Le lacrime di Ana Vidal, i fiori e l’omaggio dell’aula alla deputata di Unidas Podemos di Barcellona, presente al voto malgrado sia malata di cancro; quelle di Pablo Iglesias, che rompe in singhiozzi abbracciando il fedelissimo compagno di partito Pablo Echenique; il “ritiro” dei deputati socialisti, tutti precettati sin dalla notte di ieri a Madrid a evitare problemi nei collegamenti; l’applauso liberatorio quando il conteggio ha reso chiaro che tutto era andato come doveva e che, seppur per due soli voti, il primo vero governo Sánchez poteva iniziare il suo cammino.
Sono queste alcune delle istantanee che si ricorderanno del varo di un governo che si può tranquillamente definire storico. Perché il Gobierno de la Coalición Progresista è il primo governo di coalizione della recente democrazia spagnola, bisogna risalire alla seconda Repubblica per un precedente. Perché è un governo progressista, che vede la coalizione tra la sinistra “storica” del Psoe e quella “nuova” di Unidas Podemos. Ma, soprattutto, perché arriva nel punto più alto di una crisi che in Spagna si trascina da anni. Una crisi profonda della quale la questione catalana è una conseguenza, non una premessa; un sintomo, non la malattia. Una crisi che colpisce tutta la democrazia spagnola, i suoi partiti, le sue istituzioni, le componenti della “società civile”. A essere in crisi è l’impianto della Spagna democratica nata nel 1978, la Spagna delle Autonomie.
La nascita di questo governo ha un segno chiaro. Prende atto della crisi di sistema, a partire dalla fine del bipartitismo, con la costruzione di una coalizione. A noi italiani sembrerà poca cosa ma se si pensa a quanto ha sacrificato Sánchez nella ricerca di un monocolore si può capire quale cambiamento sia per la politica spagnola questa evenienza. Prende atto anche della necessità di uscire dallo stallo determinato dalla crisi catalana. Riportare alla politica quanto la politica ha deciso colpevolmente di consegnare alla giustizia, derogando alla sua responsabilità costitutiva: la rappresentazione, la gestione e la soluzione dei conflitti nelle democrazie.
Sarà un cammino accidentato. Il dibattito di investitura ha fatto vedere quale attitudine terranno i partiti di opposizione. Lo schiacciamento a destra del Partido popular sembra continuare, quello di Ciudadanos pure. Il “Costituzionalismo”, una costruzione di José María Aznar, la lettura della Costituzione spagnola nel senso più conservatore possibile in opposizione all’azione eversiva dell’Eta, che tanta influenza ha avuto anche a sinistra, è il terreno ideale per unire la voce del centrodestra spagnolo a quella di Vox. Le destre spagnole vanno unite ma questa unione vuole il sacrificio di Ciudadanos: il nuovo partito liberale che si sperava macroniano è scivolato nelle sabbie mobili della destra riducendosi alla testimonianza.
Le grida di “Viva la Spagna”, “Viva il Re”, “Viva la Costituzione”, la denuncia dell’illegittimità del governo e del suo presidente, gli epiteti di “assassino”, “traditore”, “terroristi” e “golpisti” urlati dai banchi delle destre anticipano il clima. È stato, ancora una volta, il portavoce del Partido nacionalista vasco (Pnv), Eitor Sebastian, schierato solidamente al fianco del governo, a disarmare l’uso strumentale della Corona, colpendo duramente, a giudicare dalle espressioni dei leader delle destre.
Bel favore fate al Re. Tentate di mettere in contrasto il capo dello stato col capo del governo, un governo “illegittimo”, dite, che cospira contro le basi dello Stato. Ma se stiamo qui a votare la candidatura del signor Sánchez è perché l’ha voluto il Re. Perché nel giro di consultazioni era conosciuto l’accordo tra Sánchez e Iglesias e il Re ha proposto come candidato il supposto “fellone”.
