Il greenwashing è stato definito:
Una forma di appropriazione indebita di virtù e di qualità ecosensibili per conquistare il favore dei consumatori o, peggio, per far dimenticare la propria cattiva reputazione di azienda le cui attività compromettono l’ambiente (Valentina Furlanetto, “L’industria della carità”, p. 156).
La parola di derivazione anglosassone greenwashing è il risultato della combinazione di due parole: green, ovvero verde in termini ecologici, e whitewashing, l’attività di nascondere fatti spiacevoli; quindi, attraverso questa combinazione si vuole indicare la tendenza di molte aziende di proclamare presunti comportamenti sostenibili in modo tale da ottenere un maggior profitto andando ad attirare l’attenzione di quella fascia di consumatori attenti.
La paternità del termine greenwashing è attribuita comunemente a Jay Westerweld, che l’utilizzò nel 1986 per descrivere la doppia faccia della politica green adottata da alcune catene alberghiere.
Neologismo da nuova frontiera del marketing pubblicitario aziendale, dove per appunto nell’operazione di greenwashing si spendono più tempo e denaro nel proclamare il loro “essere verdi” piuttosto che nell’implementare realmente pratiche a basso impatto ambientale.
Tra il 2008 e il 2009 i ricercatori di Terra Choice, sguinzagliati tra Canada, Stati Uniti, Australia e Inghilterra, hanno raccolto una significativa base dati, andando ad analizzare le etichette dei prodotti e le informazioni aggiuntive comunicate dalle aziende impegnate nel green marketing.
Nella sola America del Nord sono stati raccolti e registrati 2.219 prodotti su 4.996 il cui slogan implica un carattere ambientale. Di questi il 98 per cento è caduto in almeno uno dei sette peccati o astuzie di mercato. Ma vediamo quali sono.
L’impianto generale di astuzie commerciali varie da parte delle aziende attraverso pubblicità prevede sette modalità diverse che ricadono nel greenwashing. Le elenchiamo senza fare esempi precisi che potrebbero creare dei problemi.
La prima di queste astuzie aziendali sta nel fatto di metter in evidenza un solo elemento a carattere pseudo ecologico o ambientale senza dare un quadro complessivo di tutti gli altri aspetti della filiera di produzione che invece non hanno nulla di ecologico o che addirittura sono impattanti nell’ambiente quando non inquinanti.
La seconda astuzia riguarda la mancanza dei dati riscontrabili su quello che si afferma essere verde, bio o eco friendly.
La terza riguarda la genericità o la vaghezza di quello che si sostiene: per esempio, sostenere naturale l’arsenico o il mercurio che sono sì naturali ma omettere che sono velenosi.
La quarta riguarda l’irrilevanza del dato, per esempio evidenziare “senza CFC” come elemento positivo, mentre invece del CFC è vietato l’uso.
La quinta astuzia: mettere in evidenzia il minore dei mali come fatto positivo, sfuggendo all’evidenza data dal minor danno rispetto al maggior danno, che pur sempre di danno si tratta.
La sesta, forse meno praticata, riguarda sostenere il falso sulla pubblicità del dato che si vuole mettere in rilievo.
Infine, ormai diffusissima nei paesi del Nord America, ma che sta prendendo piede in Italia: l’autocertificazione tramite etichettature che sono rilasciate da entità non riconosciute o fasulle, e dimostrando dati dichiarati dalla sola stessa azienda produttrice. In pratica mi autocertifico il prodotto.
Con la stessa mentalità aziendale ,in Laguna, l’Amministrazione del Comune di Venezia adopera forme di greenwashing rinunciando o omettendo azioni realmente ecologiche o ambientalmente sostenibili, ovvero sviando i cittadini attenti.
Nella città d’acqua, alcune di queste operazioni promosse dall’amministrazione comunale possiamo osservarle da vicino, per esempio con la plastica. Vediamo come.
Da un lato si pubblicizzano le iniziative di raccolta di tonnellate di “rifiuto” di plastica nelle spiagge e negli arenili, nei canali cittadini, coinvolgendo per la raccolta volontari e bravi cittadini sensibili al tema ambiente; si spendono risorse sia per la pubblicità che per le iniziative di comunicazione. Poi dall’altro, dopo tutta questa fatica e facendo finta di niente, l’amministrazione del Comune di Venezia queste stesse plastiche trasformate in palificazioni sintetiche tossiche e nocive che frantumandosi producono microplastiche inquinanti, le riversa nell’acqua dei canali cittadini e della Laguna, trasformandole in nutrimento per il pesce cosiddetto nostrano che noi portiamo sulla nostra tavola di cucina.
