[PARIGI]
Tra qualche settimana (il 28 febbraio) si terrà la cerimonia degli Oscar francesi, i premi César. Di solito è un evento importante per la cinematografia transalpina. Ma la prossima edizione sarà anche caratterizzata dalle polemiche. Infatti tra i candidati a numerosi premi – ben dodici nomination – ci sono il regista Roman Polanski e il suo film “J’accuse”. Com’è noto il regista franco-polacco è stato condannato nel 1977 per violenza sessuale su una tredicenne negli Stati Uniti. Oggi vive in Francia, dove gode di una sorta di protezione da parte della comunità “artistica” francese.
Molte associazioni femministe, cresciute recentemente in importanza grazie anche al movimento globale #MeToo, hanno criticato la presenza di Polanski alla cerimonia. Le reazioni contrarie però questa volta sono state molto forti anche da parte del governo. Marlène Schiappa, segretario di stato per la parità di genere, ha per esempio dichiarato su Rtl:
Mi interrogo sul messaggio che si dà. Chiaramente il mondo del cinema francese non ha terminato la rivoluzione per quanto riguarda il pessimo e le violenze sessuali.
Anche il ministro della cultura Franck Riester ha espresso un giudizio negativo sulla vicenda:
L’Académie de Césars è libera di fare le proprie scelte. Tuttavia, al momento del voto, i professionisti del cinema dovranno valutare la dimensione artistica della scelta e il messaggio che intendono dare a tutte le vittime e in senso maggiore a tutta la società.

La polemica sul regista oggi ottantaseienne è di lunga data. Recentemente, però, con la nascita di #MeToo, Polanski incontra sempre maggiore resistenza. Ad esempio, in occasione dell’uscita di “J’accuse”, premio della giuria al festival di Venezia dell’anno scorso, movimenti e associazioni femministe hanno chiesto il boicottaggio del film. In alcuni casi sono riuscite a bloccarne la proiezione.
Inoltre, negli stessi giorni in cui usciva il film in Francia, nuove accuse colpivano il regista. Dalle pagine di Le Parisien, Valentine Monnier, un’ex modella, ha accusato Polanski di averla violentata negli anni Settanta. Racconta di aver trovato la forza di parlare dopo la visione di “J’accuse”. Perché riteneva insopportabile la comparazione tra l’errore giudiziario subito da Alfred Dreyfus e la vicenda del regista stesso. Una comparazione che lo stesso Polanski ha inizialmente fatto e che ha successivamente modificato.
Polanski, che considera il Movimento #MeToo una forma di “isteria collettiva” basata sull’ipocrisia, è così ritornato prepotentemente al centro del dibattito pubblico. Anche perché il suo caso non è più isolato e molte donne trovano sempre più spesso la forza di parlare.
Ad esempio, la testimonianza di Monnier è stata immediatamente incoraggiata da un’altra attrice francese, Adèle Haenel. In un’inchiesta realizzata da Mediapart, Haenel, oggi trentenne, aveva accusato il regista Christophe Ruggia di averla molestata ripetutamente, quando aveva tra i dodici e i quindici anni. Ruggia – che ha chiesto scusa per qualcosa che nega di aver fatto – è stato espulso dalla società francese dei registi e un’inchiesta giudiziaria è stata aperta. La testimonianza di Haenel però è stato un evento importante perché ha invitato il cinema francese a fare i conti con il tema delle molestie sessuali.

