La sfida della conferenza neo-con a due passi dal Vaticano

Salvini, Meloni, Maréchal-Le Pen, Orbán, l’ambasciatrice di Trump presso la Santa Sede, e diversi altri oratori chiamati da tutto il mondo per dar vita alla nuova Santa Alleanza.
RICCARDO CRISTIANO
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La fondazione Edmund Burke ha organizzato una grande conferenza a Roma. L’iniziativa può essere considerata una tentativo di chiedere la sacralizzazione del neo-conservatorismo sovranista. Il tema dell’incontro infatti sarà “Dio, onore, nazione: il presidente Ronald Reagan, Papa Giovanni Paolo II e la libertà delle nazioni.” C’è tutto per parlare dell’idea di nuova Santa Alleanza. Ed è molto significativa la data scelta, quella del 4 febbraio. Come tutti sanno, ma non tutti ricordano, il 4 febbraio è il giorno in cui è stata firmato, un anno fa, il documento sulla fratellanza umana da Papa Francesco e dall’imam dell’Università islamica di al-Azhar, lo sceicco Ahmad al-Tayyeb.

Dunque l’idea sembra quella di contrapporre alla fratellanza umana l’onore nazionale, nel quale la religione sembra avere un ruolo non da poco; la divisa con cui sfilano le nazioni; la comunità dei credenti (Faith) e la comunità del combattenti (Fight). Se questa fosse l’idea, la figura di Giovanni Paolo II, il Papa dello spirito di Assisi e del dialogo tra tutte le religioni, sembrerebbe “coartato”. Il romanticismo di Edmund Burke, a cui la fondazione organizzatrice si richiama, ha poco a che fare con il pensiero di Karol Wojtyla. 

La sede dell’incontro sarà il Grand Hotel Plaza. Molto importante ovviamente è anche la composizione del panel degli oratori, chiamati da tutto il mondo per dar vita a questa nuova Santa Alleanza. I nomi italiani per noi sono noti: Matteo Salvini e Giorgia Meloni. La loro sintonia con il papa dello spirito di Assisi è difficile da cogliere. Più evidente è quella con l’ungherese Viktor Orbán, profeta del cristianesimo illiberale e garantito relatore. Nell’elenco delle star può essere annoverato anche Newt Gingrich, già Speaker della Camera statunitense. Grande amico personale di Trump e e tra suoi più ascoltati “consigliori”, a Roma molti lo conoscono come il marito della signora Callista Gingrich, ambasciatrice del suo paese presso la Santa Sede. Che il marito dell’ambasciatrice di Trump in Vaticano partecipi quel giorno a un incontro contro il Papa regnante è un fatto. Le scelte dei mariti non coinvolgono le mogli, ma un certo fair play territoriale poteva essere considerato. 

Newt però merita di essere presentato per quel che è lui, non sua moglie. Le sue posizioni hanno spesso evocato quella teologia della prosperità che il cardinale Ravasi ha definito “una ricerca individualistica del benessere”. La teologia della prosperità sostiene che Dio è l’artefice del nostro benessere, quindi se stiamo male vorrà dire che qualcosa con Dio non funziona.

Meno famosa è Anna Maria Anders. Nella Polonia di oggi il suo non è un nome ambiguo visto che nel 2016 ha presieduto il Consiglio per la protezione della memoria di lotta e martirio, per diventare poi segretario di stato della cancelleria del primo ministro. Da settembre è ambasciatrice della Polonia in Italia. La scarsa notorietà non illumina neanche il significato della presenza di Marion Maréchal che non si presenta con il secondo cognome che sovente usa, Le Pen. Marine Le Pen è sua zia. Iscritta al Front National ne condividerà il programma, che parla del cristianesimo solo per la salvaguardia del patrimonio, “sia che si tratti di monumenti storici sia del patrimonio rurale (chiese o quant’altro)”. Un po’ poco, Marion Maréchal comunque il 4 febbraio potrebbe fornire qualche chiarimento al riguardo.

Ma il grande evento è costituito da un’altra presenza, quella di Christopher DeMuth, ex presidente dell’American Enterprise Institute. Se molti ritennero questo istituto il vero pianificatore dell’invasione dell’Iraq, altri dovrebbero ricordare quanto quell’invasione fece sobbalzare l’ormai malato papa polacco. Anche DeMuth potrebbe sovvenirsi che il 16 marzo del 2003, all’Angelus, proprio Giovanni Paolo II disse:

Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la Seconda guerra mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: “Mai più la guerra!”, come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni unite. Dobbiamo fare tutto il possibile! Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità. E quindi preghiera e penitenza!

Ognuno è padrone di fare i convegni che ritiene e nel giorno che gli torna più comodo, ma cosa c’entri Giovanni Paolo II con i nostalgici dell’invasione dell’Iraq, i fautori della restaurazione di edifici di culto quale unico atto di riscoperta del proprio bagaglio di valori cristiani, quasi che le pietre contino più delle preghiere, e con i nostalgici della battaglia di Lepanto, quando il culto mariano di Giovanni Paolo II era tutt’altro, è proprio difficile capire. Ma il 4 febbraio avremo modo di capire. 

La conferenza è sponsorizzata da The Bow Group (UK), Center for European Renewal (Paesi Bassi), Danube Institute (Ungheria), Edmund Burke Foundation (USA), Herzl Institute (Israele), International Reagan Thatcher Society (USA), Nazione Futura (Italia).

La sfida della conferenza neo-con a due passi dal Vaticano ultima modifica: 2020-01-20T16:54:08+01:00 da RICCARDO CRISTIANO
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