Come i processi di globalizzazione impattano sui sistemi industriali, nazionali e locali, alla prova dei nuovi competitor, così le economie urbane subiscono gli impatti che la redistribuzione globale dello sviluppo e dei redditi produce a livello locale. Se guardiamo oltre il contingente, ci accorgiamo che Venezia si misura con gli effetti che processi di più larga scala hanno impresso sulla sua economia, nel passaggio da un’economia industriale a un’economia post industriale. In particolare quella turistica.
Non come frutto di un progetto, ma di un processo di sostituzione che andava spontaneamente compensando per un verso ciò che da un altro si perdeva. Non necessariamente per incapacità ma per cambio di paradigma imposto dal mercato e implicitamente accetto in assenza di alternative.
Due le componenti di “successo” per la città. Il suo indiscusso appeal su scala internazionale e la dotazione di infrastrutture – porto e ferrovia prima, aeroporto e autostrade poi – che ne fanno da oltre un secolo il luogo più accessibile di un’intera macroregione, il Nordest.
Primo concreto effetto è lo spostamento degli interessi dall’area industriale all’area urbana, città storica in particolare, e lungo gli assi in cui scorrono e s’incrociano i flussi crescenti di persone e di merci. In particolare verso e entro la città insulare, dove la mobilità costituisce un business a sé, come variante di un settore commerciale che si diversifica tra ricettività, ristorazione, acquisti, tour di massa, visite guidate, e appunto trasporto, sempre più tra loro interconnessi da legami più o meno espliciti e da investimenti sempre meno tracciabili.
Una forma di economia turistica esuberante sostenuta da numeri crescenti, come crescenti sono i redditi prodotti in molti paesi emergenti che l’alimentano, favorendo l’ingresso sulla scena di protagonisti della finanza turistica internazionale, dagli alberghi di alta gamma alle catene low cost, al crocierismo di massa. Quello che a Venezia trova le condizioni per un home port irrinunciabile, come la Marittima, per le esternalità logistiche e ambientali che offre, a basso costo economico ma ad alto costo ambientale.
Per finire, con l’ingresso dirompente della sharing economy promossa da Airbnb per favorire l’incontro di una duplice domanda: quella di un turismo da ceto medio internazionale che trova riscontro nell’offerta di un ceto medio locale per integrare il reddito sul mercato degli affitti brevi. Quelli che alla fine espellono dalla locazione urbana il ceto medio esistente che viene periferizzato e sospinto verso un indistinto entroterra metropolitano.
Una rivoluzione economica, sociale e spaziale che impatta sulla tradizionale compagine locale, sconvolgendone gli assetti, i comportamenti e le aspettative di vita.
Sulle nuove tendenze dei comportamenti promossi dal mercato del turismo urbano s’innesta, così, il più recente progetto di un sindaco imprenditore dell’entroterra veneziano, che interpreta e fa lucidamente propria una specifica idea di città, esattamente corrispondente alla domanda turistica, locale ed esterna.
La monocultura turistica nella forma dell’overturismo come pilastro della locale economia, con la frammentazione dei ruoli sociali che comporta, trova nel potere amministrativo locale la piattaforma ideale per una corrispondenza diretta tra comportamenti elettorali e aspettative degli interessi emergenti.
Il focus dell’amministrazione si trasferisce drasticamente dal cittadino generico al piccolo investitore nei servizi al turismo, che diviene protagonista del consenso necessario a completare la transizione dall’industriale al postindustriale del turismo urbano.

Accessibilità urbana e monòpoli urbanistico
L’insularità di Venezia, pregio e vincolo della sua anomala condizione urbana, nel tempo ha più volte individuato l’accessibilità alla città insulare come il limite allo sviluppo di una moderna e bilanciata economia locale, ricorrendo a espedienti infrastrutturali per superare l’isolamento e ricondurre a normalità l’anomalia veneziana. Con l’economia turistica questa visione si ripropone rafforzata.
