Pier Luigi Olivi costruisce i suoi messaggi ricorrendo all’opera di altri e ai contrasti del mondo. Il suo stile narrativo ricorda il modo del Tintoretto di collocarsi ai margini dell’opera e di lasciare che sia essa stessa a dire. E non è per distacco, ma solo perché nel suo guardare il mondo c’è rispetto e timore. Olivi non vede gli accadimenti in un fluire unidirezionale senza ostacoli, ma in una dimensione polisemica dove trovano posto valenze e contrasti, convivenze e negazioni.
E proprio per essere la sua una narrazione che vuole rimarcare un tempo segnato dallo stridore, Carnival, la sua ultima opera, mi ha portato in una di quelle scene di Guerra e pace che raccontano il senso del mondo con poche ed essenziali pennellate. È la vigilia della battaglia di Borodino e Tolstoj porta il lettore nei campi avversi e nell’atmosfera dei preparativi che li caratterizza. Napoleone è una figura trionfante che arriva sul suo cavallo bianco e con la grazia del cavaliere che conosce il fatto suo. Si muove come se fosse la ratio di ciò che accade attorno a lui e dispensa a tutti l’attenzione che ognuno si aspetta dalla grandezza che rappresenta. Egli è faber di un mondo che sembra una sua proiezione.
Nel campo russo, il principe Kutuzov arriva su un cavallo che sente la pesantezza di chi lo cavalca. Non c’è grazia nei suoi gesti e smonta dall’animale gettandosi nelle braccia dei suoi aiutanti. Egli non crede nella guerra, ma la subisce e desidera arrivare in fretta all’izba dove l’attende la moglie del pope con il sale e il pane augurali. Sfugge perciò agli ufficiali che vogliono suggerirgli piani di battaglia. Tra essi scorge il volto di un personaggio che gli sembra familiare. È Andrej Bolkonskij, già suo aiutante e figlio di un suo carissimo amico. Nella gravità della vigilia di una battaglia decisiva, egli si intrattiene con il giovane e gli chiede: “Come sta tuo padre?” È morto tre giorni fa, risponde Andrej. Allora Kutuzov abbraccia il figlio dell’amico e piange con lui.
Gli eventi non si negano fra di loro e, pur nella lor opposizione e differenza, possono far parte di un tempo comune. Ma possono diventare un perché, un senso che distingue, dirime e separa ed è scritto nelle cose già dette. Carnival le raccoglie per essere un perché.
Sul già detto di Giandomenico Tiepolo, in cui domina il profilo accogliente e severo del palazzo Ducale, nei cui pressi festeggiano le maschere di Pantalone e Colombina, come a rimarcare la venezianità del contesto, incombono i corpi appesi a un cappio di Che Guevara, Pasolini, Papa Francesco e Chico Mendes. La festa e la morte si agitano nella stessa scena. In essa, Pier Luigi Olivi immette le loro voci, che cercano un “orecchio ricettivo” come fossero l’eco di una umanità che si cerca e non intende perdersi nel frastuono.

In Suite veneziana, Olivi aggiunge una propria voce a testi di altri per rendere più chiaro ed esplicito il messaggio di una Venezia lasciata alla mercé di frequentazioni che cercano denaro. Francesca Brandes sottolinea che i testi di Olivi sono “di un classicismo lapidario”, una testimonianza “rabbiosa anche, disperata, ultimativa”. Venezia è Aizenev, un mondo a testa in giù sarcasticamente tratteggiato da una poesia essenziale che non si affida quasi mai all’aggettivo.
Venezia Venezia, che precede Suite veneziana, è un’opera costruita con più contributi in uno sforzo collettivo di ritornare al testo, al corpo di Venezia prima del disfacimento in atto. Sulla materia colorata di Luigi Gardenal appaiono in venticinque lingue i testi di Mario Stefani e di Salvatore Settis che accompagnano una poesia di Olivi.
In Carnival gli autori sono più numerosi e sono figure emblematiche di una lunga vicenda per l’affermazione di un’umanità appesa, probabilmente sospesa, forse in attesa. Carnival è un’opera che si affida alla forza simbolica di Venezia che diventa immagine di un’umanità negata. È un senso che trova eco nel testo illuminante di Tomaso Montanari che dice, del maltempo di Venezia, che “è un tempo cattivo che dura da decenni”.
Venezia appare in questa opera nel pieno della sua essenza simbolica in cui la città si fa umanità. L’autore evita il rischio di sovrapposizioni delegando la costruzione del messaggio al Che, a Papa Francesco, al brasiliano Mendes, a Pier Paolo Pasolini e a Montanari che lo esplicita. Astenendosi dalla narrazione personale e affidandosi al già detto, Pier Luigi Olivi evita che la forza simbolica di Venezia diventi un luogo comune dello stesso simbolismo.
Ed è appunto questo l’aspetto che caratterizza Carnival rispetto alle opere che lo precedono. Il tutto nello stile sobrio e accurato che contraddistingue Pier Luigi Olivi, che conferma la riservatezza del valore che non ha bisogno di gridare perché legittimato da se stesso, un modo altro per distinguersi dal fare sguaiato della Venezia ostentata e venduta.

Il 5 febbraio, alle 18, nella sala San Leonardo, a Venezia, La BiBiennale di Venezia e la Bugno Art Gallery presentano Carnival di Pier Luigi Olivi. Partecipa Tomaso Montanari.


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