Tra pochi giorni, il 31 gennaio, sarà ricordato (ma da chi?) l’ultimo atto dell’Assemblea costituente che si sciolse proprio quel giorno, nel 1948: l’approvazione dello stemma della Repubblica italiana. Come nacque quella stella a cinque punte di reminiscenza risorgimentale, sullo sfondo la più moderna ruota dentata, ai lati un trancio di ulivo e uno di quercia, in basso la scritta “Repubblica Italiana”? Come quasi tutte le vicende, grandi e piccole, del nostro paese, anche la nascita di questo emblema ha una storia un po’ burocratica e un po’ naïf, un po’ solenne e un po’ rétro. Seguiamola, curiosando tra i documenti della transizione tratti dai fondi (benissimo conservati e ancor meglio commentati) dell’Archivio storico della Camera.

1 Primo atto: il 27 ottobre del ’46 (prima ancora che fosse scritta la Costituzione, ma cinque mesi dopo il referendum che aveva scacciato la monarchia complice del fascismo) un decreto del secondo governo De Gasperi, il primo esecutivo repubblicano, promuove un concorso per lo stemma della nuova Italia. Si costituisce una commissione di costituenti, si lanciano annunci per giornali e per radio. Presto rispondono in 341 che inviano 637 bozzetti. Vince il pittore di buon nome Paolo Paschetto. Ma il suo progetto non ottiene riscontri favorevoli (si proponeva la rappresentazione del mare, si suggerivano le parole “unità” e “libertà”), e allora viene istituita una seconda commissione di cui fanno parte, tra gli altri, il socialista Lussu, il qualunquista Giannini, la democristiana Angela Cingolani, il comunista Cevolotto. Questa volta l’orientamento è di privilegiare elementi legati all’idea del lavoro.
2 Secondo atto. Stavolta arrivano 197 bozzetti opera di 96 persone, artisti, disegnatori ma anche comuni mortali senza l’ombra di conoscenze grafico-artistiche. La commissione esamina attentamente ciascun bozzetto e li raggruppa in sette filoni che sviluppano concetti anche assai diversi tra loro: “api, scudo con corona turrita, ruota dentata con stella, aquila, torre con faro, stella, donna rappresentante l’Italia”. Strano che, nel verbale dei lavori della commissione, consegnato alla presidenza della Costituente il 30 gennaio ’48 (a Costituzione stavolta non solo approvata ma entrata in vigore da un mese) non ci sia traccia, sottolineata, di un simbolo – l’ulivo – metafora di pace e di amicizia che pure ha stimolato la fantasia di parecchi concorrenti.
Per esempio del forlivese Innocente Bertozzi che scrivendo, su carta da bollo, alla commissione, fa presente di non essere “un artista ma semplicemente un lavoratore agricolo disoccupato che ha frequentato solo la quinta elementare”. Propone una corona di tranci di ulivo e poi si firma “devotissimo e umilissimo servo”: della Repubblica, naturalmente. O per esempio del siracusano Ignazio D’Amico, il quale suggerisce uno stemma che, tra “Dio e popolo”, racchiude il tricolore “tra foglie di ulivo”. E “rami di ulivo” tornano anche nel bozzetto del romano Giovanni Vaccato e in quello di un anonimo napoletano che si firma “Dio salvi l’Italia”, mentre Mariano Fratellone, da Santa Caterina Villermosa (Caltanissetta) nel suo bozzetto ci pianta addirittura un intero “albero di ulivo”. Certo, non mancano i suggerimenti più astrusi: da “un microfono radiofonico che manda raggi di luce porporina tutt’intorno e che contiene l’emblema dell’antica Roma, cioè la lupa che allatta Romolo e Remo” a “una quercia con molte ghiande grondanti di miele”.

Ma, ripeto, l’elemento più ricorrente in simboli anche diversissimi è sempre quello: l’ulivo. Ed è naturale: l’Italia esce da una guerra tremenda, l’Italia anela alla pace. A metà del lavoro, “dopo una prima eliminazione”, la commissione concentra la sua attenzione su dodici bozzetti e, tra questi, decide “all’unanimità” di proporre “all’approvazione dell’Assemblea costituente il bozzetto ideato dal pittore Paolo Paschetto, abitante in Roma, via Eleonora Pimentel 2”. Daccapo Paschetto: chi la dura la vince, e non a caso. L’artista ha già realizzato opere importanti, come ad esempio i cartoni delle splendide vetrate del Tempio Valdese e della Casina delle Civette di Villa Torlonia, a Roma.
3 Terzo atto. L’indomani, nella seduta antimeridiana del 31 gennaio – in chiusura dei lavori della Costituente – l’assemblea approva la proposta. “Del che fu redatto verbale”, e il presidente Umberto Terracini ne dà immediata comunicazione al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi “perché voglia dare opportune disposizioni per l’esecuzione di tale deliberazione”.
Così nacque, nelle forme più solennemente rituali, quello stemma che ci accompagna oramai da 72 anni e che, a differenza del tricolore, è frutto sì di una deliberazione ufficiale ma non è costituzionalizzata, e con una matrice un po’ naif. In fondo è giusto che sia così. (Anche “Fratelli d’Italia” è stato “provvisorio” dalla nascita della Repubblica sino al 2017 quando, con una legge, è diventato l’inno ufficiale. Mentre in Francia la “Marsigliese” è in Costituzione, ma questa è un’altra storia…).

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