La tesi di un più efficiente scambio tra terraferma e città insulare, per soddisfare la crescente domanda di accesso esterno e di mobilità intracomunale, si misura oggi con i trenta milioni di presenze, per almeno due terzi escursionistiche, ma allude con chiarezza a una ulteriore crescita. Negata a parole e perseguita nei fatti.
La narrazione infrastrutturale delinea così un ideale accerchiamento della città insulare da ogni lato proponendo:
- Il raddoppio del ponte stradale translagunare (2019)
- Cinque terminal acquei lagunari: Fusina, San Giuliano, Tessera, Montiron, Punta Sabbioni (2019)
- La sub lagunare Tessera – Fondamente Nuove – San Nicoletto (Lido)
- Un nuovo Porto crociere marittimo a San Nicoletto
- La seconda pista all’Aeroporto Marco Polo
- La stazione sotterranea Alta Velocità al Marco Polo, declassando Venezia da stazione di testa nazionale;
- Una teleferica Aeroporto – Fondamente Nuove.
La ridondanza delle proposte, che in gran parte s’elidono a vicenda senza disporre di alcuna valutazione di fattibilità, rivelano in realtà due aspetti: il ricorso a fantasiose narrazioni per risolvere i problemi e la certezza che nessun intervento sarà mai realizzato. Ma intanto serve a giustificare la crescita degli accessi turistici.
In contrasto con le fantasie infrastrutturali emerge, invece, la concretezza del monòpoli urbanistico pilotato dal turismo, che discende direttamente dalla potestà di arbitrio municipale sui cambi di destinazione d’uso dei suoli urbani, mentre la crescita dei flussi provvede a definire la gerarchia dei luoghi vocati agli investimenti dell’economia del turismo urbano in terraferma.
Tre capisaldi per strutturare il disegno: l’intero terminal insulare veneziano, con Ferrovia e Piazzale Roma; la testa di ponte di San Giuliano; la stazione di Mestre.
Abbandonando la tradizionale idea dell’equilibrio insediativo tra città d’acqua e città di terra, con l’asta translagunare che raccoglie e ridistribuisce a ventaglio i flussi tra entroterra e laguna, è proprio sull’intersezione tra la assialità translagunare e la gronda di San Giuliano che si trova il motore e lo snodo di una trasformazione urbana destinata a estendersi, da nord a sud per quindici chilometri, tra Tessera e Fusina.
In pratica l’intera gronda lagunare veneziana viene concepita come un continuo turistico ricettivo commerciale, sportivo ricreativo e nautico crocieristico. Un vasto waterfront aperto agli investimenti del mercato immobiliare utilizzando i residui greenfield di gronda o convertendo i vecchi brownfield industriali di Marghera.
Protagonista e primo sponsor del disegno un “pragmatico” sindaco che, nella duplice veste di amministratore e d’imprenditore, propugna una sorta di congestionata implosione urbana, concentrando gli interessi immobiliari lungo la gronda lagunare dirimpettaia di Venezia anziché prospettare le relazioni funzionali di Mestre ad agganciare il retroterra metropolitano veneto.

Il traino dell’economia turistica
Il capoluogo della prima regione turistica italiana è dunque, istituzionalmente, una città metropolitana che definisce la propria missione col turismo. Non è un’ovvietà, bensì una scelta rinunciataria e subalterna che nell’immobiliare identifica il veicolo della propria economia, qualcosa che esalta la rendita mentre si sottrae alla concorrenza.
È totale sintonia con una regione che al turismo assegna il traino del proprio futuro, dopo che la crisi economica dal 2008 ha decimato la platea delle pmi mentre i successivi scandali gestionali delle maggiori banche hanno azzerato la finanza “territoriale”, aprendo vaste sacche d’indigenza dove prima si scorgevano i segni della moderata opulenza delle province industriali.