Se gran parte della stampa francese si è posta il tema della difficile relazione tra opera artistica e artista – è possibile amare le opere di una persona per cui si prova un umano ribrezzo? –, molti sollevano il tema delle “complicità”. La rete protettiva e l’omertà di cui gode tuttora Polanski non è molto diversa da quella che ha protetto il produttore Harvey Weinstein negli Stati Uniti.
Come Weinstein, anche Polanski occupa un posto “istituzionale” nel cinema francese, come ha detto la filosofa Fabienne Brugère. È un intoccabile, in quanto artista di enorme qualità. Un “genio” a cui tutto sarebbe concesso. Come ha però ricordato il ministro Riester:
Il talento non può essere una circostanza attenuante; il genio, non può essere una garanzia d’impunità.
Invece, il cinema francese continua a proteggere il regista. Qualsiasi cosa Polanski abbia fatto è giustificato oppure relativizzato o, addirittura, imputato alle vittime. L’opacità e la complicità diventano la modalità per regolare qualsiasi scandalo possa toccare dei mostri sacri.
C’è una sorta di legge del silenzio, un’impossibilità ad ascoltare voci diverse. Perché c’è come un ordine di grandezza tra questi uomini che le parole delle vittime rimetterebbero in discussione. Da un punto di vista etico, questo è un problema: tutte le parole devono poter essere ascoltate, qualsiasi sia l’ordine di grandezza,
dice ancora Fabienne Brugère a FranceInfo. Leggi del silenzio e omertà che la Francia sta scoprendo in questi mesi in moltissimi altri settori. Nel mondo della letteratura e dello sport, ad esempio.
Qualche mese fa è uscito “Le Consentement”. L’autrice, Vanessa Springora, vi racconta come sia stata sedotta dal noto scrittore Gabriel Matzneff, quando aveva soltanto quattordici anni. Nei confronti di Matzneff, che ha oggi ottantatré anni, è stata aperta un’inchiesta per violenza sessuale su minore. Molti hanno chiesto che sia privato della pensione che riceve dallo Stato per il suo lavoro artistico.
L’aspetto più grave della vicenda è che Matzneff non ha mai nascosto queste sue pulsioni per le minorenni. Né ha mai negato di fare del regolare turismo sessuale nei paesi asiatici per adescare giovani ragazzi. Anzi. Lo scrittore ne ha parlato in qualche libro. Come nel caso di Polanski, anche attorno a Maztneff fu creata dal mondo artistico e letterario una sorta di barriera. Springora, che oggi dirige la casa editrice Julliard, ha criticato la decennale impunità di cui lo scrittore ha potuto beneficiare:
Come se l’artista appartenesse a una categoria a parte: un essere dalle virtù superiori al quale offriamo un mandato onnipotente, senza alcuna contropartita se non la produzione di un’opera originale e sovversiva. Una sorta di aristocrazia detentrice di poteri eccezionali davanti ai quali il nostro giudizio, in uno stato di cecità, deve scomparire.
Una protezione alla luce del giorno. Molti ricordano quando Matzneff fu invitato in una nota trasmissione letteraria francese per parlare del suo ultimo romanzo. Molti ricordano, ancora, le domande compiacenti poste dal giornalista – “Perché vi siete specializzato nelle liceali e nelle ragazzine? Al di sopra dei vent’anni non vi interessano?” – e le risatine con cui furono ascoltate le risposte (“Le ragazzine sono più gentili, poi diventano rapidamente isteriche e pazze da vecchie”). Una complicità interrotta soltanto dall’intervento di Denise Bombardier, una scrittrice canadese:
Il signor Matzneff è pietoso. Quello che non capisco è che in questo paese la letteratura serva da alibi a questo genere di confidenze. Matzneff ci racconta di come sodomizza ragazzine di quattordici, quindici anni e che queste ragazzine sono folli di lui. I vecchi signori attirano i bambini con le caramelle, Matzneff fa la stessa cosa usando la sua reputazione.
All’epoca scrittori, editori e giornalisti criticarono duramente Denise Bombardier, rea di non aver capito il valore letterario dell’opera di Matzneff. Un uomo che entra nei migliori salotti di Parigi e che la politica, pure, esalta. Che conta su una rete costruita nel tempo e che lo protegge in nome della liberazione sessuale, che diventa però difesa della pedofilia.
Una complicità estesa anche alla stampa. Nel 1977 Le Monde pubblicò un editoriale di Matzneff in cui lo scrittore prendeva le difese di tre uomini accusati di molestie nei confronti di una ragazzina di tredici anni:
Se una ragazza di tredici anni ha diritto alla pillola, quale è la ragione? Tre anni di prigione per carezze e baci… anche basta!
E in coda all’editoriale una sfilza di nomi della sinistra culturale francese: Louis Aragon, Roland Barthes, Simone de Beauvoir, André Glucksmann, Bernard Kouchner, Jack Lang e Jean-Paul Sartre. Un atteggiamento giustificato all’epoca anche da Libération, che considerava qualsiasi interdizione – anche alla relazione sessuale tra un adulto e un minorenne – un’imposizione del “vecchio mondo”.
Complicità, giustificazione, vittimizzazione dei carnefici. È successo ancora nelle ultime settimane. Questa volta nel mondo dello sport, dopo le esplosive rivelazioni di Sarah Abitbol, campionessa di pattinaggio artistico su ghiaccio. Abitbol ha raccontato nella sua biografia sportiva di essere stata vittima di violenza sessuale da parte del suo ex allenatore Gilles Beyer.
La campionessa di pattinaggio lo accusa di averla violentata più volte tra il 1990 e il 1992, quando aveva tra i quindici e i diciassette anni. Una scelta quella di Abitbol non facile ma che ha spinto molte altre pattinatrici a denunciare Beyer. Come Hélène Godard, a sua volta violentata quando aveva tredici anni.

Beyer è stato un campione del pattinaggio francese e europeo. Ed è questa la ragione dell’impunità. Le Parisien racconta che la Federazione era già a conoscenza delle violenze: nel 1999 Vanessa Gusmeroli, un’altra campionessa del pattinaggio francese, aveva parlato al proprio allenatore degli atteggiamenti di Beyer. Nel 2000, alcuni genitori avevano poi segnalato ufficialmente Beyer alla Federazione del pattinaggio.
La Federazione sportiva però lo protesse, fino a quando il ministero dello sport ne chiese l’allontanamento. Come allenatore. La Federazione, allora, offre un altro ruolo a Beyer che resterà nell’ambito sportivo federale, anche con ruoli visibili, fino al 2010. E poi continuerà la carriera nel club parigino di origine. Dove colleziona altre accuse. Fino a qualche giorno fa, quando il suo club, infine, lo licenzia. Sorte simile per il presidente della Federazione Didier Gailhaguet, accusato di aver coperto Beyer per molto tempo.

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1 commento
Ottimo articolo davvero: sapevo ovviamente di Polanski, ma ignoravo il caso Matzneff. Sarebbe forse il caso di allargare il discorso alla protezione accordata dallo Stato francese ai ricercati italiani (e probabilmente non solo italiani) di destra e di sinistra, e alla retorica speciosa e pro domo sua a proposito della Francia come terra d’asilo (e quindi implicitamente come Paese più democratico e più aperto, “migliore”, degli altri). Che infischiarsene del diritto internazionale e del buon senso sia una dimostrazione dell’eccezionalismo francese?