Un altro esempio si osserva quando si pubblicizza l’arrivo dei motori ibridi ed elettrici da mettere a bordo dei natanti della circolazione acquea del trasporto pubblico e privato, ma non si prevede di limitare il numero di quelli attuali circolanti che inquinano i canali più battuti dal traffico acqueo; né si vara un programma di rottamazione a partire dai battelli pubblici in Laguna. Risultato: i famosi rii di Venezia sono inquinati come autostrade.

In terraferma l’aria che respiriamo supera costantemente i limiti di allarme per la salute dei cittadini. Allora si tolgono dal traffico le automobili più inquinanti dopo aver intasato le strade all’inverosimile, e senza un piano strategico si cerca di ridurre la circolazione quanto possibile, togliendo quanta CO2 possibile dalle aree urbane più colpite. Ma poi, allo stesso tempo, si tagliano oltre quattromila pini marittimi proprio a ridosso dell’aeroporto, luogo altamente inquinato di suo, per poter raddoppiare la superficie con altre piste di volo, incrementando l’inquinamento da combustibile dei velivoli nelle aree abitate circostanti e aggiungendo in modo sconsiderato spazi a parcheggio auto che vanno a sommare così gli effetti già nocivi.
Nell’isola del litorale, al Lido di Venezia, l’Amministrazione annuncia finalmente l’arrivo di bus elettrici per il trasporto pubblico con un programma denominato Green Lido, ma non predispone un piano strategico di limitazione del traffico stradale privato, magari introducendo il noleggio di auto elettriche, e limitando che l’inquinamento si espanda. Poi pubblicizza l’uso della bicicletta ormai elettrica e magari aggiungendo il monopattino elettrico, ma non progetta una pista ciclabile di dimensione adeguata a contenere e mettere in sicurezza la viabilità.
Ma c’e di più:
La comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono.
Allora domandiamoci che tipo di scelte fa l’Azienda del trasporto pubblico veneziano. Osserviamo quando, per l’ancoraggio degli imbarcaderi del trasporto acqueo, infigge in laguna palificazioni o in ferro a costi elevati, che non funzionano e creano danni alle fragile architetture veneziane, o di legno esotico grennhart/Demerara proveniente dal disboscamento illegale delle foreste tropicali amazzoniche e inserito nella red-list mondiale tra le essenze a rischio estinzione; dimenticandosi completamente di aver già testato il legno autoctono come il rovere, da secoli usato per strutture marittime in Laguna di Venezi,a e garantito a lunga durabilità per oltre trent’anni attraverso una tecnologia protettiva del legno ammessa per la laguna, ecologica per l’ambiente acquatico e certificata dall’Ufficio Europeo dei brevetti.
Possiamo andare avanti ancora per capire come viene usato facilmente il greenwashing da parte di un’Amministrazione pubblica che dovrebbe dar vita a processi virtuosi di ecologia applicata perché responsabile della tutela della salute dei suoi cittadini. Per esempio, con la qualità dell’aria che respiriamo in Laguna e in Terraferma preferisce l’immobilità, o tagliare alberi ovunque perché si dimentica di mantenerli con cura, senza capire l’emergenza e senza disporre di piani strategici efficaci e utili, magari di ampio respiro per la salute pubblica.
Le azioni di greenwashing che prendono in giro il cittadino in Italia si sono viste con casi clamorosi di aziende come la San Benedetto o la Coca Cola, che sono state sanzionate per il comportamento sviante e improprio e per aver affermato o giocato sui termini pubblicitari senza dimostrarli, perché non dimostrabili.
Noi ci domandiamo, alla fine, se sia giusto usare il grennwashing anche da parte di un’amministrazione pubblica di una città come Venezia, unica al mondo, comportandosi come fosse una mera, qualsiasi semplice azienda.
E se un’azienda è giustamente sanzionata quando per mal comportamento confonde il consumatore per far dimenticare la propria cattiva reputazione, allora parallelamente è legittimo chiedersi come potrebbe essere sanzionata l’Amministrazione pubblica di Venezia quando vuol far dimenticare la propria cattiva amministrazione.

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