Per la Regione questo significa attribuire all’eredità paesaggistico-ambientale il compito di generare diffusi processi di produzione di reddito, conferendo ai territori l’opportunità di intraprendersi come operatori turistici al traino di vecchi e nuovi brand dotati del marchio Unesco, come Venezia, Dolomiti, Prosecco, e in futuro altro ancora. In pratica una conversione economica che invece che esportare manufatti punta a importare visitatori, sponsorizzando i valori posizionali del proprio territorio, e delegando ad altri di sostenere l’innovazione competitiva industriale e terziaria propria delle regioni avanzate.
Niente di meglio che la città capoluogo, Venezia, unico brand che in realtà identifica il Veneto nel mondo, si rinchiuda con soddisfazione dentro una propria capsula turistica che grazie alle sue infrastrutture polarizza i flussi in arrivo per proiettarli sull’entroterra, a complemento di grandi eventi internazionali. Da cui anche una sorta di nuova antinomia geografica come le “Olimpiadi invernali di Venezia e Milano” del 2026.
Ma la monocultura veneziana, ridotta al ruolo ancillare di fornitrice di servizi turistici alla regione, deprime drasticamente la qualità dell’economia urbana, schiacciandola sul più basso livello della domanda di lavoro tra le città venete del limitrofo entroterra metropolitano (nota 1). Quelle che godono di economie industriali e terziarie, che competono ed esportano, e che in realtà trarrebbero vantaggio dall’esistenza di una vera polarità metropolitana di rango internazionale per il Nordest.

Internazionalità veneziana e progetto metropolitano
La risonanza internazionale dell’“Acqua granda” del 12 novembre 2019, con tutti i danni materiali arrecati alla città storica e il contemporaneo tracollo del turismo, ha portato in luce due questioni centrali. La fragilità della monocultura turistica che svuota la città di fronte a un evento imprevisto, e la dimensione internazionale della salvaguardia di Venezia sottratta alla fagocitante mediocrità del bricolage turistico quotidiano.
Di questa salutare sferzata alla vigilia delle elezioni amministrative non sembra si sia colta a fondo l’opportunità per imporre alla città una nuova agenda basata sul potenziale innovativo di una condizione pioniera che concretamente sperimenta su sé stessa gli effetti del cambiamento climatico, a partire dai livelli marini che la sommergono.
Di qui un necessario salto di qualità nella narrazione politica locale, cui spetta il compito di riportare il confronto ai fondamenti di un’idea di città protagonista che nell’innovazione voglia farsi protagonista e non succube di una paralizzante platea di rendite immobiliari e di servizi turistici di basso livello.
Non è certo la compagine amministrativa in carica che ha l’interesse, né tantomeno la capacità, d’introdurre una piattaforma politica di questo tipo, quanto la parte sfidante che deve ritrovare il senso vero della propria missione politica riportando Venezia a dialogare con quella parte del mondo dell’innovazione che oggi si misura con la sfida ambientale.
È questa la strada di una sintonia da promuovere assieme alle componenti innovative del Veneto metropolitano, quelle che soffrono la mancanza di una vera centralità di riferimento internazionale, visibile e attrattiva, e hanno la necessità di proporla alla diffusa compagine che quotidianamente si cimenta con le componenti avanzate dell’economia contemporanea.
Nell’ambito di un progetto metropolitano condiviso con le altre città del Veneto centrale, Venezia può offrire argomenti e risorse di immagine necessarie per un esplicito posizionamento internazionale, purché devii dal decadente offrirsi al turismo di massa e si apra a un dialogo con l’Europa e le sue istituzioni centrali e periferiche sul tema dell’ambiente.
Esistono luoghi che nella loro storia urbana hanno acquisito un valore simbolico e nella modernità hanno l’opportunità di dare continuità al senso del loro passato, riproponendosi come protagonisti rispetto alle nuove domande del mondo attuale. Venezia è uno di questi.
Non cogliere questo passaggio è abdicare a una responsabilità.
nota (1)
G. Fabbri, F. Migliorini, G. Tattara. Venezia, il dossier Unesco e una città allo sbando. Venezia 2019
Luca Romano. L’altra faccia dei giovani in fuga (estratto). Lanservizi, Padova 2019

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