza innaturale con la destra del Partido popular o di Ciudadanos. L’alternativa per Podemos era invece l’isolamento politico, seppure “coerente” con astratti principi.

Ha prevalso, una volta tanto e per fortuna, il realismo della politica e il suo pragmatismo, seppure con la sofferenza dei contraenti dell’accordo di governo. La politica è anche mediazione per il bene comune.
Bisogna infine dare atto a Pedro Sánchez, futuro premier di Spagna, segretario del Psoe, e a Pablo Iglesias, possibile vicepremier, di aver avuto saggezza e intelligenza nel deporre le armi della polemica preconcetta in favore dell’accordo utile a entrambi e alla società spagnola. Dalle prossime settimane la Spagna ridiventa perciò un importante laboratorio della sinistra europea e dei suoi leader.

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