La tragedia di Giovanni Custodero, il portiere ventisettenne di Pezze di Greco, frazione di Fasano, che ha preferito entrare in coma farmacologico e, di fatto, porre fine alle proprie sofferenze dopo che un sarcoma osseo aveva reso la sua vita un inferno, ci induce a riflettere su molteplici aspetti dell’esistenza.
Innanzitutto la felicità, che a quell’età sembra incredibile e inarrestabile e invece, da un giorno all’altro, può essere compromessa dalla rivelazione di un male col quale è impossibile combattere, un avversario infido e disumano che alla fine ha avuto la meglio su un ragazzo il cui unico desiderio era quello di smettere di soffrire.

Poi la fragilità, incredibile se associata a un giovanotto nel fiore degli anni che, prima di essere aggredito dal male, sembrava una roccia.
Infine l’amore, per se stesso e per il prossimo, coadiuvato dalla consapevolezza di dover lottare ma non fino al punto di rinunciare alla propria dignità.
Arrendendosi alla bestia, nel dolore e nella disperazione, Giovanni ha saputo uscire di scena nel modo più nobile che si possa immaginare, dopo aver trascorso le ultime feste natalizie in famiglia, accompagnato dall’affetto della madre e della fidanzata, affrontando persino l’ultima stazione della sua personale via crucis con una consapevolezza e una maturità che lasciano senza parole.
È difficile commentare questa storia, questa tragedia di fronte alla quale tutto perde di senso, questa sconfitta collettiva che ci fa sentire tutti più piccoli e ci riporta alle cose che contano realmente, distraendoci dalle troppe chiacchiere che spesso caratterizzano la nostra vita. Giovanni e la sua famiglia, con il loro silenzio, con il loro desiderio di non arrendersi mai, neanche ora che il ragazzo non c’è più, con il loro non cercare nemmeno una telecamera, con il loro vivere il tormento di un addio inaccettabile quasi con naturalezza, nonostante le lacrime e lo strazio che indubbiamente avranno patito, costituiscono un esempio della società che potremmo essere e, invece, purtroppo non siamo.
Questa storia ci ha ricordato il valore della pietà, il rifiuto di spettacolarizzare il dolore, l’importanza dell’umiltà al cospetto di un nemico invincibile e, anche grazie alla promessa chiesta da Giovanni ai suoi cari, ha riaperto il dibattito sulla necessità, non più rinviabile, di introdurre l’eutanasia nel nostro paese, specie se si considera che ormai, sostanzialmente, viene applicata senza chiamarla con il suo vero nome.

Giovanni, come detto, aveva ventisette anni. Non possiamo capire, non possiamo spendere altre inutili parole. Di fronte a questo giovane uomo che aveva tutto, compreso un futuro da calciatore, magari dilettante ma comunque soddisfacente, e dall’oggi al domani si è trovato solo, a combattere con un male incurabile, possiamo solo fermarci e ragionare sulla nostra finitezza.
Questa tragedia, dai contorni quasi epici, parla alle nostre coscienze e costituisce un importante invito a non abbatterci di fronte alle difficoltà, a continuare a lottare, ad amare la scienza e a sperare che altri passi avanti possano essere compiuti nel cammino della ricerca, ben sapendo che sono stati già compiuti autentici miracoli. Ogni altra parola sarebbe superflua. Addio Giovanni.

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