Si schermiva, Italo, quando gli dicevo che era stato il miglior anchorman dei suoi tempi, e non solo dei suoi tempi. Come conduceva lui il telegiornale, era da grandissimo professionista. Tranquillo e autorevole, empatico e simpatico, Italo Moretti bucava lo schermo con mitezza, porgeva notizie con naturalezza e introduceva i servizi dei colleghi con l’elegante scioltezza di un direttore d’orchestra. Era come se il video fosse parte del suo corpo, e viceversa. Moretti era la Rai al suo meglio. Quando la Rai era tra le migliori industrie culturali e informative del mondo.
Gli sembrava strano che l’elogiassi per questa parte della sua carriera, ma ne era contento. Che fosse stato un grande inviato speciale, bravo, coraggioso, lo sapevano tutti. Però era andato perduto nel tempo il ricordo del suo periodo come conduttore di tg.
A Europa, il quotidiano diretto da Stefano Menichini dove aveva ripreso a fare il giornalista come collaboratore delle pagine di politica internazionale, con la stessa bravura, competenza e impareggiabile conoscenza dei tempi televisivi, l’accoglievamo ogni volta che veniva in redazione con il riguardo che si deve a un collega più anziano di chiara fama. E lui, allampanato e sorridente, si ritrovava tra noi, discuteva con noi, qualche volta partecipava alle riunioni di redazione con la normalità che era il suo tratto, con la normalità di chi era stato sempre con noi. Lasciandosi qualche volta andare ai ricordi di vicende del passato con la complicità di Federico Orlando, anche lui grande giornalista.

Era nato nel 1933 a Giulianova, in Abruzzo, ma era di famiglia umbra. Gli raccontai della mia ex-suocera, Tecla, anche lei Moretti, anche lei umbra. “Ah, sì mia cugina! Portale i miei saluti”, e s’animava, raccontando delle vicende della famiglia e degli umbri, gente riservata, quasi anaffettiva, diceva lui, che era persona espansiva. E in Umbria aveva iniziato la carriera, giovanissimo, prima in redazioni locali poi nella sede Rai, per poi trasferirsi definitivamente, e volentieri, a Roma, nel 1966, nel Giornale Radio.
Moretti apparteneva a una generazione di giornalisti – era l’epoca della televisione in bianco e nero che lasciava il campo al colore, ed era l’epoca dell’egemonia della Dc (fanfaniana però) – che facevano un ottimo giornalismo d’inchiesta che poi non si è più fatto così. Erano gli anni di Tv7, di giornalisti e autori come Sergio Zavoli, Raffaele Siniscalchi, Carlo Fido, Tito Cortese, Gianni Bisiach. Di inviati davvero speciali come Moretti.
Nel 1968 inizia la sua esperienza professionale in America Latina. Cile, Argentina, Uruguay. Nel settembre del 1973 è tra i primi inviati ad arrivare a Santiago dopo il golpe di Pinochet. Nel 1976 passa al Tg2, direttore Andrea Barbato, continuando a seguire il Sud America ma anche Portogallo e Spagna. E inizia la conduzione dell’edizione principale del telegiornale. Alternando la conduzione con missioni all’estero.
Moretti segue le vicende argentine – i desaparecidos – quelle cilene, nicaraguensi, la guerra civile nel Salvador. Nel 1987 è vicedirettore del Tg3, ne assume poi la direzione nel 1995, quindi dal 1996 al 1998 è condirettore della Tgr, la testata giornalistica regionale della Rai.
Diversi i premi e i riconoscimenti, italiani e internazionali, ottenuti durante la sua carriera, tra cui il Premio Saint-Vincent, assegnato per la cronaca di una sciagura aerea avvenuta nello scalo di Addis Abeba, e della quale fu uno dei pochi superstiti. Numerosi i saggi, dedicati alle questioni latinoamericane. Moretti era anche presidente della giuria del Premio giornalistico televisivo Ilaria Alpi, un caso che ha seguito sempre con tenacia, impegno e passione.
Italo è morto giovedì mattina. Ai familiari il cordoglio e la vicinanza di ytali.com

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