“I due Pansa che ho conosciuto”

La vita in due parti tra loro opposte di un maestro del giornalismo, scomparso domenica 12.
ALDO GARZIA
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Giampaolo Pansa è stato a lungo un collega più anziano da cui imparare. Lo ricordo negli anni Ottanta, quando insieme ad altri s’andava nella tribuna di Montecitorio riservata ai giornalisti. Noi non potevamo neppure accavallare le gambe per un regolamento sabaudo e regio, mentre a lui – che era già un decano per fama e anni di professione – veniva concesso di usare un piccolo cannocchiale con il quale carpiva tic e movenze di leader e “peones” che poi annotava su un taccuino. Quando poi traduceva le immagini nelle parole del suo “bestiario” – una rubrica di grande successo – era uno spasso. Non potevi perderne una puntata, come non potevi perdere il suo modo ironico e personalissimo di seguire un congresso di partito. C’era sempre qualcosa da imparare come stile di scrittura e metodo di lavoro, anche se inimitabili.

Io lo ricordo già in quanto lettore di quel giornale d’avanguardia che fu il Giorno e poi di Repubblica a iniziare dal 1976, che aveva in Pansa una firma di primissimo piano.

In sala stampa alla Camera era un piacere averlo tra noi: simpatico, con la battuta pronta, piemontese di Casale Monferrato nei modi, disponibile a dare consigli e a discutere di quello che avveniva negli anni di De Mita, Craxi e Berlinguer. Prima ancora, erano famose le sue cronache sul rapimento e l’assassinio di Aldo Moro. Come famosa era diventata la sua intervista a Berlinguer, in cui il segretario comunista diceva di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello della Nato. Insomma, era uno dei “maestri” di riferimento. E aveva un occhio di particolare riguardo per noi del manifesto. Gli sembravamo talentuosi e illusi quanto basta per seguire con passione le movenze della politica. Ricordo le sue parole di stima per Luigi Pintor e gli accenni che ti facevano capire che aveva letto quanto andavamo scrivendo. Era un onore averlo tra i lettori. 

Fino al 1999, quando mi ha inviato il suo libro Il bambino che guardava le donne con dedica affettuosa (la donna protagonista di quel romanzo era una repubblichina di Salò), il rapporto era per me speciale e coltivato da entrambe le parti. In seguito, ho fatto fatica a riconoscerlo nell’autore di libri con il chiodo fisso di ridimensionare le gesta della resistenza antifascista e di cultore degli anni della “guerra civile” della fine del fascismo, definizione che si deve allo storico Claudio Pavone.

Una cosa era rifare i giusti conti con la storia, un’altra esasperane le asprezze per amore di polemica. Quando infine ho visto la sua firma su Libero e il Giornale, il filo dei rapporti s’è definitivamente rotto. Il dissenso non era più solo “politico” o accettabile in quanto tale: era diventato “giornalistico”. Quei quotidiani – per fattura e titolazione – erano difficili da leggere ed era assai arduo accettare che lui ne fosse diventato un articolista. 

Con Ciriaco De Mita. Tra i due Augusto Minzolini baffuto. A sinistra Claudio Sardo

Cos’era successo a Pansa da farlo cambiare così tanto? Ognuno decide per se stesso e per ragioni a volte insondabili che sono comunque da rispettare. Accenno a una ipotesi. Lui era, come tanti dei nostri colleghi, un “narciso” consapevole delle sue doti di grande giornalista, polemista e analista politico. Da qualche scambio di battute ho intuito qualche volta che avrebbe desiderato che il Pci/Pds lo curasse di più nei rapporti personali o che lo candidasse tra gli indipendenti di sinistra alla Camera o al Senato accanto a personaggi come Stefano Rodotà e altri. Non so se ulteriori amarezze gli derivassero dall’essere stato solo vicedirettore di Repubblica e punta di diamante de l’Espresso: era il candidato naturale alla successione di Eugenio Scalfari.

Il suo diventare più bastian contrario e anarchico del solito negli ultimi due decenni deve aver avuto (è la mia personalissima opinione) più motivazioni. Mi dispiaceva intanto tantissimo prendere atto che il Pansa della sala stampa di Montecitorio che avevo conosciuto fosse diventato un pallido ricordo. Infine, ne ho seguito il dolore per la scomparsa del figlio Alessandro nel 2017 e sono tornato suo lettore quando recentemente ha iniziato a tenere una rubrica sul Corriere della Sera. Resterà nel Pantheon dei maestri di giornalismo.

LE STAGIONI DI GIAMPAOLO PANSA di Guido Moltedo

“I due Pansa che ho conosciuto” ultima modifica: 2020-01-13T15:38:55+01:00 da ALDO GARZIA
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