Il governo nasce debole, con due soli voti di vantaggio, un’opposizione irriducibile, un terreno di manovra, dato dalle astensioni “benigne” di Esquerra republicana de Catalunya e di Bildu, l’estrema sinistra nazionalista basca, molto ridotto e dalla fragile tenuta. Soprattutto in Catalogna sarà molto difficile per Erc gestire l’appoggio al governo, tanto più se il governo di unità indipendentista della Generalitat, come parrebbe probabile, entrerà in crisi riportando l’autonomia al voto.
Il tavolo fra Gobierno e Govern nascerà con l’opposizione di Junts pel Cat (JxC) di Carles Puigdemont o, peggio, con una partecipazione tesa al boicottaggio. Navigando sull’onda delle contraddizioni tra le deliberazioni della giustizia spagnola – che s’accaniscono su suoi componenti come il presidente della Generalitat, Quim Torra – e quelle della giustizia internazionale, JxC tenterà in tutti i modi il prosieguo dell’eccezionalità democratica derivante dallo scontro tra nazionalismi, almeno fino a quando le urne premieranno questa condotta.
“L’indipendentismo pragmatico”, col quale Erc descrive l’apertura del dialogo – e quindi sancisce la rottura, e il fallimento, della via unilaterale alla base della deriva indipendentista catalana – è l’obiettivo di JxC. L’affrancamento dall’angusto recinto del Costituzionalismo di Pedro Sánchez è l’obiettivo delle destre – del Pp, di Vox naturalmente, e malgrado mal riposte speranze internazionali anche di Ciudadanos – e pure, attenzione, di una parte del Psoe. La comune volontà del centrodestra nazionalista catalano e del centrodestra “costituzionalista” spagnolo di impedire che il tavolo tra governi funzioni, sarà il primo enorme scoglio sulla strada dell’esecutivo. È la manifestazione, ripetuta fino allo sfinimento, delle “due Spagne” contrapposte in un insanabile scontro di principi assoluti, il principale nemico con cui si dovrà confrontare questo governo. Eppure quello tra la España plural e la España única è un contrasto che ritorna sempre nella vicenda spagnola, almeno dal Novencento.

È stato detto, con volontà denigratoria, che questo è il governo del “tradimento”. “Traditore della patria” è stato scritto sui muri della casa di un deputato della lista di Teruel Existe, mentre telefonate e email tempestavano i suoi famigliari e il ministero dell’Interno lo metteva sotto protezione. “Puttane traditrici” è stato scritto in centinaia di email arrivate alle deputate socialiste. Eppure è proprio di traditori che la Spagna ha bisogno adesso, ha detto qualcun altro. Questo governo, la crisi spagnola, richiede cambi di paradigma profondi che sono necessari a tutto il paese. Richiede a Erc di tradire il fronte indipendentista, richiede a Pedro Sánchez di tradire il Costituzionalismo. Richiede a Podemos di tradire il massimalismo. Servono, anzi, altri traditori. Serve, innanzitutto, un traditore a destra. Non è pensabile che le riforme necessarie nel prosieguo dell’azione di governo si possano fare senza una parte della componente conservatrice della società spagnola. Come, in Catalogna, servirà qualcuno che rompa il fronte in JxC, o da quelle parti, di modo da costituire un polo di attrazione. Ma festeggiamo che in Spagna sia in atto un tentativo che tradisca quelle dinamiche che hanno portato il paese sull’orlo del caos. Ora sta a Pedro Sánchez, che è riuscito a costringersi a un governo di sinistra come unica opzione possibile per il paese, che forse sta guardando a Adolfo Suàrez. L’uomo che traghettò, dal governo, la Spagna dalla fine del franchismo alla democrazia fu descritto da molti come un grande traditore. Del franchismo, del regime in cui si era formato, tradito per dare al paese una direzione diversa e necessaria. Riuscirà Sánchez a essere il grande traditore della Spagna delle Autonomie, il novello Suàrez in grado di portarla oltre la sua crisi?
Nella foto d’apertura il Re di Spagna Felipe de Borbón y Grecia firma, in presenza della presidenta del Congreso de los Diputados, Meritxell Batet, il Real Decreto di nomina di Pedro Sánchez Pérez-Castejón a Presidente del governo.

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